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 2008  aprile 17 Giovedì calendario

ASTERIX, LA BAVIERA E IL LOMBARDO-VENETO

La Stampa 17 aprile 2008
Sconcerto, sarcasmo, attesa. Una mescolanza di sentimenti ambivalenti e di giudizi contrastanti caratterizza in queste ore i commenti europei sull’Italia dell’immediato dopo-elezioni. Ma l’ironia è il motivo più appariscente, presente specialmente nei titoli dei giornali. I contenuti dei commenti sono più cauti e attenti. Ma segnalano sempre una grande sorpresa.
Tipica è la Frankfurter Allgemeine Zeitung, il giornale più importante in Germania, che non esita a mettere in prima pagina due vistose vignette di Asterix sotto il titolo «Perché di nuovo Berlusconi?». E Obelix risponde. «Sono matti questi romani!».
L’editoriale che accompagna le vignette è più controllato. Ma non dice né spiega in che cosa consista esattamente «la follia» politica degli italiani. Il sottinteso è che Berlusconi continua a essere considerato incapace di risolvere i problemi italiani ed è guardato con sospetto. All’interno dello stesso giornale c’è uno scontato riferimento a «Peppone», incarnazione della sinistra Arcobaleno, che è sparito dalla scena politica. Ma nell’articolo che volonterosamente descrive la confusione italiana, manca una spiegazione convincente. L’Italia, che con i suoi problemi d’invecchiamento della popolazione, di inefficienza, disoccupazione, crisi sociale si affida a un miliardario padrone di un vasto sistema mediatico, rimane semplicemente un enigma. «Un cangiante, impenetrabile solista da operetta nel concerto europeo». Rassegniamoci a questo modo di vedere il nostro Paese, fatalmente associato al berlusconismo sulla falsariga inaugurata anni fa. In questa ottica la tonalità più facile per il commentatore estero è il sarcasmo.
Ce lo siamo meritato? Tocca a noi - sostenitori o avversari di Berlusconi - spiegare agli europei che cosa sta accadendo davvero all’Italia. Ma è molto difficile, per molte ragioni. La prima ragione ovviamente è perché ce lo stiamo spiegando appena ora e faticosamente tra noi. La seconda è che usiamo un gergo politico-giornalistico praticamente intraducibile nelle altre lingue europee. Il terzo motivo - il più triste - è che l’immagine dell’Italia in questi anni è precipitata così in basso in ogni classifica di stima e simpatia, per cui rimontare è un’impresa disperata. Possiamo protestare quanto vogliamo, affermando che tutto questo è ingiusto. Ma ormai c’è un macigno comunicativo che rende difficile dialogare e farci intendere davvero (al di là delle cortesie diplomatiche) dai partner europei.
Del resto - e l’abbiamo scritto più volte su La Stampa - la campagna elettorale da parte dei leader dei due schieramenti è stata segnata da una scandalosa disattenzione alla politica estera ed europea. Siamo inchiodati ai nostri problemi interni, tutto è letto in chiave interna. Con una punta di vittimismo verso il grande mondo esterno, fuori da casa nostra.
La domanda-chiave ora è: il nuovo governo invertirà la rotta autoreferenziale, ricercherà contatti reali con i partner europei, oppure ci chiuderemo in un grande leghismo nazionale? A questo proposito, osservando la nuova cartina politica delle regioni settentrionali, viene spontaneo pensare a una situazione bavarese con una forte e dominante Csu. La Lega come una possibile variante del «Partito sociale cristiano» tedesco-bavarese? un accostamento epidermico o un’ipotesi da valutare seriamente?
