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 2008  aprile 15 Martedì calendario

Sogni e deliri dei linguisti Adamo parlava inglese. Libero 15 aprile 2008 L’idea di una lingua originaria dell’umanità, "madre di tutte le lingue", è antica e risale al racconto biblico della Torre di Babele

Sogni e deliri dei linguisti Adamo parlava inglese. Libero 15 aprile 2008 L’idea di una lingua originaria dell’umanità, "madre di tutte le lingue", è antica e risale al racconto biblico della Torre di Babele. Nel corso dei secoli è stata ripresentata più volte in termini filosofici e religiosi, finché nel Novecento non è entrata nel dibattito scientifico, dividendo gli studiosi. C’è chi ne afferma l’esistenza, e la possibile sopravvivenza nelle lingue attuali, e chi invece la nega, ritenendo un’origine non unitaria del linguaggio, la cosiddetta "poligenesi", più conforme alla diversità linguistica del pianeta. Ma recentemente un gruppo di linguisti americani ha tentato di dare una risposta definitiva alla questione riprendendo il filo delle ricerche fin qui condotte sulla supposta "Ursprache". L’uscita di ponderosi volumi è stata accompagnata da annunci di scoperte sensazionali: ricostruzioni di parole "primordiali" che la stampa ha trattato alla stregua di ritrovamenti paleontologici. E siccome si è detto che una di queste parole suonava pressappoco come l’inglese "milk", non è mancato chi, preso da una specie di trance poetica, ha scritto versi in questa lingua "ricostrui ta". La caccia alla madre di tutte le lingue è diventata popolare, ma i risultati non sono stati entusiasmanti ed anzi hanno avuto un’eco molto modesta nell’ambi to della linguistica. In compenso però hanno suscitato un notevole interesse in altri settori di ricerca: archeologia, paleontologia e genetica, orientate verso tesi "unitaristiche". Cavalli-Sforza ha abbracciato con convinzione la tesi della monogenesi linguistica, che naturalmente è tutt’altra cosa da quella biologica, ed ha auspicato più volte la traduzione in inglese del dimenticato libro di Afredo Trombetti, "L’unità d’origine del linguaggio" (1905). Il linguista italiano fu il primo a tentare la ricostruzione della lingua adamitica, emulato solo in parte nell’impresa dal danese Holger Pedersen che, comparando lingue di ceppo diverso come quelle indoeuropee ed uraliche, postulò una più ampia, ed antica, unità linguistica eurasiatica, da lui chiamata «nostratico» (dal latino "no ster"). Le sei "protolingue" Queste teorie furono riprese piuttosto tardivamente dalla scuola sovietica, relativamente isolata e tradizionalmente amante delle grandi sintesi. I suoi maggiori esponenti, Vladislav Illich-Svitych e Aaron Dolgopolsky, non ebbero difficoltà ad identificare il nostratico con la Ursprache trombettiana e compilarono una lista di più di venti parole appartenute a questo supposto idioma ancestrale, capostipite di sei protolingue: indoeuropeo, afroasiatico, kartveliano (caucasico), uralico, altaico e dravidico. Un altro linguista russo, naturalizzato americano, Vytal Shevoroshkin, si dedicò ad arricchire questo supposto vocabolario ancestrale e finalmente nel 1987 Merritt Ruhlen in "A Guide to the World Languages" presentò una sintesi delle ricerche fin qui condotte, fissando a 25 la lista delle "radici mondiali" ritenute sicure . Tra di esse il nome per "acqua", corrispondente al latino "aqua", il numero due e la radice "tik", il cui senso originario ("dito") si sarebbe poi evoluto in "uno" e "mano". Oggi, grazie alla genetica, il nostratico è risalito nella considerazione scientifica, ma non per questo ha convinto la maggioranza dei linguisti. Oggetto di critica è anzitutto il metodo seguito nelle ricostruzioni, basate su raggruppamenti linguistici, le cosiddette "superfami glie", piuttosto vaghi, alcuni dei quali puramente geografici, senza contare che i termini ricostruiti vengono sottoposti ad ulteriori ricostruzioni in una sorta di processo ad infinitum che li rende sempre meno attendibili. La stessa possibilità di ricostruire (sulla base delle lingue attuali) delle parole parlate non meno di 25/30.000 anni fa viene considerata se non proprio utopistica, labile e malcerta. In base ai calcoli di Morris Swadesh, inventore della "glottocrono logia", due lingue imparentate, separatesi dalla lingua madre 7.500/10.000 anni fa, non arriverebbero a conservare più di due termini comuni, ed è chiaro che se si suppone una parentela ancora anteriore, si raggiunge lo zero. Le obiezioni di metodo non finiscono qui. Il nostratico implica la sopravvivenza di termini isolati , residuali, e ciò rende impossibile qualunque riscontro certo e sistematico nella forma delle parole. L’elemento fondamentale della comparazione diventa il significato e chi per poco conosce le lingue sa quanto questo possa essere ingannevole. L’australiano e il latino Si assume che determinate parole, ad esempio quelle che designano le parti del corpo, si conservino più di altre e si cercano fra le lingue "phono-semantic lookalikes forms", come ha scritto James A.Matisoff, cioè forme che assomigliano più o meno le une alle altre per raggrupparle in liste ad hoc. In una di esse, ad esempio, troviamo che l’australia no (sic) "gugu" e il latino "aqua" sono la stessa parola. Ma non ci viene offerto alcunché per afferrare la somiglianza e dobbiamo supplire con la fantasia. Conseguenza del metodo è che le "etimologie globali" proposte vengono periodicamente rimesse in discussione e di sicure ne restano sempre meno . Si dice, ad esempio che il nome per "acqua" sia una di queste , ma tra le lingue indoeuropee solo il latino ha "aqua", mentre il greco ha "üdor", che corrisponde a "unda". Tutte le parole, per quanto fondamentali, si perdono, o se si conservano, cambiano di senso. E chi può escludere che "aqua" non sia semplicemente un "mot voyageur" come nell’antichità la parola per "vino" ? D’altra parte John Greenberg, che sottopose ad una critica serrata tutte le radici ricostruite, ne salvò una: l’ormai famoso "tik". Se si assume coerentemente il punto di vista paleontologico, la madre delle lingue si riduce ad un insieme di prime parole largamente indipendenti dalle lingue storiche: le cosiddette parole infantili , "mamma", "tata", "papà", che con minime varianti si trovano in quasi tutte le lingue. A questi fattori psicolinguistici, e non certo ad un’eredità di "parole", è dovuta la frequenza, più volte riscontrata, di "N" e "M" nei pronomi di prima persona. Del resto, più che rimandare ad una lingua originaria, il racconto biblico della Torre di Babele sta ad indicare che la diversità è connaturata al linguaggio ed è nata con il linguaggio stesso. Paradossalmente gli uomini cessarono di capirsi quando nacquero le lingue. IL CASO LA LINGUA MADRE Secondo una corrente della linguistica (e paleontologi e genetisti) è possibile risalire a una lingua originaria dell’umanità, dalla quale si sarebbero staccate, in momenti diversi, sei protolingue (alla base di quelle attuali) LE PAROLE ANCESTRALI La teoria si basa sulla esistenza di una ventina di parole che sarebbero appartenute al supposto idioma ancestrale. Fra esse, "Acqua", "tik" (dito). Tuttavia queste "eti mologie globali" vengono continuamente rimesse in discussione e di sicure ne restano sempre meno. Segno che la teoria è meno rigorosa di quanto vorrebbe apparire LUCIO D’ARCANGELO