Corriere della Sera 20 aprile 2008, GIORGIO DE RIENZO, 20 aprile 2008
LA LUNGA NOTTE DI LAURA, SOSPESA TRA AMORE E MORTE
Corriere della Sera 20 aprile 2008
LAURA UNA BELLA RAGAZZA DI VENTITR ANNI. A E LAVORA COME ADDETTA COMUNALE ALLE PULIZIE, MA SOGNA DI APRIRE PER CONTO SUO UN GABINETTO D’ESTETISTA. IN UN SALONE DI BELLEZZA HA CONOSCIUTO ANDATO A FARSI UNA LAMPADA PER ABBRONZARSI, LEI NE STATA SUBITO FOLGORATA. LORO RELAZIONE SENTIMENTALE SI BASER SU UNA FORTE ATTRAZIONE FISICA.
Durerà due anni, ma negli ultimi mesi diventerà burrascosa. Jimmy ha un’altra donna e Laura lo viene a sapere: insieme al doppio gioco del fidanzato, scopre un inferno di bugie.
Il ragazzo ha due anni più di lei, fa l’elettricista e anche lui ha un progetto da realizzare: vorrebbe diventare vigile del fuoco e non solo rimanere, come è ora, un pompiere volontario. Racconta a Laura che andrà a Roma per un corso e realizzare il proprio sogno. Quando torna, Laura ha la certezza che non è stato nella capitale ma in vacanza al mare con un’altra donna. Di più. Scopre che sta mettendo su casa per sposarla. Entra così all’improvviso nella loro storia Vanna, una donna di venticinque anni di Cesano Maderno.
L’esilio in Val Seriana
Scendono in campo i genitori, si intrecciano telefonate rabbiose: per tutti la storia ambigua deve finire. Lo pretendono soprattutto papà e mamma di Laura: la vedono beffata da un seduttore senza scrupoli che ne compromette il futuro. Forse Laura vorrebbe troncare pure lei il rapporto, ma Jimmy non ci sta. Anzi rilancia. Giura che lascerà Vanna e sposerà lei. Per ora le propone intanto una convivenza. Laura tentenna, ma poi decide sotto consiglio (o ordine?) dei genitori di salire a Clusone in Val Seriana, dove la famiglia ha un appartamento in una villetta defilata dal centro della cittadina.
Centodieci chilometri di distanza, più di un’ora di auto (a pigiare forte sull’acceleratore) potrebbero forse servire a far demordere Jimmy da un’insistenza un po’ villana. E invece il bellimbusto sale a Clusone con la sua Y10 quasi tutti i giorni. E’ ancora lì il sabato 31 luglio 1993, fino alle sette di sera, quando, dopo l’ennesima discussione, decide di ridiscendere in pianura. Ma il traditore impenitente non torna a Milano, raggiunge Vanna a Cesano.
L’allarme all’alba
Il giorno dopo, domenica primo agosto, cambia drasticamente il copione della storia. Dal canovaccio di una commedia banale, persino comica a suo modo, che mette in moto il classico triangolo d’amore, si passa bruscamente a un’unica scena tragica che ha come protagonista la solitudine della morte. Laura Bigoni è trovata uccisa sul letto della casa di montagna. E’ stata massacrata da nove coltellate: quattro alla gola, una più profonda al petto e le altre giù verso il ventre fino all’ultima all’inguine che apre nella zona perineale uno squarcio osceno.
I periti non avranno dubbi: il colpo finale della lama è il segno di uno sfregio, tipico in un delitto a sfondo sessuale. Non basta. Lo scempio è reso ancora più orrendo dal tentativo di fare un rogo del corpo della vittima. L’assassino ha cosparso il letto con una bomboletta di lacca e gli ha appiccato il fuoco, per ritardare (o confondere) le indagini.
Sarà un vicino di casa dei Bigoni a dare l’allarme all’alba, quando vedrà uscire fumo dall’appartamento. Sarà lo zio di Laura a trovare il cadavere della ragazza e a chiamare i carabinieri.
Le indagini delle prime ore, quando la scena del delitto parla con più eloquenza di dettagli, sono però approssimative. Anzi si tarderà troppo persino a mettere sotto sequestro la casa, in cui ci sarà un andirivieni sospetto di persone che finiranno per inquinare l’inchiesta.
E’ la situazione che si ripete spesso nei fatti di sangue che accadono in piena estate.
Secondo il medico che esegue l’autopsia, Laura è stata uccisa mentre era distesa sul letto, coperta solo da una maglietta. Il primo colpo di coltello l’ha trafitta al polmone: la vittima deve avere subito un forte choc che ha annullato in lei qualsiasi funzione vitale di reazione. Il materasso è intriso di sangue, ma non ce sono spruzzi alle pareti. Se ne sono trovate solo due gocce sul tappeto del bagno, portate di sicuro dall’assassino.
