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 2008  aprile 16 Mercoledì calendario

Si può lanciare un aereo di carta dallo spazio e recuperarlo a Terra? Tuttoscienze 16 aprile 2008 Il mistero è duplice

Si può lanciare un aereo di carta dallo spazio e recuperarlo a Terra? Tuttoscienze 16 aprile 2008 Il mistero è duplice. Se gli aeroplanini di carta sopravviveranno a un volo mai tentato prima e perché un ingegnere aerospaziale dell’Università di Tokyo abbia deciso di dedicare tanto tempo e tanti sforzi a un esperimento che sembra un «koan», «i problemi oscuri e assurdi che - ha scritto il celebre Fritjof Capra - devono indurre il discepolo Zen a rendersi conto nel modo più drammatico dei limiti della logica e del ragionamento». Ecco la sfida: lanciare dalla Stazione Spaziale Internazionale, che orbita a circa 400 chilometri da noi, una flotta di 100 apparecchi di carta a forma (vagamente) di shuttle e aspettare. Quanti di loro riusciranno a oltrepassare il muro dell’atmosfera e a posarsi indenni sulla Terra? «I nostri esemplari, realizzati grazie all’antica arte dell’origami, sono leggerissimi e, dato che la velocità è destinata a decrescere rapidamente già a un centinaio di chilometri d’altezza, abbiamo calcolato che il calore prodotto dall’attrito aerodinamico sarà estremamente basso. Ecco perché ci aspettiamo che rientrino senza carbonizzarsi». Lo sostiene Shiniki Suzuki, il professore che ha partorito la bizzarra idea e che con il suo team ha eseguito i calcoli di fattibilità. Al momento del lancio prevede che si tocchi Mach 20, vale a dire 20 volte la velocità del suono. Poi la planata rallenterà fino a Mach 7, comunque terrificante per i 30 grammi scarsi di ogni microscopico simil-shuttle (di appena 20 centimetri l’uno). La carta, in realtà, dovrebbe resistere, perché trattata con uno spray al silicone e quindi a prova di calore. Ma i dubbi rimangono. Non ci sarà modo di controllare a distanza le fasi del volo e ci vorranno, comunque, alcuni mesi perché si completi. Se le possibilità di sopravvivenza restano controverse, la statistica tende a generare scenari pessimistici. E’ molto probabile che la flotta superstite si perda, invisibile a chiunque, in un oceano e, se anche qualche esemplare si posasse sulla terraferma, dovrebbe essere recuperato immediatamente, prima che sia pestato, distrutto, polverizzato. «I pezzi rappresentano la versione spaziale del classico messaggio in una bottiglia affidato alle onde - ha sottolineato Suzuki -. Sarebbe fantastico se qualcuno li raccogliesse. Pensiamo di scriverci sopra una frase: ”Se ci trovate, contattate l’Agenzia Spaziale Giapponese al seguente indirizzo...”». L’unico test nella galleria del vento, al momento, ha messo sotto esame un prototipo di otto centimetri: ha mantenuto forme e prestazioni a una velocità di Mach 7 per 10 secondi, nonostante lo schiaffo di temperature oscillanti tra 200 e 300 gradi. Il design - ha spiegato Suzuki - è stato definito per minimizzare gli effetti devastanti del grande tuffo. E adesso il professore, che ha sfruttato le conoscenze della «Japan Origami Airplane Association», spera di ottenere l’ok definitivo proprio dall’ente spaziale di Tokyo. Così potrebbe essere Koichi Wakata, l’astronauta nipponico atteso sulla Stazione in estate, a eseguire lo storico gesto, liberando il carico degli aeroplanini durante una passeggiata nel vuoto. Suzuki non fa che magnificare il suo test. Se è sbocciato come un modo anticonvenzionale per scoprire i limiti dei modellini di carta e stimolare l’attenzione verso la scienza e la tecnologia, il progetto potrebbe rivelare esiti inattesi e ambiziosi. «La nostra idea è ispirare nuove forme di design per veicoli di rientro ultraleggeri oppure per apparecchi di nuova generazione destinati all’esplorazione delle parti alte dell’atmosfera». Difficile dire. Intanto un’altra sfida si sta aprendo: il celebrato hi tech giapponese riuscirà a realizzare un mini-trasmettitore da installare a bordo di una seconda flotta di eterei mini-shuttle, senza alterarne irrimediabilmente le prestazioni? GABRIELE BECCARIA