La Stampa 14 aprile 2008, Giancarlo Dotto, 14 aprile 2008
Non posso darmi a un uomo solo. La Stampa 14 aprile 2008 Da dove nascono i pensieri, da dove arrivano, cosa sono i pensieri?»
Non posso darmi a un uomo solo. La Stampa 14 aprile 2008 Da dove nascono i pensieri, da dove arrivano, cosa sono i pensieri?». Martin Heidegger? No, Lory Del Santo. A cinquant’anni quasi suonati, la svampitona più amata dagli italiani dai tempi di «Drive In» e di «Viva la Foca», una vita spesa tra arabi milionari, divi del rock e infimi collezionisti di mutande, si scopre pensante e la meraviglia è tale che non la smette più di pensare. La sua casa editrice le commissiona un’autobiografia, si aspetta golosa una caterva di aneddoti da boudoir, lei si presenta con centinaia di cartelle zeppe di aforismi, riflessioni, tanto pensiero, sconnesso, ma anche folgorante qua e là per una che dice di aver letto tre libri in vita sua, quattro con il suo. Lory del Santo è una predatrice. Un talento naturale. Se sei un uomo, meglio se benestante, puoi sperimentare grazie a lei il raffinato piacere di sentirti quello che sei, un formidabile e vacuo coglione. La Moll Flanders dei giorni nostri non ha cognizione del peccato. una Terminator in gonnella che ti fa la lastra con l’occhio bionico, il raggio laser va a zoomare sulla preda entrata nel campo visivo e in due secondi ricava le informazioni necessarie. Che sia la hall di un albergo, un ristorante, una discoteca, la preda è solo da decifrare. Lory è un romanzo che scrive se stesso. La ragazza figlia di una contadina che faceva la pipì nei vasi di coccio e finisce sotto le lenzuola di seta in compagnia di celebri uomini, incluso Eric Clapton, che le dedica una canzone («Lady of Verona») e una sera, alla fine di un concerto trionfale, se la porta nella suite da mille dollari a notte e le fa: «I’m God and you have got me». «Io sono Dio e tu mi hai preso». Fortune e sventure. Come Terminator lei ricompone ogni volta le parti offese e riparte più forte di prima. Si definisce «una a cui piace lasciare terra bruciata dietro di sé» e si sente un po’ Nerone quando si affaccia sul Colosseo dal suo attico romano. Sopravvive a tutto, storie «molto pazzesche», incluso il figlio volato via da un grattacielo, perché il mondo resta comunque una formidabile tavola imbandita, per fermarsi alla stazione del dolore, a qualunque stazione. Partiamo dalla sua biografia. Volevano un libro di arabi, diamanti, rockstar e lei gli ha rifilato un campionario di sentenze filosofiche. «Mi sono imposta e ho vinto la scommessa. D’altra parte, dimmi tu, come fai a sapere che Michelangelo è Michelangelo se non gli dai una chance? Prima pensi che sia uno che butta giù un muro». « pazzia desiderare qualcosa e non cercare di averla», l’etica secondo Lory Del Santo. «Se hai talento è pazzesco che non faccia qualsiasi cosa pur di farlo emergere. Se tu sei sei, se non sei non sei». Da vecchio rockettaro il magnete è la sua storia con Eric Clapton. «L’ho conosciuto in una discoteca a Milano. Non sapevo chi fosse. Io ero già famosa, venivo da ”Drive in”. Mi voleva. Non era brutto ma non mi diceva nulla… Si capiva che non era un genio». Non sembra lui un tipo da corteggiamento classico. « stato lì muto tutta la sera. Il giorno dopo, quando ho capito chi era leggendo i giornali, ho pensato: tanto sarà per una sola notte. Ero incerta. Dovevo decidere sì o no, ho detto sì, è andata. Mi ha richiamata una sera che faceva un concerto a Torino. L’ho raggiunto. Gli voglio dare una possibilità, mi sono detta». Un amante narciso, brutale o solidale? «Consumava rapporti. Mi conquistò il giorno che mi telefonò a sorpresa. ”Pronto? Sono a Milano. Perché? Perché ti amo”. Poi mi sono innamorata io di lui. Ho continuato a seguirlo ovunque nonostante mi avesse ucciso in tutti i modi. Avevo 27 anni, era la mia prima storia importante. Lui è uno capace di far soffrire in modo incredibile». Il figlio l’avete scelto? «Sceltissimo. Lo voleva lui. Mi portò dal ginecologo a togliere la spirale». A quattro anni vola dal cinquantatreesimo piano di un grattacielo a New York. La pulsione suicida c’è anche nei bambini. « stato un incidente. Io stavo nel piano di sotto. Terribile… La colpa fu del cameriere che aveva lasciato la parete finestra aperta. Il bambino correva inseguito dalla baby-sitter...». Come si va oltre la morte di un figlio, una morte così? «La morte arriva improvvisa per tutti prima o poi… Non bastava essere forte, bisognava pensare… Mai preso un ansiolitico in vita mia». Il padre amava questo figlio? «Eravamo andati al circo insieme il giorno prima e poi restarono tre ore, loro due soli, a costruire un carro armato. Quella sera Eric aveva scoperto di avere un figlio. Non ci aveva mai parlato prima, lo guardava orgoglioso. Aveva deciso di amarlo, è morto il giorno dopo». Tre giorni e tre notti a Hiroshima con George Harrison. «Hiroshima… ti rendi conto? Erano lì per un concerto con Eric Clapton. Giorni duri