A prima vista le differenze storiche e culturali sono abissali. Da una parte in Baviera c’è un partito storico, profondamente radicato in una regione che ha goduto d’una millenaria autonomia statale, dotato di un’ideologia conservatrice tradizionale ma capace di una straordinaria dinamica modernizzante. Dall’altro (tra le Alpi e il Po) c’è una forza nuova aggressiva, dall’ideologia visionaria sconclusionata, con comportamenti contraddittori ma capace d’interpretare bisogni di strati sociologicamente misti, tenuti assieme dall’appartenenza territoriale e da un intenso senso d’incertezza economica, sociale e persino culturale. Il collante sembra essere il crescente risentimento contro un centro politico statale «romano», inefficiente e percepito come rapace. troppo poco per trasformare la Lega in un partito social-popolare come la Csu e inventare una Baviera nell’Italia nel Nord.
La Baviera ha una tradizione antica di autonomia da gestire e modernizzare oculatamente, in un sistema nazionale federale solido e condiviso. Nelle regioni settentrionali italiane invece un sistema di autonomie amministrative è tutto da costruire: un sistema che il centro politico e partitico in decenni di chiacchiere non è mai riuscito a proporre. Questo complesso di autonomie amministrative (definito federalismo fiscale) rischia ora d’essere raggiunto a colpi di mano, con il pericolo di rompere il tessuto nazionale che soltanto un autentico sistema federale può garantire.
Ci si lascia andare anche alle reminiscenze del Lombardo-Veneto quasi a surrogare con un’esperienza storica reale l’irrealtà della Padania. Ma occorre andare cauti con le ascendenze storiche che hanno la pretesa di legittimare iniziative politiche che rispondono a logiche completamente diverse. La relativa autonomia del Lombardo-Veneto storico non rispondeva affatto ad alcuna struttura federalista o autonomista in senso moderno, bensì alla logica di un impero plurinazionale, nato e sviluppato per conquiste e accorpamenti di territorio. Anzi con il passare degli anni l’impero mostrava chiare tendenze al centralismo modernizzante. La buona amministrazione asburgica aveva poco a che fare con l’autonomia. Erano e sono due problemi diversi.
Ragionamento analogo vale se con l’evocazione del Lombardo-Veneto (ma perché non del Piemonte o della Liguria?) s’intende indicare un certo stile di vita e di lavoro, di gusto imprenditoriale e di prestazione professionale che caratterizzerebbe queste popolazioni. Ma un discorso completo e sensato dovrebbe far intervenire altre variabili, compreso un certo tipo di religiosità (quando ancora c’era, naturalmente), variabili che complicherebbero un quadro che non si lascia facilmente strumentalizzare a usi partitico-elettorali.
Lasciando le suggestioni storiche e tornando alla dura realtà odierna, la vera domanda è se la coalizione politica, guidata da Berlusconi, uscita vincente dalle consultazioni con il decisivo contributo della Lega, sarà in grado di proporre un sistema di autonomie fiscali senza pregiudicare la necessaria coesione nazionale.
Evidentemente questa impresa non può essere lasciata alla buona volontà, al senso di moderazione della sola Lega che, consapevole della sua nuova forza, dovrebbe abbandonare i toni aggressivi del passato. Ma appartiene al Dna della Lega tenere alta la tensione sui suoi obiettivi. La strategia delle dichiarazioni minacciose seguite dalla loro sdrammatizzazione ha funzionato troppe volte per essere facilmente abbandonata. Ciò che colpisce tuttavia nelle ultime vicende, nelle prese di posizioni pubbliche soprattutto di Umberto Bossi, è l’accentuazione del rapporto fiduciario personale con Berlusconi. Non credo che l’insistenza del leader leghista sul «mantenere la parola», sul valore dell’«amicizia personale» siano semplici espressioni retoriche o sentimentali. un modo di mettere in gioco esplicitamente il ruolo di leadership di Berlusconi e con essa la capacità di far marciare verso il federalismo fiscale tutto il Popolo delle Libertà.
Ma un serio sistema di autonomia fiscale non può essere costruito contro il Partito democratico e le altre formazioni schierate all’opposizione. Da qui l’altro quesito: chi oggi ha la credibilità e l’energia di far convergere tutte le forze politiche ragionevoli attorno a un grande progetto comune, senza che siano evocati «inciuci» o altre formule politicamente diffamatorie?
Gian Enrico Rusconi