VARIE, 17 aprile 2008
LA VISITA DEL PAPA IN AMERICA
Dal 15 al 20 aprile Benedetto XVI era in visita negli Stati Uniti. Prima di lui ci sono andati Paolo VI (New York, 1965) e Giovanni Paolo II (sette volte). Il programma del viaggio prevedeva tappe a Washington e New York, l’incontro con George W. Bush (mercoledì), i festeggiamenti per il compleanno di Benedetto XVI (mercoledì), il meeting con esponenti dell’educazione cattolica e con rappresentanti di altre religioni (giovedì), l’intervento alle Nazioni Unite (venerdì), la Messa nella cattedrale di St. Patrick di New York (sabato), la visita a Ground Zero (domenica), la Messa allo Yankee Stadium (domenica). (radiovaticana.org)
E’ il suo l’ottavo viaggio apostolico internazionale, il primo negli Stati Uniti. Il motto è ”Cristo nostra speranza”, frase tratta dall’Enciclica Spe salvi.
Perché il viaggio negli Stati Uniti? Lo ha detto lo stesso Benedetto XVI intervistato dai giornalisti sull’aereo che lo portava da Fiumicino a Washington: "Il mio viaggio ha soprattutto due obiettivi. Il primo è la visita alla Chiesa in America, negli Stati Uniti. C’è un motivo particolare: la diocesi di Baltimora, 200 anni fa, è stata elevata a metropolia e nello stesso tempo sono nate quattro altre diocesi: New York, Philadelphia, Boston e Louisville. Così è un grande giubileo per questo nucleo della Chiesa negli Stati Uniti, un momento di riflessione sul passato e soprattutto sul futuro, su come rispondere alle grandi sfide del nostro tempo. E naturalmente, fa parte di questa visita anche l’incontro interreligioso e l’incontro ecumenico, particolarmente anche un incontro nella Sinagoga con i nostri amici ebrei, nella vigilia della loro festa di Pasqua. […] Secondo obiettivo, la visita alle Nazioni Unite. Anche qui c’è un motivo particolare: sono passati 60 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Questa è la base antropologica, la filosofia fondante delle Nazioni Unite, il fondamento umano e spirituale sul quale sono costruite. Quindi, è realmente un momento di riflessione, il momento di riprendere coscienza di questa tappa importante della storia. Quindi, questa visita, che avviene proprio in un momento di crisi dei valori, mi sembra importante per riconfermare insieme che tutto è incominciato in quel momento e per recuperarlo per il nostro futuro" (L’Osservatore Romano 16/4/2008).
"Forse mai come oggi Santa Sede e Stati Uniti sono state vicine". Lo dice Mary Ann Glendon, ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede in carica da febbraio. All’inizio della guerra in Iraq le cose non stavano certo così e Giovanni Paolo II si era espresso contro la politica estera di Bush. Per la Glendon è acqua passata: " vero che ci sono state opinioni diverse sia circa l’azione diplomatica, sia riguardo l’azione militare degli Stati Uniti, prima che questa iniziasse. Ora, tuttavia mi sembra che la Santa Sede stia appoggiando con convinzione gli sforzi degli Stati Uniti in Iraq per stabilire la pace, la sicurezza e la possibilità di autogoverno del Paese, così come ha certamente lo stesso atteggiamento verso gli sforzi degli Stati Uniti per dare sicurezza contro il terrorismo e specialmente contro l’uso del la religione come pretesto per la violenza" (Salvatore Mazza, Avvenire 13/4/2008).
Il Papa in America sta cercando anche di ricucire la ferita aperta dei preti pedofili. E gli americani sono rimasti colpiti dalle parole di Benedetto XVI: "Se leggo i resoconti di questi avvenimenti, mi riesce difficile comprendere come sia stato possibile che alcuni sacerdoti abbiano potuto fallire in questo modo nella missione di portare sollievo, di portare l’amore di Dio a questi bambini. Sono mortificato e faremo tutto il possibile per assicurare che questo non si ripeta in futuro. Solo persone sane potranno essere ammesse al sacerdozio e solo persone con una profonda vita personale in Cristo e che abbiano anche una profonda vita sacramentale. Io so che i Vescovi ed i rettori dei seminari faranno il possibile per esercitare un discernimento molto, molto severo, perché è più importante avere buoni sacerdoti che averne molti" (L’Osservatore Romano 16/4/2008)
"Proprio da qui il Papa intende ripartire: il suo viaggio vuole dare nuovo lustro alla comunità dei fedeli americani, provare a fare una plastica facciale all’immagine della chiesa, riaccreditarla nei palazzi del potere, renderla una presenza ancora significativa sul piano spirituale ma anche diplomatico. Non è detto che ci riesca" (Mi.De.Ci, il manifesto 15/4/2008).
