La Stampa 15 aprile 2008, Domenico Quirico, 15 aprile 2008
LE BANDE DEI KIKUYU
La Stampa 15 aprile 2008
Le montagne del paese dei kikuyu si allargano onda su onda, all’infinito, prendendo prepotente possesso dell’orizzonte. Nella foresta di Gakoe, dov’è stata squarciata per consentire il passaggio della strada, la terra offre alla vista il suo cuore rosso in modo stupefacente. Guardando quel colore sanguigno si intuisce la fertilità del suolo ma anche, in modo più conturbante, il suo richiamo viscerale. Sembra simboleggiare il fiero attaccamento dei kikuyu alla terra, l’unità di suolo e tribù. Il sangue di Virginia Nyakoi, del suo autista e di due inutili guardiaspalle è stato assorbito lentamente, goccia dopo goccia, dalla terra scura, e quasi non fa macchia. Li hanno fatti a pezzi con cura, i poliziotti ora spiano con allarmata curiosità le profonde ferite inferte nella testa, nel collo, sembrano aver paura di avvicinarsi. Sanno che un’Africa antica, feroce, senza tempo e senza prescrizione nell’odio ha avvolto queste povere vittime gettate ai bordi della strada. Sì, i kikuyu considerano la terra la madre della tribù. la terra che nutre il bambino per tutta la vita e, soprattutto dopo la morte, è di nuovo la terra che ha cura degli spiriti dei morti, per l’eternità.
Virginia Nyakoi era una trentenne massiccia e steatopigia come molte donne kenyote, difficile immaginare la forza e la pericolosità del suo potere. L’hanno massacrata in quella che era solo una periferia del suo regno. Perché la città proibita dove dominava era a Nairobi, Mathare, la più grande bidonville dell’Africa, quattromila persone per ettaro. in questo girone di malebolge, tra fame e violenza, che faceva osservare con il marito John Maina Njenga la legge dei «Mungiki».
Bisogna allora scavalcare la frontiera di un Kenya che i turisti non vedono mai. Dei quartieri bene di Nairobi si occupa la polizia, quella ufficiale, con le divise di taglio inglese e i frustini. Ma nelle 143 città di lamiera e di cartone tutto è regolato dall’armata dell’ombra dei kikuyu. Poco importa che sia fuori legge dal 2002, che il governo le dia una caccia senza quartiere e senza regole. La «moltitudine», questo è il significato di «Mungiki» nella lingua della più grande tribù del Kenya, è l’espressione di un fondamentalismo afrocentrico che si ispira alla rabbia dei Mau Mau che lottarono contro il colonialismo e che poi ha scoperto nuove rabbie politiche. Vivere a fianco dei diseredati inferocisce l’anima. «Mungiki» lotta infatti contro tutto quanto è occidentale, ricollegandosi allo spirito e alle tradizioni kikuyu. Ma lotta anche contro i «wabenzi»: sono la borghesia nera dei nuovi ricchi, coloro che hanno ben mangiato il frutto dell’«uhuru», l’indipendenza, e segnalano il nuovo status con un’auto di lusso, una Mercedes.
I wabenzi, la tribù della Benz, appunto. Negli Anni 90 portavano i capelli rasta, aspiravano tabacco e pregavano gli dei della tribù rivolti verso il monte Kenya. Adesso praticano il racket, estorcono denaro alle compagnie dei taxi collettivi, impongono sbarramenti e pedaggi sulle strade, fanno pagare per usare le toilettes. Secondo il governo una gang criminale, secondo altri, e tra loro anche il Nobel Wangar Maathay, un movimento estremista ma politico che difende le bidonvilles garantendo (a pagamento) gli allacciamenti clandestini di acqua e luce elettrica, che assicura la tranquillità durante la notte. Per questo le bande dilagano ormai dalla Nigeria al Capo. In Kenya nulla è netto, i mungiki sono giovani kikuyu cacciati da scuola, senza terra, senza lavoro, che si sono appigliati alla loro identità tribale di vittime.
In Africa tutto è fragile, non c’è niente di garantito, non si può dare niente per scontato, una vita più antica fa pressione, i vecchi istinti riaffiorano minacciosi, in qualsiasi momento possono inghiottire tutto. La democrazia, Internet, le abitudini occidentali, tutto può essere spazzato via con i machete, senza lasciare traccia, non c’è niente di inevitabile nel «progresso» africano, Virginia Nyakoi era stata candidata al parlamento lo scorso anno nelle elezioni dei massacri etnici tra i kikuyu e i luo; era una donna moderna. Eppure la setta di suo marito costringe con la forza le ragazze della tribù all’escissione, considerata il cuore della loro cultura, che i missionari bianchi hanno proibito per rubar loro la forza di resistere.
Il marito di Virginia è nella prigione di alta sicurezza di Kaniti, vicino a Nairobi, con 32 dei suoi luogotenenti, mille su quattromila detenuti appartengono alla setta. Il governo è il nostro miglior propagandista - commentava Njenga beffardo prima del delitto - è la repressione che ci rende popolari». E vantava milioni di seguaci, infiltrati anche nell’amministrazione e nella polizia.
per questo che le forze di sicurezza hanno cambiato metodi, si replica a delitto con delitto, la caccia ai giovani mungiki è diventata senza pietà. Il cadavere di Virginia fatto a brani nella foresta è il terribile messaggio agli eredi dei Mau Mau.
Domenico Quirico