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 2008  aprile 16 Mercoledì calendario

Rabbia e orgoglio: il Tibet visto da Pechino. Liberazione 16 aprile 2008 Durante l’ultimo mese di delirio mediatico su Tibet, percorso della fiaccola - blindata, nascosta e protetta come un capo di Stato - proteste e richieste, la Cina ha proseguito imperterrita sul proprio cammino sulla scena internazionale

Rabbia e orgoglio: il Tibet visto da Pechino. Liberazione 16 aprile 2008 Durante l’ultimo mese di delirio mediatico su Tibet, percorso della fiaccola - blindata, nascosta e protetta come un capo di Stato - proteste e richieste, la Cina ha proseguito imperterrita sul proprio cammino sulla scena internazionale. Ha siglato un accordo commerciale con la Nuova Zelanda, ha aperto il convegno internazionale di Boao e il business prosegue sia a Pechino, sia a Shanghai dove si corre verso il World Expo del 2010, tra salone nautico per yacht di lusso e altri incontri d’affari. Protagonisti: paesi europei, Italia compresa, Stati Uniti, Giappone, Australia. Come se le polemiche tra Europa, Usa e Cina fossero veicolate solo dai mezzi di informazione. Come se le accuse alla Cina facessero da obliquo corollario a ciò che più conta per la Cina come per i suoi partner commerciali: gli affari. Perché è opinione generalizzata che la Cina, nonostante le critiche e le accuse in relazione a repressione e rispetto dei diritti umani, esca vincitrice da questo mese sballato e colmo di grattacapi, grazie alla sua enorme potenzialità economica. Nessun paese al mondo può permettersi sgarri con la Cina, come dimostra il tentennamento generale nell’esprimere critiche all’ex Celeste Impero sulla questione tibetana. Perfino gli organi sportivi: i comitati olimpici nel loro documento conclusivo hanno omesso la parola Tibet. Proprio come volevano le autorità cinesi. Non stupisce dunque il rientro delle polemiche e il rilancio fatto dai governanti cinesi, in un’ottica che vede un’esposizione internazionale da gestire, una questione interna da chiarire e un arroccamento nazionalista che si evince dai siti web e dai blog dei milioni di internauti cinesi. Sullo sfondo i Tibet, gli uiguri e i tanti problemi che la Cina affronta per difendere il proprio prestigio di potenza mondiale. Il rilancio cinese La Cina rilancia e chiarisce. Un altro monito è giunto agli Stati Uniti e alla risoluzione sul Tibet, partorita giorni fa dalla camera dei rappresentanti, che distorcerebbe «in modo flagrante la storia e la realtà del Tibet». La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, non ha usato parafrasi: si sarebbe trattato di «una rude interferenza negli affari interni della Cina ed ha gravemente ferito i sentimenti del popolo cinese. La Cina è fortemente indignata e contraria a questa risoluzione». Poi ci ha pensato anche Hu Juntao, il presidente cinese, che ha affermato come il Tibet sia un «affare interno della Cina», lamentando l’ingerenza e accusando il parlamento europeo di «interferire nei propri affari interni», ribadendo la lettura cinese sui fatti tibetani: «il nostro conflitto con la cricca del Dalai Lama non è un problema etnico, religioso o di diritti umani, un problema di difesa dell’unità della Nazione o di divisione della madrepatria». Non stupisce, dunque, la notizia della chiusura sine die del Tibet gli stranieri, venendo meno alla promessa di aprire il territorio tibetano a giornalisti e turisti dal primo maggio. Una decisione che, forse, dimostra quanto ancora sia complicata la situazione in Tibet, sotto il profilo della repressione e della chiarezza. La Cina, è opinione di molti osservatori, si sarebbe fatta trovare stranamente impreparata da tale rivolta, tanto che, non pochi anche in Cina, ritengono che sia stato creato tutto ad arte, per affrontare le problematiche con molto anticipo sui giochi olimpici. Gestire una rivolta in Tibet o nello Xinjang in agosto, sarebbe stato molto più complicato e difficile, con il paese invaso da turisti e impiccioni giornalisti occidentali. Rimane il fatto che la Cina ora deve affrontare la questione, in un momento in cui l’onda appare placarsi. Il Dalai Lama fa la star negli Stati Uniti - 150 mila assisteranno alle sue conferenze - mentre il percorso della fiaccola, in terra d’Africa attualmente, sembra poter progredire senza eccessivi problemi. L’attenzione dei cinesi allora si rivolge al proprio governo e ai suoi movimenti per gestire il disagio e le polemiche che giungono dall’ovest, nonostante una ulteriore stretta a internet e alla possibilità di raggiungere siti bannati (come quelli