Il Sole 24 Ore 13 aprile 2008, Benny Morris, 13 aprile 2008
La pace di Lawrence d’Israele. Il Sole 24 Ore 13 aprile 2008 La storia di T.E. Lawrence, o Lawrence d’Arabia – il famoso britannico che consigliò e, in una certa misura, diresse la rivolta dei beduini hijazi contro i turchi durante la Prima guerra mondiale e, in seguito, perorò e sostenne la causa del nazionalismo arabo alla Conferenza di pace di Parigi, prima di ritirarsi con grande risonanza a vita privata – è nota a tutti
La pace di Lawrence d’Israele. Il Sole 24 Ore 13 aprile 2008 La storia di T.E. Lawrence, o Lawrence d’Arabia – il famoso britannico che consigliò e, in una certa misura, diresse la rivolta dei beduini hijazi contro i turchi durante la Prima guerra mondiale e, in seguito, perorò e sostenne la causa del nazionalismo arabo alla Conferenza di pace di Parigi, prima di ritirarsi con grande risonanza a vita privata – è nota a tutti. Quasi del tutto sconosciuta, almeno al di fuori di Israele, è invece la storia della spia e agronomo sionista palestinese Aaron Aaronsohn, organizzatore del gruppo «Nili», che (a quel che si dice) facilitò la vittoria britannica sull’Impero ottomano e quindi patrocinò la causa sionista alla Conferenza di pace, prima di morire in un misterioso incidente aereo nel maggio 1919. I due autori di due volumi recenti – esplicitamente Ronald Florence, un po’ meno Patricia Goldstone – legano la storia di Aaronsohn alla stella di Lawrence al fine di pubblicizzare il loro eroe meno conosciuto (e, forse, anche i loro stessi libri). Ma questo espediente serve anche a raccontare la storia del Medio Oriente durante e immediatamente dopo la Grande guerra da due, o tre, delle prospettive rilevanti (sia pure, anche in questo caso, non da quella dei turchi). In larga misura, questa storia – in cui la geopolitica del Medio Oriente è stata rimodellata fino ad assumere la configurazione che conosciamo oggi – ruota attorno alle tre promesse, in parte contraddittorie, che la Gran Bretagna fece nel corso delle ostilità. Agli arabi – o, per essere più precisi, a Hussein ibn Ali, sceriffo della Mecca e leader della rivolta hijazi del 1916-18 – i britannici promisero, in caso di vittoria degli Alleati, un’«indipendenza» con molti vincoli e uno Stato esteso su quasi tutti i territori di lingua araba dell’Impero ottomano (promessa formulata nella lettera di Henry MacMahon, alto commissario britannico in Egitto, a Hussein del 24 ottobre 1915); alla Francia (nell’accordo Sykes-Picot del 16 maggio 1916) promisero il governo diretto francese sulla costa del Levante da Tiro (Libano) ad Alessandretta e Mersin (Turchia meridionale) passando per Latakia (Siria) e il controllo indiretto su un’area che abbracciava l’odierna Siria e la regione di Mosul (Iraq settentrionale), oltre all’amministrazione congiunta, assieme alla Gran Bretagna, sul cuore della Palestina (in base a questo stesso accordo, i britannici avrebbero ottenuto il governo diretto sulle aree di Baghdad e Bassora e il controllo indiretto sulla Transgiordania, l’Iraq occidentale e l’area di Kirkuk); infine, i britannici promisero al movimento sionista (nella dichiarazione di Balfour del 2 novembre 1917) l’appoggio per la creazione di una "casa nazionale" ebraica in Palestina (Aaronsohn contribuì, sia pur marginalmente, a conquistare i cuori e le menti degli americani e dei britannici alla causa espressa da quella dichiarazione). La sezione mediorientale della Conferenza di pace del 1919 fu in gran parte dedicata a far quadrare il cerchio delle promesse britanniche e condusse a un sistema mandatario in cui la Gran Bretagna governava sulla Palestina, la Transgiordania e l’Iraq, e la Francia sulla Siria e il Libano (nonché al perdurante astio degli arabi verso la Gran Bretagna – la "perfida