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 2008  aprile 16 Mercoledì calendario

Barra al centro Il Pd è tentato dalla carta-Casini. La Stampa 16 aprile 2008 Walter Veltroni alza il foglio con il grafico, e le telecamere lo rimandano ingigantito sul maxischermo che è alle sue spalle

Barra al centro Il Pd è tentato dalla carta-Casini. La Stampa 16 aprile 2008 Walter Veltroni alza il foglio con il grafico, e le telecamere lo rimandano ingigantito sul maxischermo che è alle sue spalle. Sta mostrando il diagramma del potenziale consenso elettorale delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra da metà 2005 ad oggi. «Il punto più alto per noi - spiega - è prima del voto del 2006: 58 a 42 a nostro favore. Ed ecco dove eravamo nel giugno 2007, quando è cominciata l’avventura del Partito democratico: 59 a 41 a vantaggio del centrodestra. Insomma, eravamo quasi venti punti sotto...». Piove sul loft, su piazza S. Anastasia e sulla enorme sala stampa nella quale Walter Veltroni, con al fianco Dario Franceschini, tratteggia - non richiesto - i capisaldi di una ipotetica linea difensiva: ammesso che qualcuno lo stia attaccando e che abbia, dunque, bisogno di difendersi. Il cielo è nero, sconfortante. Più o meno come il risultato elettorale. Ma se qualcuno pensa a un Veltroni depresso e in ritirata, vuol dire che non conosce a sufficienza ”Vuolter, il finto buono”. «Paghiamo le difficoltà di rapporto tra il governo e il Paese - insiste, nel caso il messaggio non fosse stato chiaro -. I partiti che hanno sostenuto l’esecutivo hanno perso per strada 2 milioni e 600 mila voti. Per fortuna che noi e Di Pietro siamo andati avanti... Di positivo c’è la semplificazione del sistema avviata con la nascita del Pd. Dobbiamo solo continuare su questa strada con ottimismo. Del resto, è successo quel che accade dal 1994 in poi: chi governa perde...». E poi, certo, c’è il Nord dove si va male; e soprattutto c’è la sconfinata provincia italiana, il ventre molle del Paese, dal Friuli alla Sicilia, dove il messaggio del Pd - sottile, forse eccessivamente sofisticato - non è arrivato. «Nelle grandi città siamo andati bene. Altrove il nostro messaggio non è arrivato... Ma è in campo, finalmente, una grande forza riformista. Ripartiamo da qui, con ottimismo». Il sorriso, la sicurezza e perfino una certa spavalderia sono quelle di chi non si sente in discussione. E deve voler dire, quindi, che il lungo conclave che ha preceduto la conferenza stampa del leader del Pd «è andato bene»: da D’Alema e Marini, da Bersani e Bindi, da Arturo Parisi ad Amato nessun attacco a Veltroni ed alla sua solitaria campagna elettorale? «Nessuna obiezione - dice D’Alema -. Non ho sentito critiche». «Una discussione serena, anzi serenissima», aggiunge Rosy Bindi. E parlando con ”l’Espresso”, Arturo Parisi - prodiano ante litteram e tra i più critici nella fase d’avvio del Pd - sistema le cose così: «Ora sarebbe facile infierire su chi porta per intero la titolarità della campagna elettorale, e lo dico con simpatia per Walter: ma qui è in gioco un intero gruppo dirigente, è stata una sconfitta collettiva... Le sconfitte sono onorevoli se ti batti per la vittoria. Veltroni si è battuto, nessuno può prenderne le distanze. Non so se per tutti sia onorevole, ma per Veltroni è una sconfitta onorevolissima...». Naturalmente il clima cambierà: ma per ora nessun ”processo a Walter”, anche perché non si capisce chi potrebbe vestire i panni dell’accusatore. Marini ha perso l’Abruzzo, D’Alema ha deragliato in Puglia, nell’Emilia di Bersani e Franceschini ha Lega ha sfiorato l’8%, Rutelli ha i suoi guai a Roma e nessuno, insomma, può arrivar qui, al loft, e mettersi a dare lezioni. Consigli sì, naturalmente. Come Bersani: che riprendendo alla lontana un tema polemico circa il carattere del Pd (partito liquido o strutturato, ricordate?) ha insistito che il nuovo partito si radichi sul territorio «luogo fondamentale per capire i bisogni della società». O come Enrico Letta, che ha individuato nell’Udc il partito a cui guardare per tornare ad esser maggioranza nel Paese: «E’ con Casini che bisogna aprire subito un dialogo, anche per evitare che venga riattratto nell’orbita del centrodestra». E Marco Follini va oltre: «Scommetto che l’evoluzione naturale sia quella di un’alleanza tra Pd e Udc». L’evoluzione la vedremo. Per ora, dentro e intorno al loft, sono altri i problemi da affrontare. Intanto rendere più collegiale la gestione del partito, perché finita la campagna elettorale e perso il governo ci sono ex ministri in rientro e un gruppo dirigente da formare. Si creeranno nuovi organismi dirigenti, c’è da scegliere i nuovi capigruppo (favoriti Bersani alla Camera e Zanda al Senato). Si litigherà, probabilmente: ma è cosa fisiologica, diversa dal ”processo a Veltroni”. «Ha fatto un lavoro straordinario - lo incoraggia da Bologna Sergio Cofferati - resta molto da fare, però c’è una stagione nuova». E dentro questa stagione, forse, c’è il problema dei problemi: il Pd ”a vocazione maggioritaria” ha perso la sua sfida, da solo non ce la fa. Con chi allearsi, allora, per ridiventare maggioranza nel Paese? Il bivio è chiaro: da una parte c’è Casini, dall’altra una sinistra che prova a rinnovarsi. Da che parte andare? Ecco, se proprio nel Pd si deve litigare, forse sarebbe meglio cominciare da qui, piuttosto che da processi in cui - per altro - davvero non si vede chi possa vestire i panni comodi del pubblico e postumo accusatore... Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, è arrivato ieri sera a New York: oggi interverrà al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E non una parola con i giornalisti, che pure è passato a salutare nell’aereo che da Roma lo ha portato negli Stati Uniti. Un silenzio amareggiato. Quasi, cerca di sdrammatizzare chi gli ha parlato, un «silenzio-dissenso». Prodi cerca di pensare ad altro. Eppure, racconta chi gli è stato vicino in queste ore, il Professore non ha potuto fare a meno di notare la «fine» di quelli che, in un modo o nell’altro, ne hanno minato l’azione a Palazzo Chigi, fino alla caduta. Nessun astio, ma tanto rammarico per non aver completato la legislatura. Il lavoro era impostato sui cinque anni, e il risanamento, pur tra le tempeste finanziarie globali e lo spettro della recessione che aleggia sui mercati, stava cominciando a dare i suoi frutti. FEDERICO GEREMICCA