per me, mi sentivo uno zerbino calpestato dal mondo intero. George mi ha salvato. Mi corteggiò con gli sguardi e i fiori. Un gentleman. Non come quel calciatore che ti conosce e fa: vieni in camera mia. Una sera George fece chiudere la piscina dell’albergo e pagò un body guard per difendere la nostra privacy. Voleva fare il bagno con me, massaggiarmi i piedi». Volevate vendicarvi entrambi di Clapton. «Forse lui voleva vendicarsi del fatto che Eric era stato con la moglie, ma non importa. Mi ha parlato un giorno intero di sé, della sua vita, prima di portarmi in camera sua, con dolcezza. Incredibile. Mi ha reso felice. Sono stati tre giorni meravigliosi». Eric Clapton mollò lei per Carla Bruni, che a sua volta mollò lui per Mick Jagger. «Per lei fu solo una mossa pubblicitaria, per me un dolore tremendo». Accennava a un calciatore prima. «C’è ne uno che mi sta addosso da sedici anni, un certo Galante, lo conosce?». Un nome, un programma. «Aveva 19 anni la prima volta che mi corteggiò in discoteca. Giocava non so dove, nel Genoa o nel Torino. Gli dissi: quando sarai un giocatore dell’Inter, del Milan o della Juve ne riparliamo». Andò all’Inter dunque per amor suo. «Mi richiamò, io niente. Ora da Livorno continua a chiamarmi. Mi sa che stavolta lo incontro. Tanta costanza va premiata… Nella vita le cose accadono anche per sfinimento. Ho resistito diciannove anni, sono stata una roccia… O no?». Anche un celebre tennista nel suo dongiovannesco catalogo. «Mi invitarono a Wimbledon. ”Vuoi conoscere un tennista?". "Purché sia tra i primi quindici”. Mi presentarono questo lungagnone con la faccia da bambino. Sembrava timido, mi portò in camera e si spogliò nudo. Si chiamava Richard Krajicek». Ha cominciato in televisione con Renzo Arbore in «Tagli, ritagli e frattaglie». «Lo riconosco al tavolo di un ristorante. C’era anche Benigni con lui. Mi avvicino con una scusa. Avevo un abito tipo Marilyn Monroe, molto attillato. Quando sono andata al bagno, Luciano De Crescenzo mi seguì. Era impazzito per me. Mi promise una parte nella trasmissione. Ero l’archivista che saliva sulla scala con una minigonna vertiginosa. Un successone, fui la rivelazione». Tre anni di Drive In. «Antonio Ricci, un genio. Non mi ha mai guardato né rivolto la parola. Assente. Mi sentivo inutile, non sfruttata per le mie qualità. Tutta la vita così, avevo successo ma nessuno si accorgeva del mio talento». Fu l’amante di Dodi Al-Fayed. «Lo conosco a Cannes in discoteca. Ero da sola. Mi muovo sempre da sola per essere più libera. Ricordo questo bel tipo vestito da ufficiale gentiluomo, tutto in bianco. La sera dopo m’invita in una barca enorme da guerra per un drink. Non capivo niente. Ero Cenerentola nel paese delle meraviglie. La sera dopo mi porta su un veliero, quello dei pirati, a cena io, lui e il padre, il miliardario. Incredibile. Io, lui e il padre in una barca inumana. A Dodi piaceva stupire. Faceva così anche con Diana». La storia con Kashoggi, il riccone saudita, finì su tutti i giornali. «Era un maniaco di vestiti. Di ogni pantalone e di ogni giacca doveva avere tutte le gradazioni di colore. Armadi giganteschi. Ogni posto dove andavo trovavo sorprese, dieci, venti paia di scarpe di Dior, sai la generosità che sgorga…». Un trionfo, la madre di tutte le prede. «L’ho spesso bastonato. Mi faceva regali senza chiedermi. Cosucce, diamantini, rubinetti, io sono molto stilish, sai. Gli ho rimandato indietro un anello con uno strano serpente…. Oggi me lo terrei, ripensandoci era molto originale… Durò sei mesi la storia. Lui era molto romantico, troppo, un po’ bambino, per niente macho». Ci sono mitomani che cercano di fare all’amore con lei per transitare idealmente e non dove sono transitati miti del rock e della finanza? «Questa storia è incredibile. Ho più successo oggi di quando avevo vent’anni. Uomini dai 18 ai 70 anni, soprattutto dopo l’Isola dei Famosi. Devo risvegliare qualcosa di ancestrale che mi sfugge. E sì che non sono così appariscente, non mi sono mai rifatta, vedi la Cucinotta che ha sei tette, queste situazioni enormi...». Sua madre giura che lei andrà all’inferno. «Lo pensa veramente e forse ha ragione. Mi dice spesso ”Vergognati. Dio ti punirà…”. Forse mi ha già punito abbastanza…». Le è mai toccata la disgrazia d’incrociare uomini spilorci? «La maggior parte degli uomini sono spilorci. Ho incontrato tirchioni che andavano a guardare i prezzi nella lista dei vini, uomini poveri dentro. La tirchieria della tasca è tirchieria del cuore. Se è uno di potere posso anche sopportarlo, sennò lo scarico, non ce la faccio». L’amore rende idioti, scrive Lory Del Santo. «Ti fa perdere lucidità e io non posso permettermelo. Sono andata ragazzina allo sbaraglio, nel Far West. Cerchi di scalare la vita e c’è sempre una botola. Arrivare serenamente non è facile, vedi quella Britney Spears... Io ce l’ho fatta. E ora? Ho vissuto troppo, sono troppo complessa per concedermi a un uomo solo». Giancarlo Dotto