Albione" – e, per estensione, l’intero Occidente, accusati di essersi rimangiati le loro promesse). I vittimisti arabi stesero un opportuno velo di dimenticanza sul fatto che i britannici avevano fatto loro quella promessa in cambio di una massiccia sollevazione araba che avrebbe dovuto sostanzialmente contribuire alla sconfitta dei turchi; la rivolta che ebbe effettivamente luogo (a cui parteciparono diverse migliaia di uomini delle tribù beduine, comprati con sacchi di sterline d’oro e la promessa del bottino di guerra), invece, non fu nient’altro che un mero «evento meno che marginale», come disse Lawrence. Essa diede soltanto un contributo minimo alla grande avanzata verso nord del generale Edmund Allenby, alla testa delle truppe regolari alleate, dal Sinai attraverso Gaza e Gerusalemme negli ultimi mesi del 1917 e attraverso la Galilea e Damasco fino ad Aleppo nel settembre-ottobre 1918, che di fatto portò al tracollo e alla resa dell’Impero ottomano. In effetti, come avrebbe in seguito notato il primo ministro britannico Lloyd George, i cosiddetti nazionalisti arabi di Damasco, Baghdad, Gerusalemme e Aleppo si erano semplicemente eclissati e, per tutta la durata della guerra, la schiacciante maggioranza della popolazione araba dell’impero era rimasta fedele a Costantinopoli, sperando in una vittoria musulmana sugli (infedeli) Alleati. Così, permettendo a Hussein ibn Ali di governare sulla regione di Hijaz, insediando suo figlio Faisal come governatore di Damasco (e, dopo che i francesi lo scacciarono nel luglio 1920, reinsediandolo come re dell’Iraq) e dando a un altro suo figlio, Abdullah, il titolo di emiro della Transgiordania, la Gran Bretagna aveva in realtà fatto più del dovuto per onorare i suoi impegni con gli arabi. L’uomo che si assicurò che Londra non si rimangiasse la parola e aiutasse Faisal ad aprir bottega a Damasco (e poi a Baghdad) fu Lawrence, che aveva accompagnato Faisal e le sue truppe cammellate nella loro fiacca marcia verso nord da Yenbo ad Aqaba fino a Damasco (dove Allenby aveva permesso a Faisal di entrare prima di lui nell’ottobre 1918 come un atto di graziosa diplomazia). Ironicamente, Lawrence non aveva mai avuto una grande opinione del "nazionalismo" arabo: «Non c’è nessun sentimento nazionale» tra gli arabi, scrisse, riferendosi alla Siria, nel 1915. «La loro idea di nazionalità è quella dell’indipendenza di tribù e distretti, e la loro idea di unità nazionale è quella dell’episodica resistenza comune contro un invasore». Lawrence nutriva una profonda ammirazione per i beduini che avrebbero poi combattuto al suo fianco, i quali però erano una realtà «totalmente tribale». Nel 1916, egli riferì da Bassora che il partito panarabo locale era «forte di circa dodici uomini». Così, quando si mise d’impegno a perorare la causa del panarabismo a Parigi, sapeva che stava promuovendo qualcosa che era in larga misura un frutto della sua febbrile immaginazione. (Quale sia la realtà del nazionalismo panarabo, si può oggi quotidianamente vedere nelle strade di Baghdad e Karbala e nelle savane del Darfur.) Non che Lawrence nutrisse grandi simpatie per gli ebrei. vero che aveva una segreta ammirazione per i pionieri sionisti (nel 1909 scrisse a sua madre: «La Palestina era una Paese decoroso ... e sarebbe facilmente possibile farlo tornare tale. Quanto prima gli ebrei lo coltiveranno, tanto meglio sarà: le loro colonie sono punti luminosi in un deserto»), ma condivideva anche quel disprezzo verso di loro che era comune fra gli uomini del suo tempo e della sua classe sociale. Riguardo agli ebrei tedeschi, scrisse che erano «incapaci di mantenere dei contatti con altri che non fossero della loro razza ... nel complesso sono la componente più aliena e più ingenerosa dell’intera popolazione