La Stampa 16 aprile 2008, PAOLO BARONI, 16 aprile 2008
L’uomo che tiene insieme Lega, Forza Italia e An. La Stampa 16 aprile 2008 l’uomo dei conti, e Berlusconi ancora lunedì ripeteva che «sarebbe un suicidio privarsi di lui», ed è l’uomo del rapporto con Bossi
L’uomo che tiene insieme Lega, Forza Italia e An. La Stampa 16 aprile 2008 l’uomo dei conti, e Berlusconi ancora lunedì ripeteva che «sarebbe un suicidio privarsi di lui», ed è l’uomo del rapporto con Bossi. Un po’ cattolico, un po’ conservatore, un po’ localista, un po’ deregolamentatore, Giulio Tremonti è a tutti gli effetti l’architrave dell’alleanza che va da Forza Italia alla Lega (che lui chiama «partito «fratello») sino ad An. Insomma, il futuro ministro dell’Economia (al suo terzo mandato), è il vero perno del Berlusconi III, a tutti gli effetti l’ideologo. Personaggio spesso ruvido, dalla battuta tagliente, Tremonti prepara da tempo il suo ritorno sulla ribalta internazionale forte, anche, dei sette anni passati alla guida dell’Aspen Institute dove è arrivato nel 2001 grazie ai buoni uffici di Lucio Stanca (all’epoca numero uno di Ibm e poi ministro dell’Innovazione con la Cdl). La presidenza di questo «salotto buono» gli ha portato in dote un potentissimo network di relazioni internazionali (da Shimon Peres a Jaques Attali, da Baron Crespo a Pujol, da Gensher a Otto Schily sino Luttwak ed Antoine Bernheim delle Generali) come pure un rapporto ravvicinato col gotha dell’industria italiana, visto che nomi come Emma Marcegaglia, Francesco Caltagirone, Cesare Romiti e John Elkann siedono nel comitato esecutivo. Inutile dire che dopo l’Italia anche in Europa le nuove «ricette» di Tremonti, grande esperto fiscale e per questo in passato consulente di fiducia dell’alta borghesia milanese, non mancheranno di far discutere. Il suo ultimo saggio, «La paura e la speranza» ha fatto da apripista. Tra gli economisti ed i commentatori se ne è discusso molto, e la proposta di introdurre dei dazi per difendere le nostre imprese dagli effetti dannosi della globalizzazione ha raccolto più critiche che consensi. Ai «fratelli» della Lega e ad una parte del mondo cattolico, invece, questo j’accuse contro il «mercatismo» è piaciuto assai. Per Tremonti si tratta semplicemente di prendere atto che in Europa «è finita l’età dell’oro. E’ finita la fiaba del progresso continuo e gratuito, la fiaba della globalizzazione. Il tempo che sta arrivando è un tempo di ferro». Basta feste e basta illusioni, anzi di più: è arrivato il tempo delle scelte impopolari. In campagna elettorale, ha ripetuto più volte il superministro in pectore cresciuto alla scuola del socialista Rino Formica, «siamo stati molto prudenti. Non è stato facile per noi parlare di una situazione di crisi». Di qui nasce l’idea di una griglia di programma all’insegna della sostenibilità. Come ha spiegato alla vigilia del voto nell’intervista concessa sulla Stampa a Luca Ricolfi, «il nostro programma contiene il presupposto di una crisi economica che potrebbe aggravarsi, è sottoposto ai vincoli imposti dal trattato europeo, dai conti pubblici e dai mercati finanziari. Per questo gli obiettivi sono definiti in termini di gradualità e fattibilità, per un totale prudenziale di 20-30 miliardi». Dunque meno tasse, ma nessuna manovra azzardata. Tanto più ora che la crescita del Pil è prossima a zero ed il deficit è dato il pericoloso rialzo: si comincerà col taglio dell’Ici sulla prima casa (misura d’effetto e costo relativo, 1,5 miliardi) e detassando gli straordinari. L’obiettivo di portare la pressione fiscale sotto il 40% verrà invece realizzato più avanti, per gradi. «Per noi le tasse sono un mezzo non un fine» ha sostenuto a più riprese Tremonti lanciando i suoi strali contro la sinistra-vampira di Prodi, Visco e Padoa-Schioppa. Di certo «niente più condoni», perché «non ci sono più i presupposti, non c’è più niente da grattare». Lotta all’evasione? Con giudizio. Magari coinvolgendo di più i comuni. Per recuperare efficienza nella macchina pubblica l’idea del futuro ministro dell’Economia è quella di «abrogare il ”68» ed introdurre nuove leggi che ricostruiscono le catene di comando, di controllo e di responsabilità: insomma si torna al capufficio di una volta. Sul fronte dei tagli e della lotta agli sprechi a finire subito nel mirino saranno invece le Regioni sulle quali incombe il rischio del commissariamento. Il nuovo inquilino di via XX Settembre, insomma, quando sarà il caso non farà nulla per nascondere il suo volto cattivo. E sarà molto ruvido, in particolare contro i poteri forti abbandonando l’aplomb che ha sempre contraddistinto i suoi interventi a Oxford, Cambridge o all’Università di Humboldt. «Nemici di Roma? Io e Bossi siamo nemici dei Palazzi di Roma, non siamo nemici della gente» ha spiegato durante un comizio. E poi via a menar fendenti contro banche e tecnocrazia (Banca d’Italia compresa) con cui sembra abbia proprio un conto da regolare. «Basta regali» ha sibilato, e soprattutto «meno lezioni e più ispezioni». PAOLO BARONI