La Stampa 20 aprile 2008, Riccardo Barenghi, 20 aprile 2008
VENDETTE ARCOBALENO
La Stampa 20 aprile 2008
Andavan combattendo ed eran morti. Viene in mente l’Orlando innamorato assistendo a quello che sta succedendo in queste ore dentro Rifondazione comunista. Sta succedendo che dopo una sconfitta elettorale di proporzioni storiche, che ha cancellato la sinistra italiana dal Parlamento, il gruppo dirigente di quel partito si spacca in due, forse in tre. E su cosa si spacca?
Non sulle ragioni della disfatta, non su quello che bisognerà fare in futuro, soprattutto non sul fatto evidente che la stragrande maggioranza degli italiani – diciamo pure l’unanimità meno il 3 per cento – ha seppellito Rifondazione e i suoi alleati sotto una valanga di schede elettorali indirizzate ad altri o all’astensione.
No, il gruppo dirigente si spacca e si dilania su chi dovrà gestire il Partito fino al congresso e magari oltre, nel futuro. Quale partito? Quale congresso? Quale futuro? Dovrà gestirlo il segretario uscente Giordano, che pure una prima analisi della débâcle l’ha tentata («Siamo stati un fuscello nella tempesta, percepiti come un residuo»), oppure il ministro (sempre uscente) Ferrero? Dovranno gestirlo insieme, oppure il secondo farà le scarpe al primo (e a Bertinotti). Discutono e si spaccano sull’ipotesi che Rifondazione debba o non debba sciogliersi, senza rendersi conto che è stata già sciolta una settimana fa. E non solo dal risultato delle elezioni politiche, ma anche da quello delle amministrative. Perché qui, prendiamo il caso di Roma, il voto per la Sinistra Arcobaleno era libero, non gravato dal ricatto del voto utile. Anzi, di più: il voto per loro era utile, utilissimo, perché erano in coalizione con Rutelli, e chi li votava aiutava Rutelli a vincere e a governare la Capitale. Eppure hanno preso il 4,5 per cento. Praticamente niente. Segno che i loro elettori si sono stancati, non ci credono più, guardano da un’altra parte o restano a casa. Segno insomma che è stato bocciato tutto il loro progetto politico, quello che hanno fatto e quello che volevano fare. Segno forse che ormai vengono considerati superflui, se non inutili.
E allora bisognerebbe ricominciare da questo micidiale dato politico e sociale, fermarsi un momento (mesi, magari anni), riflettere a fondo su quello che è successo. Se è stata la loro partecipazione al governo a ridurli così oppure se sarebbe andata così anche se avessero rotto con Prodi. Se dovevano sciogliersi prima, magari un anno fa, anticipando il Pd di Veltroni e dando vita a un Partito unico della sinistra senza usare formule contraddittorie e incomprensibli tipo «un soggetto unico e plurale». Oppure se invece è proprio finita la loro stagione.
Capire, anzi cercare di capire, perché operai, precari, giovani, insegnanti, impiegati, pacifisti, movimenti vari, insomma lo storico elettorato di sinistra, non li ha votati più. Eppure le loro idee, proposte politiche, rivendicazioni sono sempre state rivolte a quel mondo. Ma niente, quel mondo gli ha girato le spalle. Questo sarebbe il lavoro lungo, faticoso, anche penoso, che dovrebbero fare i dirigenti di Rifondazione e con loro pure quelli del resto dell’Arcobaleno. Se è vero che, malgrado il risultato elettorale, una sinistra esiste ancora in Italia, dovrebbero sforzarsi di capire perché questa sinistra non li ha votati. Cosa volevano, cosa gli rimproverano, se quello che hanno detto e fatto è stato giudicato vecchio, improponibile, scontato, inutile. E sulla base di questa ricerca – una volta si sarebbe chiamata inchiesta – ritentare l’avventura, magari pensando a qualche ricetta un po’ più al passo coi tempi rispetto a quelle usate finora.
Invece si apre una lotta di potere tra persone – persone che tra l’altro sono tutte corresponsabili del fallimento, visto che uno è il leader storico, uno il segretario, l’altro è il ministro e il quarto, Giovanni Russo Spena, era il capogruppo al Senato – che propongono linee politiche francamente poco comprensibili: ricominciare da Rifondazione, aprire Rifondazione, allearsi con non si sa chi, uscire nella società, ripartire dai comunisti... Dice per esempio Ferrero: «La necessità di fare una proposta unitaria per la sinistra non può basarsi su una costituente, perché a quel punto ci sarebbe anche una costituente comunista. In questo modo si spaccherebbe la sinistra su linee ideologiche e non politiche». Sono parole o strategie (chiamiamole così per carità di patria) che capiscono forse solo quelli che le dicono, neanche quelli che ascoltano o quelli che ancora li hanno votati. Figuriamoci gli altri, quelli che il voto glielo hanno negato. I quali, seguendo il dibattito in corso, assistendo allo scontro fratricida in atto, avranno tutte le ragioni del mondo per non pentirsi della loro scelta.
Riccardo Barenghi