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 2008  aprile 16 Mercoledì calendario

L’ambientalista scettico Capitolo XIII-XIV: Acqua Gli abitanti della Terra aumentano, e così pure il consumo di acqua

L’ambientalista scettico Capitolo XIII-XIV: Acqua Gli abitanti della Terra aumentano, e così pure il consumo di acqua. Ciò ha fatto dire a molti che c’è una «grave crisi idrica in agguato». Il rapporto ambientale delle Nazioni Unite Global Environment Outlook Report 2000 afferma che la scarsità di acqua costituisce una «vera e propria emergenza» e che «il ciclo dell’acqua non ha la capacità di rispondere in modo adeguato alle esigenze idriche dei prossimi decenni. Lo sviluppo in molte parti del mondo è già ostacolato da gravi carenze idriche e la situazione sta peggiorando». inoltre opinione diffusa che la carenza idrica aumenterà la probabilità di «guerre per l’acqua». La Terra è chiamata il ”pianeta blu” perché il 71% della sua superficie è ricoperto d’acqua. stato calcolato che la quantità totale raggiunge il volume di 13,6 miliardi di chilometri cubi, di cui il 97,2% è costituito dagli oceani e il 2,15 dalle calotte polari. Gli esseri umani usano il restante 0,65% di acqua disponibile, di cui lo 0,62% è costituito dalle acque freatiche. Servono secoli o millenni perché l’acqua potabile si accumuli nelle falde. Si calcola che se si sfruttasse tutta l’acqua freatica degli Stati Uniti, sarebbero poi necessari 150 anni per la ricostituzione completa della falda. Lo sfruttamento sconsiderato dell’acqua, dunque, può essere paragonato all’estrazione di qualsiasi altra risorsa naturale non rinnovabile. Ma le riserve sono alimentate in continuazione dal costante movimento dell’acqua tra oceani, aria, suolo e fiumi nel cosiddetto ciclo idrologico. Le piogge totali sulla terraferma ammontano a circa 113 mila chilometri cubi all’anno: calcolando un’evaporazione di 72 mila chilometri cubi nello stesso periodo di tempo, l’afflusso netto di acqua potabile è di circa 41 mila metri cubi annui, cioè come uno strato di acqua alta 30 centimetri su tutta la crosta terrestre. Poiché però parte di questa pioggia cade su aree remote, l’acqua piovana effettivamente a disposizione è circa 32.900 chilometri cubi.  importante distinguere tra prelievo e uso di acqua. Il primo indica la quantità rimossa e in genere gran parte dell’acqua prelevata viene restituita al suo ciclo. Per esempio, nell’Unione europea e negli Stati Uniti circa il 46% di quella prelevata è usato per il raffreddamento delle centrali elettriche e dopo l’uso è di nuovo immessa nel circolo per un successivo utilizzo. Allo stesso modo, l’80-90% dell’acqua impiegata nell’industria è restituita per altri usi. Perfino il 30-70% dell’acqua utilizzata per l’irrigazione ritorna nei laghi e nei fiumi, o penetra nelle falde acquifere rientrando perciò nel ciclo idrologico. Nell’analizzare il consumo di acqua è quindi più utile misurare la quantità che diventa irrecuperabile. Durante il XX secolo l’uso di acqua sulla Terra è salito da circa 330 chilometri cubi a 2100. Nondimeno, l’uso totale è ancora inferiore al 17% dell’acqua accessibile e, anche dando per certa la previsione peggiore, nel 2025 ne verrà utilizzato solo il 22%. Negli ultimi 100 anni l’utilizzo quotidiano per persona è passato da 1000 a quasi 2000 litri. Tale aumento è dovuto soprattutto all’incremento per usi agricoli (+ 50%). L’uso di acqua per scopi agricoli, tuttavia, è al di sotto dei 2000 litri pro capite, grazie soprattutto al maggior livello di efficienza. Nella questione ”acqua” vanno considerati tre problemi principali: 1) La distribuzione delle precipitazioni non è uniforme. Ciò significa che l’accesso alle risorse idriche non è equamente distribuito e che alcuni paesi hanno a disposizione un volume di acqua molto inferiore a quanto indica la media globale; 2) La popolazione continua ad aumentare e poiché le precipitazioni rimangono sempre costanti, le risorse idriche per ciascun individuo diminuiranno. quindi possibile che in futuro la scarsità di acqua si aggravi; 3) Più paesi traggono acqua dalla medesima fonte. Per esempio la maggior parte delle falde acquifere del Medio Oriente sono comuni a più nazioni. Questo fatto conferisce alla questione idrica una prospettiva sovranazionale e se la cooperazione viene a mancare la trasforma in un serbatoio di conflitti internazionali. Oltre ai problemi appena citati ci sono altre due questioni. La prima è la preoccupazione per l’inquinamento dell’acqua. La seconda riguarda la carenza nei paesi in via di sviluppo e ciò rappresenta un serio ostacolo al benessere globale. A ben guardare la causa del problema non è la scarsità di acqua, ma la mancanza di investimenti nelle infrastrutture. Un essere umano ha bisogno di bere circa 2 litri di acqua al giorno, un’esigenza non difficile da soddisfare. Il più comune metodo di analisi del problema si basa sull’indice di stress idrico proposto da Malin Falkenmark, che stabilisce il livello approssimativo minimo di acqua pro capite necessario a mantenere una ragionevole qualità di vita in un paese a sviluppo