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 2008  aprile 14 Lunedì calendario

Io, sosia di Stalin tra i Grandi a Yalta. La Stampa 14 aprile 2008 Nel febbraio del 1945 i leader delle nazioni che avevano vinto la guerra si riunirono a Yalta per spartirsi il mondo

Io, sosia di Stalin tra i Grandi a Yalta. La Stampa 14 aprile 2008 Nel febbraio del 1945 i leader delle nazioni che avevano vinto la guerra si riunirono a Yalta per spartirsi il mondo. Josif Stalin era sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva portato da Mosca sul Mar Nero indossando il solito cappotto pesante, il braccio sinistro leggermente piegato in avanti come sempre. Salutato dal picchetto d’onore, si era lisciato sorridendo i baffoni che lo avevano reso inconfondibile, pensando di avere ingannato tutti un’altra volta: il vero Stalin era già arrivato da ore a Yalta, su un aereo non ufficiale e nel segreto più assoluto. Felix Dadaev è uno dei quattro sosia che hanno preso il posto di Stalin in ogni momento nel quale si temeva che la sua vita fosse in pericolo. Ora ha scritto un libro, anticipato dal «Mail on Sunday», in cui per la prima volta racconta un decennio negli scomodi panni di uno dei più feroci dittatori della storia. A terrorizzarlo non era tanto la possibilità di finire vittima di un attentato, quanto il rischio che qualcuno non lo ritenesse più adatto al ruolo. In questo caso, l’NKGB (predecessore del KGB) lo avrebbe sicuramente eliminato per evitare che raccontasse quello che aveva visto e sentito. Dadaev ha ora 88 anni ed era giovanissimo quando, nel 1942, rimase ferito durante la liberazione di Grozny da parte dei russi. Era così malconcio che venne buttato in mezzo ai cadaveri prima che qualcuno si accorgesse che respirava ancora. Un ufficiale, forse un agente dei servizi, notò la sua straordinaria somiglianza con Stalin e per Dadaev, appena morto e risorto, cominciò una nuova vita. Fu portato in una dacia fuori Mosca, dove gli fu spiegato che cosa il partito si aspettava da lui e gli venne offerta una nuova identità che non era possibile rifiutare. Dadaev ne fu lusingato e divertito. Immaginava che cosa avrebbero detto i suoi amici, che lo prendevano sempre in giro per la sua somiglianza con il dittatore, ma non li avrebbe più rivisti per molto tempo. Era morto per tutti. La differenza di età fu compensata con una buona dose di trucco e un po’ di grigio sulle tempie. «Avevamo tutti sofferto molto - scrive Dadaev - e per questo all’epoca le persone dimostravano molti anni in più della loro età. Non fu difficile farmi passare per Stalin». Ma ci vollero comunque mesi di lezioni, rese più semplici dal fatto che Dadaev aveva studiato ballo e recitazione. Ogni tanto il temuto e sanguinario capo della polizia segreta, Lavrentij Beria, entrava nella stanza per verificare i progressi. Sarebbe bastato un suo cenno di disapprovazione per finire alla Lubjanka o in Siberia, o affogato nella Moscova. Dopo avere visto centinaia di filmati, provato e riprovato migliaia di volte l’andatura e le pose di Stalin e persino il suo modo di parlare, Dadaev fu portato all’esame finale: la visita al Cremlino dal generale Vlasik, capo della sicurezza personale del dittatore. «Restò stupefatto dalla somiglianza - racconta Dadaev -. Osservò la divisa, il braccio sinistro piegato, gli stivali. Mi chiese di camminare e di parlare». La figlia del generale, Nadezhda Nikolayevna, conferma il ruolo avuto da Dadaev come sosia. «Mio padre - ricorda - usava ogni trucco per distogliere l’attenzione dal vero Stalin e il ricorso ai sosia era abituale». Dadaev affrontò la prova del fuoco sulla Piazza Rossa, dove sostituì Stalin sul mausoleo, tra gli altri dirigenti del partito che assistevano a una parata di atleti. Nessuno si accorse di nulla. «Era importante - racconta - fare attenzione alla cadenza dei passi. Stalin si muoveva in modo marziale tra la gente, ma nelle riunioni con i collaboratori camminava lentamente e con aria pensosa». La maggior parte del lavoro consisteva però nell’uscire dal Cremlino in auto, circondato da strombazzanti mezzi di scorta mentre il vero Stalin se ne andava in silenzio da un’altra porta. Incontrò il proprio doppio solo una volta e tutto quello che ricevette in cambio delle sue fatiche fu un fugace cenno di approvazione. Ma non importa: la Piazza Rossa e Yalta sono rimaste indelebili nella sua memoria. A Yalta, racconta nel libro, Stalin sfuggì a due attentati, e molte teste caddero per questo. Non la sua: era già tornato a Mosca, a godersi il ricordo di un’altra delle sue straordinarie recitazioni, ancora più rimarchevoli perché furono tutte messe in scena senza un pubblico che potesse applaudire. Vittorio Sabadin