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 2008  aprile 13 Domenica calendario

Troppi passaggi Il costo finale dei prodotti agricoli è in media cinque volte quello incassato dal produttore

Troppi passaggi Il costo finale dei prodotti agricoli è in media cinque volte quello incassato dal produttore. La Stampa 13 aprile 2008 Come in certe vecchie barzellette, ci sono un francese, un tedesco e un italiano. Di solito finisce che l’italiano fa fessi tutti e se la ride. Ma se si tratta di consumatori e prodotti agroalimentari, da qualche tempo finisce al contrario. Nel 1995, il livello dei prezzi alimentari in Italia era sotto la media europea (-5,8%) e decisamente più basso che in Francia (-17%) e Germania (-14%). In un decennio, la situazione si è capovolta: i prezzi italiani sono schizzati su fino al 9% oltre la media, scavalcando Francia e Germania. Le punte più alte su carne e ortofrutta. Noi paghiamo, gli altri ridono. Rompicapo per gli economisti, disperazione dei consumatori: come è potuto accadere? Risposta: la filiera dei prodotti agroalimentari, ovvero la strada che porta dal campo alla tavola, è troppo lunga. Ogni sosta un aumento, ogni strettoia una rendita. Il prezzo che paghiamo in negozio è in media cinque volte quello di partenza. Dieci nel caso del pane. Venti per il prosciutto. Fino a 25-30 per frutta e insalata. E la tendenza è all’aumento generalizzato. Sempre meno pagati i produttori, sempre più cari i prodotti. In mezzo, un buco nero che inghiotte più della metà dei 50 miliardi di euro di spesa alimentare delle famiglie italiane, mentre solo il 19% arriva alle imprese agricole. A esplorarlo, questo buco nero, si racconta un pezzo della crisi italiana. «Scarsa trasparenza a scapito di produttori e consumatori», ha ammesso il ministro Paolo De Castro. Si è mossa persino l’Antitrust. In un’indagine a tappeto con la Guardia di finanza, ha fatto luce nel buco nero. Prima scoperta: nemmeno un negozio su dieci si rifornisce direttamente dal produttore, in genere sono tre o quattro gli intermediari coinvolti. Seconda: i margini degli intermediari raggiungono l’80% e sono i più alti d’Europa. Terza: nemmeno la grande distribuzione riesce a saltare questi passaggi. «Bisogna comprimere la lunghezza della filiera distributiva», ha concluso l’Antitrust. Qualcuno ci prova. Sognando la California, dove sono nati trent’anni fa e ora ce ne sono 500, anche in Italia spuntano i Farmer Market. Mercati dei contadini, in cui i produttori vendono direttamente ai consumatori. Si dice filiera corta, si conta un risparmio dal 30% al 60%. l’uovo di Colombo, infatti i Farmer Market esistono da tempo in Francia e in Gran Bretagna, per non dire degli Usa, che pure sono il paradiso dei megasupermarket, dove ce ne sono 4400 e si fa la spesa allietati da orchestrine jazz. Eppure in Italia le leggi ne impedivano l’apertura. Finalmente tre mesi fa un decreto ha eliminato gli ostacoli. Dopo il successo del primo Farmer Market a Taranto, la Coldiretti ne vuole aprire un centinaio entro il 2008, per arrivare a 500 in un paio di anni coinvolgendo 8000 imprese agricole. Ieri è stato inaugurato quello di Milano. Marco ha una piccola azienda agricola in Piemonte. Produce cipolle di cui orgoglioso: «Che profumo, quando le tagli». Ma quando arriva il grossista in azienda il profumo non conta, c’è poco da contrattare. «Il prezzo lo fanno loro. O così o niente». Dunque se va bene, Marco vende le cipolle a 0,30 euro al chilo. Il grossista che le ha acquistate va a smerciarle a un mercato generale. Qui trova un altro intermediario che le rileva a 0,60 euro. Metà del percorso tra campo e tavola è stato compiuto. Poi l’intermediario piazza le cipolle a a una catena di distribuzione per 0,80 euro. E solo allora il supermercato le offre al consumatore. Prezzo finale: 1,40 euro al chilo. Ma Marco si è stufato. Ora non si rivolge più ai grossisti. Solo vendita diretta. Il secondo sabato di ogni mese lo si trova al Farmer Market in una piazzetta nel centro di Alessandria. Vende le sue cipolle a 0,80 euro al chilo. Guadagna quasi il triplo rispetto al prezzo spuntato al grossista e fa risparmiare ai consumatori il 40%. Come lui un’altra decina di produttori. Racconta Luisa Bo, organizzatrice del mercato per la Coldiretti, che nella sua azienda arrivano sempre più acquirenti particolari. «In genere pensionati, in rappresentanza di due o tre famiglie che si sono messe d’accordo per comprare animali interi da dividersi». I gruppi di acquisto solidale censiti sono ormai 374 in tutta Italia (raddoppiati in tre anni) e coinvolgono 25 mila famiglie. Sul telefonino di Luisa arrivano via sms le quotazioni della carne all’ingrosso. «Ecco, vede: io il manzo piemontese lo vendo a 3,10 euro al chilo, sia al grossista che all’acquirente diretto. La stessa carne, il consumatore la troverà dal macellaio a un prezzo quattro-cinque volte superiore». Al Farmer Market ci sono anche le arance siciliane della famiglia Sangiorgi, che le porta al Nord tre volte a settimana. Ai grossisti di Catania le venderebbe a 0,30 euro al chilo. I cilenti qui le pagano 1,20 euro e ringraziano pure, perché al fruttivendolo spenderebbero almeno il doppio. A proposito di arance. Trent’anni fa, 65 tedeschi su 100 mangiavano quelle italiane. Ora solo cinque. successo che gli spagnoli si sono organizzati meglio, hanno ridotto i passaggi distributivi e abbassato i prezzi. Così ci hanno surclassati e se la ridono. E questa non è una barzelletta. GIUSEPPE SALVAGGIULO