medio, posizionato in una regione arida. Così si è calcolato che un uomo ha bisogno di circa 100 litri di acqua al giorno per soddisfare sete, necessità domestiche e igiene personale, più una quota aggiuntiva (500-2000 litri) per l’industria, l’agricoltura e la produzione di energia. Poiché spesso la necessità di acqua è più forte nella stagione secca, per tale periodo il livello di stress idrico è più elevato: se la disponibilità è inferiore a 4660 litri per persona il paese andrà incontro a uno stress idrico periodico o costante. Se la quantità è inferiore a 2740 litri si dice che il paese è in scarsità cronica, mentre al di sotto di 1370 litri si parla di scarsità assoluta. Come fa il Kuwait a tirare avanti con appena 30 litri di acqua al giorno pro capite? Tanto il Kuwait come la Libia e l’Arabia Saudita dissalano l’acqua di mare. In Kuwait la dissalazione copre oltre la metà dell’uso totale di acqua. Attualmente dissalare l’acqua marina costa tra 50 e 80 centesimi di dollaro al metro cubo: un po’ più cara di quella naturalmente a disposizione, ma comunque un prezzo accettabile. Ciò suggerisce una conclusione: è possibile disporre di acqua a sufficienza purché si sia in grado di pagarla. Ancora una volta è chiaro che il principale limite alla soluzione dei problemi è la povertà e non l’ambiente. La scarsità dell’acqua non è data solo dalla povertà delle risorse, ma soprattutto dal cattivo uso che se ne fa. Numerosi paesi se la cavano egregiamente con risorse idriche assai limitate, poiché ne fanno un uso razionale. il caso di Israele, dove c’è una disponibilità giornaliera di appena 969 litri a persona: grazie ai sistemi di irrigazione a goccia e al riciclaggio degli scarichi domestici riesce a gestire bene una quantità di acqua che altrimenti le creerebbe gravi difficoltà. La maggior parte dell’acqua consumata viene usata per l’agricoltura: a livello globale il 69% è impiegato per scopi agricoli rispetto al 23% per l’industria e l’8% per usi domestici. Una riduzione nel settore agricolo comporterebbe quindi un rilevante risparmio. E infatti molti paesi, piuttosto che consumare le riserve idriche, preferiscono importare massicce quantità di cereali (ancora Israele, che ne compra l’87 per cento del totale). Comunque proprio nel settore dell’agricoltura ci sono le maggiori opportunità di migliorare l’efficienza (per esempio nei sistemi d’irrigazione, dove attualmente si calcola che lo spreco sia compreso tra il 60 e l’80%). Diversi studi hanno dimostrato che quasi senza costi aggiuntivi il risparmio di acqua nell’industria potrebbe oscillare dal 30 al 90% e che anche la distribuzione domestica offre grandi potenzialità in tal senso. Anche se l’aumento della popolazione farà salire la domanda e provocherà uno stress idrico, la scarsità di questa risorsa può essere affrontata con successo. La soluzione deriverà in parte da aumenti di prezzo, che ne scoraggeranno l’uso sconsiderato. Un altro contributo potrà venire dall’aumento delle importazioni di prodotti, che farà diminuire la domanda di acqua nel settore agricolo, rendendola così disponibile per l’industria e per il consumo domestico. Infine c’è la dissalazione, procedura di emergenza da cui sarà possibile ricavare quantità di acqua potabile praticamente illimitate. Con l’aumentare della domanda e il diminuire della risorsa, è possibile che scoppino delle guerre? Esistono buone ragioni per ritenere esagerato il timore di conflitti per l’acqua. Come ha osservato un analista militare d’Israele: «Perché scatenare una guerra per l’acqua? Con il costo di una settimana di combattimenti si possono costruire cinque impianti di dissalazione. Risultato: niente perdite di vite umane, niente crisi internazionali e, invece, disponibile sul proprio territorio un’affidabile fonte di approvvigionamento che non è necessario difendere dal nemico». Il professor Aaron Wolf ha esaminato l’intero archivio di dati relativi alle crisi internazionali e ha scoperto che solo 7 delle 412 nel periodo 1918-94 erano state provocate almeno in parte da questioni legate all’acqua. In tre di esse non era stato sparato nemmeno un colpo e nessuna era stata abbastanza violenta da essere definita guerra. Wolf è giunto alla conclusione che «la storia dei conflitti armati per l’acqua è meno drammatica di quanto la letteratura in materia porterebbe a credere… per quanto è dato di sapere, una guerra per l’acqua non è mai stata combattuta». A fronte della mancanza di casi di guerre combattute per l’acqua ci sono oltre 3600 trattati sulle risorse idriche internazionali stipulati nel corso della storia tra l’805 d.C. e il 1984: soltanto negli ultimi cento anni ne sono stati firmati oltre 149. Nel 1997 le Nazioni Unite hanno pubblicato il documento intitolato Comprehensive Assessment of the Freshwater Resources of the World. Il rapporto si apre con l’affermazione che l’aumento di stress idrico è provocato ”soprattutto da una cattiva allocazione dell’acqua, da uno spreco delle risorse disponibili e dalla mancanza di un modello gestionale adeguato”. L’acqua disponibile è sufficiente, ma deve essere gestita meglio.