della Palestina». A Parigi, preparò una bozza di memorandum per Faisal che dichiarava: «Se la visione dei sionisti radicali ossia, coloro che chiedevano la sovranità ebraica ... dovesse prevalere, ciò porterà a tumulti, a disordini cronici e, prima o poi, alla guerra civile in Palestina ... nuovi coloni sionisti sono arrivati, quasi senza eccezioni, con uno spirito imperialistico. Dicono che noi arabi abbiamo da troppo tempo il controllo sulla loro patria, che è stata loro tolta con la forza bruta ... ma che ora, sotto il nuovo ordine mondiale, dobbiamo sloggiare dalla Palestina ... questa è la volontà del mondo civilizzato». Durante la Conferenza di Parigi, però, Faisal (così come Lawrence) riteneva necessaria la benevolenza dei sionisti, pensando che gli sarebbe stata d’aiuto con gli inglesi; di conseguenza, fece passare in secondo piano la questione del destino della Palestina. Di fatto, nel gennaio 1919, alla presenza di Lawrence, Faisal firmò un accordo con il leader sionista Chaim Weizmann in cui approvava l’immigrazione ebraica «su larga scala» in Palestina e, implicitamente, la sovranità ebraica. E il 1° marzo 1919, in una lettera la cui bozza era stata preparata da Lawrence, Faisal scrisse a Felix Frankfurter: «Daremo agli ebrei il più caloroso benvenuto. ... Stiamo lavorando assieme per un Vicino Oriente riformato e riportato in vita, e i nostri due movimenti si completano a vicenda. Il movimento ebraico è nazionale e non imperialista, e in Siria c’è spazio per entrambi ... ». Ma già all’inizio del 1920, Faisal stava cantando tutta un’altra canzone, e pure a gran voce. Egli inveì contro il sionismo e si autoincoronò «re di Siria e Palestina». (Gli arabi sostenevano che la promessa di MacMahon aveva incluso anche la Palestina nell’area destinata alla sovranità araba; i sionisti, appoggiati dal Foreign Office, affermavano invece che MacMahon, pur essendosi espresso in modo contorto, l’aveva esclusa). Poco tempo dopo, nel marzo-aprile 1920, a Tel Hai, in Galilea e a Gerusalemme ebbero luogo i primi attacchi arabi su larga scala contro gli ebrei. All’epoca, Aaronsohn era ormai morto. Brillante agronomo nato in Romania e cresciuto a Zikhron Ya’akov, nella Palestina rurale, Aaronsohn aveva trascorso il 1915 organizzando il gruppo Nili, composto da suoi parenti e amici, per aiutare i britannici a vincere la guerra. Egli temeva che alla fine i turchi avrebbero trattato gli ebrei palestinesi come avevano fatto con gli armeni dell’Asia Minore (la sorella di Aaronsohn, Sarah, aveva viaggiato attraverso la Turchia ed era stata testimone di alcuni dei saccheggi anti-armeni). In molti, all’interno della comunità ebraica in Palestina, temevano che il Nili avrebbe attirato su di loro l’ira degli ottomani – e, con essa, quella stessa sorte che Aaronsohn stava cercando di scongiurare – e, di fatto, aiutarono i turchi a catturare i membri del gruppo. Aaronsohn sperava che una rapida vittoria inglese avrebbe salvato gli ebrei facilitando inoltre la creazione di uno Stato ebraico. Nel 1916, andò a Londra e al Cairo sia per fare pressioni in favore del sionismo, sia per aiutare a guidare la rete spionistica, in cui Sarah era la figura locale di maggior spicco. Nel 1917, i turchi scoprirono l’organizzazione e impiccarono alcuni dei suoi membri. Sarah venne torturata senza pietà (Goldstone racconta i sanguinosi dettagli) e probabilmente stuprata, e si suicidò approfittando di una momentanea distrazione dei suoi inquisitori (in realtà, comunque, non è chiaro se il contributo del Nili sia stato importante, e quanto, per la vittoria di Allenby). Nel 1916-19, le strade di Aaronsohn e Lawrence vennero occasionalmente a incrociarsi al Cairo, a Londra e a Parigi. A quanto pare, non c’era un grande feeling tra di loro. Aaronsohn