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 2008  aprile 16 Mercoledì calendario

Lettera. L’ECONOMIA GLOBALIZZATA. Corriere della Sera 16 aprile 2008 Ho sentito in televisione Giulio Tremonti affermare, come fosse verità indiscutibile, che fu «Prodi a far entrare la Cina nell’Organizzazione mondiale del Commercio»

Lettera. L’ECONOMIA GLOBALIZZATA. Corriere della Sera 16 aprile 2008 Ho sentito in televisione Giulio Tremonti affermare, come fosse verità indiscutibile, che fu «Prodi a far entrare la Cina nell’Organizzazione mondiale del Commercio». Mai avrei immaginato che Prodi fosse (o fosse stato) così potente. Immagino che se non fossimo stati in campagna elettorale e se l’onestà intellettuale non fosse un optional, sarebbe stato corretto affermare che «durante la presidenza di Romano Prodi» la Commissione europea (così come gli Usa, la Russia ecc.) consentirono l’adesione della Cina all’Omc. Per amore di verità, può darci la sua versione dei fatti? Marco Pisano marcolone2@hotmail.com Caro Pisano, Non ho visto la trasmissione in cui Giulio Tremonti avrebbe attributo a Romano Prodi la responsabilità dell’ingresso della Cina nella Organizzazione mondiale del Commercio. Posso soltanto ricordare che l’adesione avvenne l’11 dicembre del 2001, quando Prodi era presidente della Commissione, e che il sì dell’Unione Europea fu indispensabile. Ma non credo che Prodi, in quella occasione, sia stato più responsabile di George W. Bush, del primo ministro giapponese, dei singoli governi nazionali dell’Ue e di altri protagonisti dell’economia mondiale come il Brasile, l’India, l’Indonesia, il Canada, l’Australia. Mi chiedo d’altro canto se la parola «responsabile», quando viene usata con un significato implicitamente negativo e una intenzione apparentemente accusatoria, sia adatta alla questione dell’ingresso della Repubblica popolare nella maggiore organizzazione economica mondiale. Da quasi trent’anni la Cina cresce mediamente di una percentuale che si aggira intorno al 10% del suo Prodotto interno lordo. Il suo prodigioso sviluppo ha creato un nuovo ceto sociale (fra i 300 e i 400 milioni di persone) che ha un livello di consumi comparabile a quello dell’Europa. Le sue esportazioni le hanno assicurato un credito delle partite correnti che è stato largamente investito in buoni del Tesoro americani e ha contribuito per molti anni alla buona salute dell’economia degli Stati Uniti. Il suo sviluppo industriale ha attirato capitali stranieri e ha promosso la creazione di un gran numero di «joint ventures» con imprese americane, europee e giapponesi. Le sue esportazioni a buon mercato verso l’Europa hanno nuociuto ad alcune nostre attività industriali tradizionali, come il tessile, ma hanno reso un buon servizio ai consumatori e tenuto il livello dell’inflazione sotto controllo. Dopo avere approfittato dei suoi bassi salari per conquistare mercati internazionali e attrarre imprenditori stranieri, ha recentemente cominciato ad aumentare le retribuzioni: una circostanza che avrà l’effetto di accrescere i consumi e le importazioni, soprattutto di impianti industriali per i settori in cui il governo cinese ha interesse a compensare la maggiore spesa salariale con l’aumento della produttività. Di fronte a questo fenomeno avevamo tre scelte. Potevamo lasciare la Cina libera di crescere selvaggiamente. Potevamo cercare di arroccarci dietro barriere protezionistiche. Potevamo ammettere la Repubblica popolare in una organizzazione che, pur tutelando la libertà del commercio, impone agli Stati alcune severe regole di buona condotta. Scegliere la terza strada, qualsiasi cosa dicano la Lega e Tremonti, è stata un prova di saggezza. So che esistono ancora molti critici e mi chiedo come mai non si siano accorti che la crisi finanziaria americana avrebbe avuto ripercussioni molto più gravi sul resto del mondo se non esistessero oggi nuove potenze economiche, come la Cina e l’India, che hanno contribuito a far girare il volano della economia mondiale. Mentre gli Stati Uniti saranno per buona parte dell’anno in recessione, l’Europa e l’America Latina continueranno a crescere. E questo si deve in gran parte a ciò che molti continuano a considerare una calamità: la globalizzazione. Sergio Romano