La Stampa 13 aprile 2008, Alain Elkann, 13 aprile 2008
Domenica con Alain Elkann. La Stampa 13 aprile 2008 Daverio, come ha preso la notizia che Milano ha vinto la gara per l’Expo? «Un misto di entusiasmo e preoccupazione
Domenica con Alain Elkann. La Stampa 13 aprile 2008 Daverio, come ha preso la notizia che Milano ha vinto la gara per l’Expo? «Un misto di entusiasmo e preoccupazione. Quando ero assessore alla Cultura parlavo con il sindaco Formentini, del fatto che ci voleva per Milano un macro evento internazionale per risvegliare la città. Sono però preoccupato perché gli immobiliaristi stanno secretando i loro più potenti succhi gastrici per gli affari da digerire. E siccome gli immobiliaristi a Milano non hanno brillato, temo che il peggio...». In che senso non hanno brillato? «Peggio del progetto già in corso sull’ex area fiera non si può fare». E allora di cosa ha bisogno Milano? «Di una nuova classe dirigente». Ma questo vale per tutta l’Italia? «No. Più del resto dell’Italia, Bologna, Genova, Torino ce l’hanno già, Milano no». Però per Milano è una bella vittoria. «Sì. Bisogna esserne fieri, però ci saranno caos e appetiti. Penso che si possa accelerare la riforma del Museo di Brera che versa in situazioni drammatiche, e che si possa spostare l’accademia per migliorare il sistema espositivo». Ma questo da chi dipende? «Dal Ministero. Spero che il prossimo ministro prosegua il lavoro di Rutelli che ha dato una mano importante e sta sostenendo l’ipotesi per il Polo Museale milanese. La cultura non c’è più. Sgarbi con i pochi mezzi che ha meglio non potrebbe fare». Ma cosa ci vuole per Milano? «Un bilancio preventivo con più soldi alla cultura. Purtroppo l’amministrazione precedente non ha fatto bene in questo senso». L’Expo può aiutare la cultura? «Può essere il catalizzatore intorno al quale una borghesia consapevole elabori il sogno per il futuro». Ma la borghesia milanese non è tradizionalmente legata alla cultura? «La borghesia di un tempo lo era. Quella di oggi è solo commerciale, finanziaria e non si capisce cosa desideri. Bisogna che la borghesia ritrovi una sua etica, che oggi è solo quella dell’avidità». E’ così in tutta Italia? «No, non è così nel Veneto. Gli industriali per dare soltanto un piccolo esempio fanno ancora il Premio Campiello». Per quanto riguarda l’arte in generale? «Trovo positiva la nuova gestione degli Amici di Brera. Il Presidente è Aldo Bassetti un esempio perfetto di come la vecchia borghesia tenta di passare il testimone ai nuovi, e con il testimone uno stile di vita». Quale? «Quello in base al quale non si fanno solo soldi ma si assumono anche impegni nei confronti della società». Perché in tutti questi anni è rimasto a Milano? «E’ difficile traslocare, abbiamo troppe robe in casa e troppi amici nel telefonino». Quali sono oggi i suoi progetti? «Preparare e pubblicare un paio di libri che sono sulla scrivania da anni». Su cosa? «Sull’evoluzione dell’estetica e del gusto. Uno è sulla guerra degli stili nel XIII secolo e l’altro è sulla rilettura del barocco». La televisione la impegna ancora molto? «Moltissimo. Purtroppo quest’anno faccio trenta puntate, una dopo l’altra e inventare trenta idee non è sempre facile. Ogni volta è una monografia, parleremo di cultura barocca e rapporto tra arte e potere». Oggi non esiste più questo rapporto? «Esiste nei Paesi che funzionano, come gli Stati Uniti». E l’arte italiana? «Non c’è più quella ufficiale, quella autentica è nascosta tra le pieghe della società, sopravvive a malapena senza istituzioni e senza clienti». Ma con molte fiere e molte mostre. «Sì. Ma sono mostre ufficiali non della sperimentazione e anche le fiere diffondono l’arte ufficiale. La creatività la vedo repressa». Bisognerebbe parlare di più di arte e cultura? «Sì e bisogna offrire opportunità, aprire il dibattito, forse molto più anticonformiste, abbattere gli idoli e abbattere soprattutto gli idoli commerciali». Si sta candidando per dirigere la Biennale di Venezia? «Non me la darebbero mai perché sono troppo anticonformista e fuori dalle regole del commercio. Per ora scrivo libri. Bisogna rivalutare assolutamente la figura dell’intellettuale». Ma chi è l’intellettuale? «E’ uno che sa ed è anche uomo d’azione. Bisogna sempre ricordare che il primo intellettuale moderno è stato Emile Zola quando scrisse ”J’accuse”, quando si impegna sulla scena del mondo». Oggi non ci sono più gli intellettuali? «Ci sono, ma non sono uomini d’azione». Devono fare politica gli intellettuali? «No, devono agire e cioè dibattere, opporsi, sostenere fino in fondo le loro tesi. L’Occidente si è sempre fondato su quelle figure». E allora? «Al lavoro, tiriamoci su le maniche». Alain Elkann