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 2008  aprile 13 Domenica calendario

Che errore processare Galileo. Il Sole 24 Ore 13 aprile 2008 Più che una risposta, la lettera pertinente e sostanzialmente condivisibile della nostra lettrice, merita un approfondimento che, tra l’altro, mi coinvolge sia pure indirettamente

Che errore processare Galileo. Il Sole 24 Ore 13 aprile 2008 Più che una risposta, la lettera pertinente e sostanzialmente condivisibile della nostra lettrice, merita un approfondimento che, tra l’altro, mi coinvolge sia pure indirettamente. Il punto di partenza è in un documento del Concilio Vaticano II, votato il 7 dicembre 1965 e dedicato al confronto della Chiesa col mondo contemporaneo, la cosiddetta costituzione Gaudium et Spes: al n. 36 si lamentava che i cristiani non di rado nella storia «non avevano sufficientemente rispettato la legittima autonomia della scienza», e in nota si rimandava esplicitamente al caso Galileo. Prendendo spunto proprio da questa considerazione, Giovanni Paolo II, agli esordi stessi del suo pontificato (1979), aveva creato una commissione di storici e teologi per affrontare in modo libero e rigoroso la questione. Ebbene, nella sua ultima e decisiva tappa, questa commissione, appoggiata al dicastero vaticano che ora io dirigo, il Pontificio Consiglio della Cultura, fu presieduta e guidata dal mio predecessore, il card. Paul Poupard. Ne ho, quindi, una conoscenza documentaria diretta. La lunga traiettoria di ricerche sia archivistiche, sia storiche, sia teoriche, condotte dalla commissione è ora ricostruita in un accurato volume appena edito in spagnolo, tutto basato sui documenti e sulle memorie di quell’investigazione che si concluse nel 1992: Galileo y el Vaticano di Mariano Artigas e di Melchor Sánchez de Toca (Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 2008, pagg. 225). Auspicandone una versione italiana, dobbiamo però riconoscere che già in passato erano stati offerti i dati da considerare ormai quasi definitivi della ricostruzione della vicenda (cito, tra i vari testi, un saggio dello stesso card. Poupard, Galileo Galilei, 350 anni di storia, 1633-1983. Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1984, pagg. 286). , stata quindi, compiuta proprio come voleva Giovanni Paolo II una catarsi della memoria culturale della Chiesa, riconoscendo gli errori metodologici, teologici e scientifici commessi in quel momento storico. Si evitavano, così, i due estremi che, però, continuamente riaffiorano anche ai nostri giorni. Da un lato, c’è il giustificazionismo apologetico che ricorre al contesto storico e alla sostanziale legittimità processuale (come si asserisce nel passo di Feyerabend che, tuttavia, il card. Ratzinger nel suo discorso superava e accantonava: i suoi critici, infatti, non hanno mai letto l’integrale del discorso di Parma). D’altro lato, c’è la mitologia ideologica che ha un suo suggestivo emblema nella Vita di Galileo, il dramma che Brecht pubblicò nel 1939 e rielaborò nel 1943, divenuto celebre anche per alcune battute passate in proverbio: «Infelice quel paese che ha bisogno di eroi», oppure «I cieli sono vuoti», o ancora «Metteremo in dubbio tutto, tutto...!». Ne risultava un Galileo recluso in un cupo carcere, nell’inedia e nell’impossibilità di continuare i suoi studi. In realtà e questo è documentato in modo inequivocabile la sentenza contro di lui, contestata già da alcuni giudici, non fu mai firmata dal Papa di allora e, se ci fu reclusione, fu una sorta di "arresti domiciliari" nella casa di Arcetri ove poté proseguire nella sua ricerca fino alla morte avvenuta l’8 gennaio 1642, «con fermezza filosofica e cristiana, a 77 anni di età, 10 mesi e 20 giorni», come annotava il suo assistente Viviani. Questo ovviamente non cancella l’errore pratico e teorico compiuto. Infatti, l’intuizione di Galileo, a livello epistemologico, era capitale ed è alla base di ogni autentica ermeneutica: come attestano le sue lettere all’abate Benedetto Castelli e a Cristina di Lorena, egli definiva i canoni corretti dell’interpretazione biblica alla ricerca della "verità" delle Sacre Scritture; e di converso, sul versante scientifico, egli delineava la specificità e l’autonomia dell’approccio delle varie scienze. Il 2009, quarto centenario della rilevazione galileiana col cannocchiale, stimolerà certamente il riaccendersi del discorso su scienza e fede. La lezione di Galileo insegni il rigore metodologico e la pacatezza intellettuale contro ogni prevaricazione di campo, nella capacità di ciascuno teologo e scienziato di «custodire castamente pur nel confronto la propria frontiera», come suggeriva Schelling. Gianfranco Ravasi Gentilissimo Monsignor Ravasi, sono cattolica, la stimo sinceramente e leggo volentieri i suoi interventi domenicali sul «Sole-24 Ore». Il mio breve intervento è dedicato alla questione Galilei e al Santo Padre Benedetto XVI. Quando ho letto che il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella città di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un’affermazione di Feyerabend secondo cui «all’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto», non ho potuto che dissentire dalle affermazioni del Santo Padre e ricordarlo nelle mie preghiere, affinché non procedesse sulla via dell’ambiguità. Nonostante le attenuanti dell’epoca, il processo a Galileo fu un tragico errore, cioè: un errore giuridico (tanto che Giovanni Paolo II propose una revisione del procedimento); un errore scientifico (la teoria copernicana si rivelò corretta); un errore religioso (si fece dire alle Sante Scritture quanto esse non si sono mai sognate di dire) e un errore umano e morale (un innocente fu ingiustamente condannato, messo alla gogna, accusato di eresia e ridotto al silenzio). Che poi Galilei si occupasse di oroscopi, seminasse figlie illegittime (poi accolte nei conventi cattolici), fosse un po’ mago e un po’ stregone (come Giordano Bruno), ai veri cattolici non interessa più di tanto. Ciò che scandalizza i cattolici e i laici di buona fede è invece l’ostinazione nel voler difendere a tutti i costi l’errore e nel non voler riconoscere con umiltà di aver sbagliato. Del resto la verità e la tradizione cattolica non coincidono con il pensiero di singoli padri, di singoli vescovi, di cardinali isolati, di tribunali ecclesiastici, di sinodi ristretti e di concili locali. Valeria Rossi