descrisse Lawrence come «un piccolo individuo spregevole» e «antisemita». Non ci è dato sapere che cosa Lawrence pensasse di lui. Ma sia come sia, i due uomini raggiunsero Parigi alla fine del 1918 come sostenitori di due cause nazionali differenti che ben presto sarebbero diventate apertamente nemiche. Il contributo di Lawrence è chiaro e ben noto; Florence e Goldstone – il primo in modo di gran lunga più efficace ed eloquente – dedicano molte delle loro pagine a illuminare il ruolo di Aaronsohn. Curiosamente, a livello ufficiale egli era un membro della delegazione britannica alla conferenza. Fece da consigliere sulle questioni tecniche mediorientali e si pronunciò a favore degli armeni. Il suo contributo principale, però, fu quello di mettere a punto per la delegazione ebraica, guidata da Weizmann e Nahum Sokolov, una mappa che esponeva le aspirazioni geopolitiche sioniste. La mappa da lui tracciata non si basava su diritti storici o affiliazioni religiose, ma su necessità e realtà economiche e, in particolare, agricole e idrologiche. Egli voleva che lo Stato ebraico includesse le fonti delle risorse idriche chiave della Palestina, il Giordano e il Mar di Galilea. Questo «più che grande Israele», credeva Aaronsohn, aveva senso sotto il profilo economico e geopolitico. Ma i vincitori, legati ad altri interessi e realtà, avrebbero infine ridotto la «Palestina» all’area compresa tra il Mediterraneo e il Giordano, delimitata dalla frontiera libano-palestinese del 1923 al nord e dal confine Sinai-Negev (istituito dai britannici e dagli ottomani nel 1906) e dal wadi Araba a sud, e questi furono i contorni che avrebbero delineato la Palestina del Mandato britannico fino al 1948 (nonché i territori attualmente contesi tra Israele e gli arabi). Si potrebbe dire che, dopo aver avuto entrambi delle brevi carriere come ricercatori (Aaronsohn scoprì una nuova varietà di grano e Lawrence scrisse un trattato sull’architettura dei crociati) e come spie, e quindi come lobbisti politici, Aaronsohn e Lawrence condivisero infine anche il fallimento dei loro progetti, cose che giustificano la stesura di queste due biografie parallele. E ci potrebbe anche esser stato un altro punto di contatto tra i due. Lawrence dedicò infatti la sua storia autobiografica della Rivolta araba, I setti pilastri della saggezza («una delle più grandi epopee moderne in lingua inglese», stando all’Enciclopedia Britannica) a «S.A.», ed è stata avanzata l’ipotesi che dietro queste iniziali ci fosse (la bella) Sarah Aaronsohn. Nel 1909, il ventenne Lawrence era passato da Athlit (il sito di una fortezza crociata), dove Sarah lavorava, e forse vicino a Zikhron Ya’akov. possibile che i due si siano incontrati già allora, o forse nel 1917, quando gli agenti del l’intelligence britannica viaggiavano sulle imbarcazioni che facevano periodicamente la spola tra Alessandria e Athlit al servizio della rete spionistica. La maggior parte degli storici ritengono che questo incontro non sia mai avvenuto, ma Goldstone ipotizza che «S.A.» potrebbe esser stata comunque Sarah Aaronsohn. Lawrence conosceva direttamente la storia del gruppo Nili (nel 1916-17 era spesso al Cairo) e può darsi che abbia voluto rendere omaggio all’eroica spia andata incontro al martirio, con la quale probabilmente si identificava (in fin dei conti, egli avrebbe poi raccontato di aver affrontato a propria volta la tortura e lo stupro, da parte dei turchi, più o meno in quello stesso periodo). Benny Morris 1 Ronald Florence, «Lawrence and Aaronsohn: T. E. Lawrence, Aaron Aaronsohn, and the Seeds of the Arab-Israeli Conflict», Viking, New York, $ 27,95; 1 Patricia Goldstone, «Aaronsohn’s Maps: the Untold Story of the Man Who Might have Created Peace in the Middle East», Harcourt, Orlando, $ 26,00.