Che nel momento dell’omicidio la ragazza si trovasse a letto lo dicono i segni lasciati dalle coltellate: sono netti, mai strisciati. Se la vittima fosse stata sorpresa in piedi (è una logica deduzione) dopo il primo fendente al petto sarebbe caduta e avrebbe subito gli altri colpi con minor precisione. Perciò l’ipotesi più plausibile resta quella che si trovasse sdraiata seminuda con qualcuno che conosceva bene, prima che si scatenasse in lui la furia omicida.
Altri inquirenti, a sostenere questa supposizione, constatano che non si trovano segni di effrazione: l’assassino pertanto è entrato in una casa di cui aveva forse anche le chiavi.
Killer sconosciuto
Risultano spariti dall’abitazione un coltello da cucina (l’arma presunta del delitto) insieme a una collana e un braccialetto di poco valore. Ciò esclude l’ipotesi di un delitto per rapina. La casa viene perquisita. Sul comodino accanto al letto c’è un biglietto con un numero di telefono. Nel bagno, dal bidet e dalla mensola del lavandino vengono prelevati capelli che non possono appartenere a Laura.
Il numero di telefono porta a un giovanotto di ventitré anni, Marco detto «il biondino», tornitore di Endine, un paese che dista da Clusone venti chilometri. Il giovane è presto rintracciato. E’ l’ultima persona ad aver visto Laura viva e collabora con altri testimoni a ricostruire le ultime ore della ragazza.
Le cose sono andate così.
Dopo aver congedato Jimmy sabato sera e aver cenato Laura è andata alla Collina Verde, accompagnata dal vicino di casa Pietro (parcheggiatore della discoteca) e dalla moglie Teresa. Nel locale incontra Marco e da lui si è fa accompagnare a casa poco dopo la mezzanotte. I due giunti al portone della villetta vedono la luce accesa nell’appartamento. Secondo il «biondino» Laura non si scompone più di tanto. Dice all’amico che per il momento è meglio non salire. I due vanno in pineta e spensierati fanno l’amore, quindi tornano a casa per proseguire la loro notte di sesso. Ora la luce è spenta, dunque si può salire. Mentre il «biondino» parcheggia l’auto, Laura va. Marco, istruito, la segue dopo qualche minuto, ma quando arriva alla porta dell’appartamento la trova chiusa. Suona ma nessuno apre. Il giovane non si fa domande. In fondo ha avuto ciò che voleva, dunque se ne va senza pensare al fatto strano.
Non si fa domande sul comportamento del «biondino» neppure il magistrato (donna) che prende in mano l’inchiesta e raccoglie testimonianze.
Qualcuno in quella notte, passando sotto la villetta della tragedia, ha notato un taxi di Milano, una Croma gialla ferma sulla provinciale a pochi metri dalla casa di Laura. Una giovane barista, passando in auto alle tre e mezza da quelle parti, ha visto in strada una donna o meglio, come preciserà nel processo, l’«ombra di una figura femminile». Quando ritorna alle due, niente di particolare vede o ascolta Teresa, moglie del parcheggiatore della discoteca e vicina di casa di Laura. E tutto appare tranquillo anche al marito due ore dopo. L’unico che ha notato qualcosa è un vagabondo fuori di testa detto in paese «Andrea s’è perso»: ha visto un fantasma, anzi per essere più preciso racconta di avere incontrato il fantasma di una donna accoltellata.
I pochi fatti si aggrovigliano nelle chiacchiere del paese per comporre il quadro di un mistero che per gli abitanti di Clusone può avere una sola spiegazione. La stessa a cui punta il magistrato fino a costruire un teorema, forte di qualche indizio e del risultato della perizia che individua due dei capelli trovati nel bagno di Laura «fortemente compatibili» con quelli di Jimmy il traditore.
Non importa che non si riesca a rintracciare il taxista misterioso, né che siano stati trovati frammenti di jeans bruciati del vicino di casa, né tanto meno che sua moglie racconti che nei giorni precedenti Laura ha ricevuto in casa diversi uomini. Non si approfondiscono piste alternative.
L’atto di accusa
Il teorema è questo. Laura rincasa dalla Collina verde con il «biondino» e vede luce accesa. Se propose di tornare più tardi non poteva pensare che ci fossero i genitori, ma una persona che magari si sarebbe stancato di aspettare. Quando poi entra da sola nell’appartamento trova qualcuno che non teme: e quel qualcuno non può essere che Jimmy. L’omicida deve conoscere infatti la casa di Clusone. Il cancello della villetta di notte è chiuso a chiave. C’è però un’altra via d’ingresso: un cortiletto sul retro che conosceva solo chi abitava la casa. Lo conosceva però anche Jimmy, il quale sapeva pure che la chiave dell’appartamento era nascosta dietro il contatore del metano in quel cortile.