Intanto l’attenzione dei media americani intorno a questo viaggio è stata fortissima: Time gli dedica una copertina, il New York Times un inserto speciale, la Cbs un documentario. Elena Molinari: "Il taglio degli approfondimenti dedicati alla visita papale è positivo. Nel presentare la figura di Joseph Ratzinger a un pubblico che lo conosce ancora poco, quotidiani, settimanali e televisioni hanno teso a metterne in evidenza il rigore intellettuale e la rara preparazione. Si nota anche uno sforzo di evitare gli stereotipi e le facili caratterizzazioni, come quella che vorrebbe come principale scopo della visita del Papa un ”richiamo all’ordine” di una Chiesa troppo indipendente o, addirittura, un desiderio di influenzare le elezioni presidenziali" (Avvenire 13/4/2008).
Gadget ufficiali sono in vendita sul sito popevisit2008.com: comprando il cappellino da baseball a 18 dollari, il magnete per il frigo o la tazza per il caffè a 8 dollari e il rosario a 19 e 95, si aiutano le diocesi di New York e Washington a pagare le spese della visita (almeno sei milioni di dollari). Poi ci sono il segnalibro papale (4 dollari) e la medaglia commemorativa con incisa l’immagine del pontefice (70 dollari). Non autorizzata, ma presente su Internet, la Colonia del Papa (30 dollari). Il profumo è prodotto in Ohio da un medico californiano che sostiene di averlo creato usando una formula segreta che apparteneva a Pio IX. C’è perfino lo skateboard ufficiale del Papa, disegnato Krystal Melendez, una ragazzina di 12 anni del quartiere ispanico di Washington Heights, che ha vinto un concorso apposito, organizzato dalla diocesi di New York (Mario Calabresi, la Repubblica 16/4/2008).
Un sondaggio realizzato pochi giorni prima del viaggio papale rivela che la maggior parte degli americani, anche non cattolici, ha una buona opinione di Benedetto XVI. Il 58% degli intervistati ha detto di considerare il Pontefice in modo positivo o molto positivo. Il 65% considera favorevolmente la Chiesa cattolica. Più del 70% vorrebbe ascoltare il Santo Padre su come permettere a Dio di entrare nella vita quotidiana (73%) (Avvenire 4/4/2008).
Negli Stati Uniti i cattolici sono 66.893.000, cioè il 22,6% della popolazione. C’è un sacerdote ogni 6.544 abitanti, 1.477 cattolici per ciascun sacerdote. Le istituzioni educative (scuole materne, elementari, medie e superiori) sono 12.498 (radiovaticana.org)
In un’indagine, solo il 2% dei cattolici intervistati dice di confessarsi almeno una volta al mese, il 12% dice di farlo varie volte all’anno, ma il 45% non si confessa mai. Poi ci sono quelli che dicono di poter essere buoni cristiani senza andare a messa la domenica. Sei su dieci hanno una statuetta o un’immagine della Madonna a casa (+7% rispetto al 2003). Il 32% degli intervistati porta un crocifisso al collo, il 29% una medaglietta con l’effigie di un santo o di un angelo, l’11% recita il rosario almeno una volta a settimana (Marco Tosatti, La Stampa 17/4/2008).
Nel generale rispetto per il viaggio pontificio, qualcuno si è lanciato comunque nel gioco ”a chi giova di più” la visita fra Barack Obama, Hillary Clinton e John McCain. Robert Reilly, che fu l’ufficiale di collegamento con i cattolici per Ronald Reagan, sostiene che McCain non può vincere senza il voto cattolico. E deve fare qualche cosa di concreto, per dimostrare che le sue idee collimano con quella di Benedetto XVI in tema di famiglia, santità della vita, pornografia e insegnamento religioso. I democratici sono forse avvantaggiati perché in molti stati il loro elettorato è tradizionalmente cattolico. Un sondaggio recente sostiene che nei 19 stati dove si sono tenute le primarie il 63 per cento dei cattolici ha scelto i democratici, e solo il 37 per cento i repubblicani (Elena Molinari, Avvenire 13/4, Marco Tosatti, La Stampa 17/4/2008).
Di sicuro il lustro maggiore sarà per George W. Bush, che per accogliere il Papa al suo arrivo è andato fin sotto le scalette dell’aereo, onore mai tributati ad altri. Bush, di religione metodista, è felice di averlo lì: "In un mondo dove alcuni invocano il nome di Dio per giustificare atti di terrorismo, assassinio, e odio, abbiamo bisogno del suo messaggio che Dio è amore". E poi: "In un’epoca dominata dalla dittatura del relativismo abbiamo bisogno del suo messaggio che ogni vita umana è sacra". Il Papa non era stato da meno: "Dio salvi l’America e la sua libertà. Rispetto grandemente la vostra società pluralistica e vengo come amico e annunciatore del Vangelo". Sulle questioni etiche (come il diritto alla vita), su quelle filosofiche (per esempio la necessità di proteggere la Fede dagli estremismi) e sulla questione irachena tra Casa Bianca e Vaticano c’è una sostanziale convergenza di vedute (Luigi Accattoli, Corriere della Sera 17/4/2008; Mario Platero, Il Sole-24 Ore 15/4/2008; Giacomo Galeazzi, La Stampa 17/4/2008).