della Cnn e della Bbc). «Non comprate Luis Vitton» A pochi giorni dai fatti di Lhasa il mondo internet cinese si è stretto attorno ai propri governanti. E’ uscito anche un instant book che metterebbe in evidenza la verità sul Tibet, ovvero di come i media occidentali abbiano travisato la realtà, dando vita ad una campagna più anti cinese, che non pro Tibet. Una posizione che in Italia ha trovato il supporto del filosofo Vattimo, attraverso l’appello fatto circolare in internet che ha acceso discussioni e polemiche, specie in relazione all’ambiguità della richiesta di un’autonomia, spesso confusa in Occidente con il termine indipendenza, dai risvolti storici e culturali tutt’altro che semplici. E’ opinione del professore Stefano Cammelli, autore di Ombre Cinesi, che «trasformando il problema tibetano in una questione nazionale la protesta occidentale è andata a stimolare corde e accenti pericolosissimi e che garantiscono una risposta schematica, brutale, retrograda. Era questo che si stava cercando?». I cinesi, dal canto loro, non si capacitano delle proteste tibetane: «da un paese medioevale, con una teocrazia religiosa, gli abbiamo portato soldi, grandi opere e turisti. Cosa vogliono ancora?» E’ la posizione preminente delle opinioni e dei commenti sui blog. Sono nati anche siti di contro informazione, a loro modo: quello anti Cnn ha raggiunto picchi di collegamenti, mentre Sina.com ha lanciato una petizione contro i media occidentali: milioni le adesioni. Non solo. Nei meandri dei blog cinesi - spesso l’unico modo per arrivare a notizie censurate dai media filo governativi - sono partite anche iniziative di boicottaggio. Anche il prestigioso Guardian ha ripreso la polemica lanciata da un blog su una pubblicità della Coca Cola, apparsa in Germania, che sosterrebbe la causa tibetana. Più importante, invece, in termini di reale efficacia, appare il boicottaggio contro i prodotti francesi. Il Financial Times vi ha dedicato un focus: ai cinesi non è piaciuto l’atteggiamento ufficiale dei francesi. Ecco allora le liste dei prodotti da boicottare tra i quali spiccano L’Oreal (e il mercato dei cosmetici in Cina può considerarsi un boom in piena regola), Luis Vitton, Givenchy. Non è una novità per i cinesi: tre anni fa venne lanciata una campagna anti giapponese. Un impatto sensibile sul mercato, seppure di breve durata. I brand stranieri sono costantemente sotto l’occhio dei consumatori. La stessa Nike, anni fa, fu costretta a chiedere scusa «al popolo cinese» per una campagna pubblicitaria che ledeva la cultura del paese. Nonostante il boicottaggio, ironizza un blog del Celeste Impero, è un anonimo collezionista cinese che si è aggiudicato i nudi di Carla Bruni, moglie di Sarkozy, per 91 mila dollari ad un’asta di Christie’s. Il fronte tibetano Ieri il gruppo di esuli tibetani "Studenti per il Tibet Libero" ha «condannato con forza» la decisione del Comitato Olimpico Internazionale di confermare il passaggio della fiaccola olimpica in Tibet. «Consentire alla Cina di portare la fiaccola olimpica in Tibet mentre i tibetani vivono sotto la legge marziale è da incoscienti», ha affermato il direttore esecutivo del gruppo Lhadon Tethong. «Non è un problema di sport - ha aggiunto - è un problema di vite umane in una nazione che lotta per sopravvivere. Le persone di coscienza in tutto il mondo riterranno i membri del Comitato Esecutivo del Cio personalmente responsabili delle azioni del governo cinese in Tibet durante la staffetta della torcia». Un altro gruppo di esuli tibetani, la Campagna per il Tibet Libero, ha affermato che alcuni dei 50 monaci che giovedì scorso hanno manifestato contro la Cina davanti a un gruppo di giornalisti nel monastero di Labrang, nella provincia del Gansu, sono stati arrestati. Il gruppo non ha precisato quanti sono i monaci arrestati, e di quale reato siano accusati. I cinesi hanno smentito, ma è il segnale che in Tibet la questione è tutt’altro che chiusa. L’Asia Times ha aperto un varco di osservazione interno alle forze che protestano contro il governo cinese. Il fronte tibetano si starebbe frammentando: alcune frange del Tibetan Youth Congress, nato nel 1970, non condividerebbero la linea morbida del Dalai Lama. Non solo sarebbero più propensi a richiedere una esplicita indipendenza, ma non appaiono contrari anche a metodi violenti. I portatori di tali istanze sono per lo più giovani, educati in occidente, senza quello zelo religioso dei loro genitori. Rispettano il Dalai Lama, ma non lo considererebbero la propria guida spirituale. La questione, è più che mai aperta. Roberto Onorati