Jimmy, notoriamente geloso, deve aver visto Laura con il «biondino» e pensato a un tradimento. Ha atteso che la ragazza tornasse e poi l’ha uccisa con ferocia. Fra tante supposizioni, due sono gli elementi che lo possono incastrare. Primo. Solo un pompiere era in grado di sapere che con una bomboletta di lacca si potesse dare fuoco a un corpo. Secondo. I suoi capelli trovati nel bidet e sul lavandino gli sono caduti sicuramente dopo l’omicidio: lo conferma il fatto che Laura, prima di andare a letto, era stata in bagno a lavare gli slip, poi lasciati stesi ad asciugare. La constatazione che mancassero impronte digitali sulla bomboletta e che non ci fossero macchie di sangue per le scale dice con chiarezza al magistrato che l’assassino era stato lucido e determinato e non un maniaco sessuale occasionale.
Jimmy oppone al teorema un alibi: ma è un alibi di poco conto per il magistrato perché glielo fornisce la fidanzata ufficiale. Racconta che la sera prima della morte di Laura è andato con Vanna al cinema, che insieme sono rincasati verso mezzanotte per dormire. I due si sono svegliati alle sei perché il gatto miagolava, poi si sono preparati per una gita sul lago con la sorella di lei e il fidanzato. Al ritorno un messaggio della madre sulla segreteria telefonica lo avvertiva che i carabinieri lo cercavano.
Niente da fare. Il magistrato non è convinto dal racconto. C’è qualcosa che non le quadra e decide senz’altro di ordinare il fermo del giovane. E’ il 6 agosto quando Jimmy entra nel carcere di Bergamo, per restarci quattro mesi. Anche se sa di avere prove poco consistenti il magistrato vuole avere il processo nella speranza che nel dibattimento pubblico qualcuno incastri Jimmy. Il Gip del tribunale di Bergamo respinge la richiesta: il giovanotto è assolto per non aver commesso il fatto, prosciolta è Vanna dall’accusa di favoreggiamento. Il magistrato non demorde. Presenta appello a Brescia e ottiene finalmente che l’imputazione sia vagliata in aula. Dopo dieci ore di camera di consiglio, la giuria nel marzo del ’97 condanna Jimmy a ventiquattro anni per omicidio volontario e Vanna a un anno e quattro mesi.
Centoventi testimoni
Sono sfilati davanti alla Corte di Bergamo ben centoventi testimoni, ma l’unico elemento nuovo che pare convincere i giurati è il passo indietro fatto da Vanna, che da quando Jimmy è stato arrestato ha deciso di abbandonarlo. La donna in un primo tempo aveva detto di aver sentito nella notte del delitto la presenza del fidanzato accanto a sé. Poi corregge il tiro. Non può esserne sicura perché dormiva: e lei ha un sonno molto profondo. Dunque resta nell’alibi un buco di almeno cinque ore: il tempo sufficiente per Jimmy, secondo l’accusa, di andare da Cesano e Clusone, entrare nella casa di Laura, ucciderla in un raptus di gelosia e far ritorno.
Ma l’appello a Brescia, il 20 marzo 1998, azzera tutto. La corte non ritiene importante il dubbio di Vanna, ammette che gli indizi contro Jimmy possano essere inquietanti, ma non c’è una prova solida che li conforti. Le indagini e il processo hanno messo in luce la destrezza di questo spavaldo rubacuori geloso di tenere in piedi insieme la storia con una fidanzata ufficiale e con una fidanzata ombra, ma ciò non basta a fare di lui un assassino nel momento in cui è scoperto il suo doppio gioco. La Cassazione qualche mese dopo confermerà la sentenza e il giallo di Clusone resterà per sempre avvolto nel mistero.
Dopo la sentenza definitiva, la madre dirà che Laura fu uccisa due volte: la prima dall’assassino, la seconda da chi ne aveva infangato la memoria dipingendola come «una Lolita capricciosa ». L’impressione al contrario è che se non si venne a capo della storia torbida fu proprio paradossalmente perché chi condusse e seguì l’inchiesta si era troppo preoccupato di non offendere la vittima, scambiando la sua esuberante gioia di vita in colpa. I giornali pubblicarono più volte una fotografia di Laura. Il viso, incorniciato da una capigliatura un po’ demodé, è asimmetrico, gli occhi profondi hanno un leggero strabismo che rende la bellezza della ragazza più intrigante. Chiunque l’avesse frequentata intimamente poteva essere stravolto dal suo fascino.
Ma le convenzioni del perbenismo non consentono scandagli troppo profondi. La storia delle indagini sul delitto di Clusone, così ricca di omissioni conferma una sorta di censura preventiva mentre insegue caparbio la soluzione più facile e tranquillizzante. I tabù sono micidiali: il sesso libero e spensierato può diventare un vizio. Forse proprio per non violare questo tabù si lasciò libero un assassino.
GIORGIO DE RIENZO