Michael Novak (è il politologo americano vicino al Vaticano e al tempo stesso il teologo cattolico più ascoltato dalla Casa Bianca, ndr.), che cosa hanno in comune il Papa cattolico e il presidente americano?
"Il fatto che credono fermamente nella speranza".
Verso dove la indirizzano?
"Sperano, e credono, soprattutto in un futuro di libertà e democrazia per l’intero Medio Oriente".
Perché?
"In quanto condividono un profondo amore della libertà, considerandola il più importante regalo di Dio agli uomini. Avere un Papa cattolico e un presidente credente evangelico che guardano al futuro volgendosi nella stessa direzione è un fatto di cui non può sfuggire l’importanza".
Questo significa che i disaccordi sulla guerra in Iraq che Bush ebbe con Giovanni Paolo II sono oramai superati?
"I disaccordi furono con Karol Wojtyla quando la guerra iniziò nel 2003. All’epoca nel presidente americano prevalse la necessità di far rispettare le risoluzioni dell’Onu sull’Iraq al fine di evitare che Saddam Hussein riuscisse a delegittimare le intere Nazioni Unite. Oggi la situazione in Medio Oriente è diversa. Bush e Ratzinger condividono l’idea di una Medio Oriente fondato sullo Stato di diritto, sulla libertà e sul rispetto dei diritti delle minoranze, a cominciare dal diritto di praticare la propria fede".
Fuori dallo scacchiere del Medio Oriente qual è l’altra aerea dove ritiene che le azioni dei due leader convergano di più?
"L’Africa. Tanto il Papa che il presidente hanno una forte passione per questo grande continente che rimane attanagliato dalla sofferenza, dalle malattie e dalla povertà. Credono nella possibilità che possa risollevarsi andando incontro ad una stagione di sviluppo e prosperità. Vogliono aiutarlo. Il presidente Bush sta dedicando molte risorse e molto tempo all’Africa e ciò coincide con l’agenda di Benedetto XVI. Credo che nei prossimi mesi vedremo intensificarsi l’interesse per l’Africa".
E che cosa invece distingue di più il Papa e il presidente?
"Il fatto che il Papa ha la formazione di uno studioso, un teologo, un pensatore che ha letto ed approfondito i tomi della conoscenza umana mentre la genesi del presidente Bush è assai differente. Si tratta di uomo più mondano a cui è capitato di sposare una bibliotecaria. Fu l’incontro con Laura a diventare un momento di svolta nella sua formazione. Certo, oggi sappiamo che Bush gareggia ogni mese con Karl Rove per chi riesce a leggere più libri e sappiamo anche che il presidente riesce a finire un libro al mese ma ciò non toglie che la sua formazione non è proprio quella di un teologo" (Maurizio Molinari, La Stampa 17/4/2008).
Tutto ciò ha fatto dire al Washington Post che Bush è il "primo presidente cattolico degli Stati Uniti". John Kennedy, infatti, il primo vero presidente cattolico, aveva cercato di prendere le distanze dalla sua fede religiosa. Bush ha maturato una vicinanza al cattolicesimo circondandosi di un cenacolo di intellettuali e religiosi cattolici, fra questi Padre John Neuhaus, che da dieci anni a questa parte ha spiegato e dibattuto con il presidente le dottrine sociali della sua Chiesa (Mario Platero, Il Sole-24 Ore 15/4/2008).
L’articolo del Washington Post parlava di un Bush affascinato dalla storia millenaria del Chiesa e dalla sua teologia, ma Paul Weyrich, attivista della destra religiosa, va oltre e scommette che alla fine del suo mandato il Presidente seguirà le orme di Blair convertendosi al cattolicesimo. A parte queste affermazioni di ”fantareligione”, non c’è dubbio che Bush sia profondamente influenzato dal pensiero cattolico. Massimo Gaggi: "Gli analisti politici ne erano consapevoli da tempo, visto che Bush si è circondato di collaboratori cattolici molto più dei suoi predecessori e che aveva cominciato a manifestare grande attenzione per la Chiesa romana prima ancora di divenire presidente: da governatore del Texas, mentre si preparava a lanciare la sua candidatura, convocò alcuni intellettuali cattolici che lo istruirono sui principi della dottrina sociale della Chiesa. Appena insediato, nel gennaio del 2001, come primo atto ufficiale invitò a cena l’arcivescovo McCarrick mentre Karl Rove, il suo celebre ”braccio destro”, pur essendo un episcopale, chiese che i suoi uffici nella West Wing della Casa Bianca venissero benedetti da un sacerdote cattolico". Questa tendenza verso la Chiesa la vedono tutti, tranne i blogger radicali che elencano su Internet tutte le politiche della Casa Bianca incompatibili con il cattolicesimo: dall’invasione dell’Iraq alla pena di morte (Corriere della Sera 17/4/2008).