Corriere della Sera 20 aprile 2008, Sergio Romano, 20 aprile 2008
Lettera. IL VATICANO E LA RUSSIA STORIA DI DUE PAPATI. Corriere della Sera 20 aprile 2008 In una conferenza a Siena sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa lei ha fatto un confronto tra il papato di Benedetto XVI e quello più mondialista e polacco-centrico di Giovanni Paolo II
Lettera. IL VATICANO E LA RUSSIA STORIA DI DUE PAPATI. Corriere della Sera 20 aprile 2008 In una conferenza a Siena sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa lei ha fatto un confronto tra il papato di Benedetto XVI e quello più mondialista e polacco-centrico di Giovanni Paolo II. Nulla da obiettare. Ma ho l’impressione che qualche ascoltatore abbia potuto interpretare il confronto come una contrapposizione fra un Papa «buono» (Wojtyla) e uno arcigno e chiuso (Ratzinger). Sarebbe l’errore dello stesso Pannella, tra l’altro. Personalmente, io vedo grande continuità’ non su tutto, certo – fra i due, e ritengo che Ratzinger sia di fatto Papa da molto prima dell’aprile 2005, in bicefala combinazione con Ruini e i suoi. Su Wojtyla molto di positivo c’è da dire, ma ci sono anche tantissime ombre che lei certo ben conosce. In più, c’è un qualcosa che quasi nessuno ha messo in evidenza: il nazionalismo polacco della famiglia del Pontefice e di lui stesso, aspetto imprescindibile per capire il suo modus operandi e la sua impossibilità di andare in Russia. Raffaele Ascheri raffaeleascheri@hotmail.it Caro Ascheri, Non ho competenze teologiche e non sarei in grado di confrontare le politiche ecclesiastiche dei due pontefici. Mi sono limitato a osservare che Giovanni Paolo II ebbe con l’Italia un rapporto alquanto diverso da quello dei suoi predecessori e che lasciò generalmente alla Conferenza episcopale la trattazione degli affari italiani. Credo che la sua maggiore preoccupazione in Europa, sino alla fine degli anni Ottanta, fosse la sorte della Polonia a cui dette, con i suoi viaggi, uno straordinario sostegno morale. E credo che la sua maggiore ambizione, dopo la fine della guerra fredda, fosse la riconquista cattolica del-l’oriente slavo. Era un’antica speranza a cui la Chiesa Romana non aveva mai rinunciato. Dopo la rivoluzione democratica di Pietrogrado nel febbraio 1917 e quella bolscevica dell’ottobre dello stesso anno, Benedetto XV sperò che il nuovo regime russo avrebbe permesso alla Chiesa cattolica ciò che l’impero zarista, custode dell’Ortodossia, le aveva sempre negato. Fu questa la ragione per cui mandò a Varsavia, come nunzio apostolico, mons. Ratti, ex prefetto della Biblioteca Ambrosiana. Ratti avrebbe dovuto sorvegliare attentamente l’evoluzione degli avvenimenti russi e prepararsi ad attraversare la frontiera non appena possibile. Quel momento, come sappiamo, non venne mai. Lenin fu spietatamente ostile verso qualsiasi confessione religiosa e Ratti tornò in Italia per diventare prima arcivescovo di Milano, poi, dopo la morte di Benedetto XV, papa con il nome di Pio XI. Quasi settant’anni dopo Giovanni Paolo II ritenne che il momento fosse finalmente giunto. Quando gli fece visita in Vaticano nell’autunno del 1989, Michail Gorbaciov credeva che il sostegno del Papa polacco avrebbe giovato alla sua immagine e pensò di poterlo conquistare con alcune concessioni importanti: la restituzione agli uniati ucraini, cattolici di rito greco, dei beni ecclesiastici confiscati a profitto degli ortodossi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e l’apertura di quattro grandi diocesi vescovili nello sterminato territorio russo. Le concessioni suscitarono le proteste degli ortodossi, ma permisero alla Santa Sede di iniziare la sua attività pastorale in Russia. Fu tuttavia una breve vittoria. Quando capì di avere bisogno della Chiesa ortodossa per consolidare il proprio potere, Boris Eltsin restrinse considerevolmente le prerogative della Chiesa cattolica e fece approvare dalla Duma una legge che escludeva il cattolicesimo dal novero dei culti «indigeni». Occorre aggiungere che Giovanni Paolo II, nel frattempo, si era servito, per l’organizzazione delle diocesi russe, di sacerdoti polacchi. Il suo patriottismo gli aveva velato lo sguardo e lo aveva spinto a dimenticare che i polacchi sono ancora, nell’immaginario russo, nemici secolari. Per Mosca il cattolicesimo rimane la religione del Paese che fu, sino all’inizio del XVII secolo, la maggiore minaccia per l’esistenza dello Stato zarista. Mi sembra che Benedetto XVI, dal canto suo, sia riuscito a riparare alcuni dei guasti provocati dal fervore apostolico del suo predecessore. Fra un interlocutore polacco e un interlocutore tedesco, i russi preferiscono tradizionalmente il secondo. Sergio Romano