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 2008  aprile 16 Mercoledì calendario

«Fuori dopo 45 anni Ma posso insegnare a tutti». Corriere della Sera 16 aprile 2008 «Non ce l’ha fatta »

«Fuori dopo 45 anni Ma posso insegnare a tutti». Corriere della Sera 16 aprile 2008 «Non ce l’ha fatta ». Alla caffetteria di corso Umberto hanno tenuto la radio accesa fino all’ultimo. I due signori con i baffi e la coppola appoggiano al banco il primo caffè della giornata. «No, questa volta non ce l’ha fatta» dice uno. «Prima o poi doveva succedere » replica l’altro. Il barista spegne la radio. Ormai il voto è storia, non ci sono più speranze. « negli ultimi comizi che si capisce. Io ho sempre visto un grande coinvolgimento intorno a me. Ma alla stretta finale ho avuto la sensazione che non ce l’avrei fatta. Me la sono tenuta per me, non volevo ferire la gente che mi stava intorno. Comunque, è stato giusto provarci ». Ciriaco De Mita esce dalla sua villa che è mattina presto. Lo aspettano a Roma, una serie di appuntamenti con i vertici dell’Udc. «Nei momenti di difficoltà non si scappa, mai. Nel 1982 persi le elezioni o meglio, non le vinsi. Ma salii sul palco da solo e dissi che ero il responsabile della sconfitta. Non mi feci scortare dal resto del gruppo dirigente, come ha fatto Veltroni. Che brutta scena. Ha voluto recitare la parte dell’uomo solo al comando. I grandi leader però sono soli per condanna, mai per scelta». Nusco è ancora deserta, per strada non c’è nessuno, folate di aria fredda. In piazza De Sanctis l’ex circolo della Margherita «Della Vecchia» è abbandonato dal pomeriggio di lunedì. Il vento fa sbattere la porta aperta contro il muro, la sala è gelida. Alla parete ci sono foto in bianco e nero che sono il riassunto di una vita. Lui con Aldo Moro, con Giovanni Paolo II, a un vertice internazionale, secondo da sinistra in una squadra che allinea, tra gli altri, François Mitterrand e Ronald Reagan. I manifesti elettorali con la sua faccia sorridente sono sparsi per terra, Ciriaco De Mita che sorride e dietro il cielo di Nusco, così pulita e ordinata da sembrare un angolo di Svizzera in Irpinia. Nel buio dell’urna, la sua città ha consegnato il 56,59 per cento dei voti all’Udc, il nuovo approdo di De Mita. Non sono bastati. Fuori, per la prima volta. «L’idea che la mia ossessione fosse quella di stare in Parlamento è quanto di più falso possa essere pensato. Io non ho mai concepito comportamenti legati alla mia presenza, altrimenti la mia vita sarebbe molto diversa. Questo non è un addio. La politica può essere fatta in centomila modi, e io credo di conoscerli. Proverò a rendermi utile sul territorio». Ciriaco De Mita non è per nulla triste, solitario y final. Nusco sembra risentire dello «sgarbo», così lo chiamano alla caffetteria. Lui no. Era il 16 maggio 1963 quando entrò per la prima volta alla Camera. I Rolling Stones non avevano ancora inciso il loro primo disco, a John Fitzgerald Kennedy restavano sei mesi di vita, il Molise non era una regione e il Milan doveva giocarsi la sua prima Coppa dei Campioni. «Non ho rimpianti. Neppure per quest’ultima avventura. O si faceva il 12 per cento o ci si fermava al 7%. Era difficile». Ci ha provato, in elezioni che cadevano esattamente vent’anni dopo quel 13 aprile 1988, l’apogeo della sua carriera, quando giurò da presidente del Consiglio, sommando la carica a quella di segretario Dc, una doppietta inedita che gli valse l’etichetta di uomo più potente d’Italia. «Mai amato quella definizione. Un peso e un modo per imbrigliare il mio lavoro». Poca elegia nelle sue parole e nessuna voglia di abbandonarsi ai ricordi, soltanto un tributo al «più grande statista della nostra storia», Aldo Moro. «Una volta mi disse che non bisogna cambiare le persone, ma i loro comportamenti. Come aveva ragione». Ciriaco De Mita non vuole ricordare, non ora. Si sente ancora in gioco. Ama la politica di un amore incondizionato, che lo assorbe nei suoi ragionamenti. Il filo del suo discorso però torna sempre a Walter Veltroni, l’uomo che – racconta – per il suo ottantesimo compleanno gli mandò una torta accompagnata dal biglietto «80 anni dalla parte della democrazia » e poi lo ha giudicato troppo vecchio, non solo anagraficamente, per affidargli candidatura e Pd campano. «Ha perso anche lui. Se la dialettica con l’avversario non si arricchisce di una competizione mirata a risolvere i problemi, diventa un mero fatto di cortesia. Io non vedo nel Pd una proposta politica che si faccia carico di questa necessità. Veltroni ha giocato sulla suggestione, ma senza pensiero e radici, l’incantesimo finisce presto. Ed è quel che è avvenuto». Il risultato, dice, non lo ha sorpreso. «Questo bipartitismo, cosa ben diversa dal bipolarismo, non riflette la situazione politica italiana. Un anno e poi vedremo. Mio nonno ripeteva che, quando uno ha la sensazione che le cose siano semplici, vuole dire che non le ha capite. Il tempo ci dirà». Il tempo intende coniugarlo ancora al futuro. Nonostante gli 81 anni e la mancata rielezione che spezza un filotto di undici legislature consecutive. «Un dato che mi comunica lei, io non ho mai tenuto il conto». Altre elezioni verranno e Ciriaco De Mita non ha alcuna intenzione di abiurare alla sua vocazione. «Ho accumulato uno stato di servizio tale da potermi definire una risorsa. Libero da vincoli, dispenserò consigli a chi vorrà chiedermeli. Un ruolo che mi piace. Nella mia regione si voterà presto. Ci sarà una fase di riordino del potere sul territorio, molto delicata da gestire. E questi nuovi politici non sanno neppure di cosa si sta parlando». Marco Imarisio