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 2008  aprile 13 Domenica calendario

Boicottare la Cina costa mille miliardi. La Stampa 13 aprile 2008 Una mano sul cuore, l’altra - più salda - sul portafoglio

Boicottare la Cina costa mille miliardi. La Stampa 13 aprile 2008 Una mano sul cuore, l’altra - più salda - sul portafoglio. La repressione in Tibet fa male, il massacro del Darfur èanche peggio ma gli affari sono affari, e le Olimpiadi non sfuggono alla regola. Altro che boicottaggio: la Cina spende nel resto del mondo mille miliardi di dollari l’anno, l’equivalente delle perdite dovute ai subprime. La Cina ha un miliardo e 300mila abitanti che stanno diventando la platea di consumatori più grande - e ricca - del mondo. La Cina dispone di 1680 miliardi di dollari di riserve ufficiali in valute estere, un tesoro che cresce al ritmo di un miliardo al giorno ed è in gran parte (il 65%, altri mille miliardi) investito in buoni del Tesoro e moneta Usa. La Cina tiene in piedi la finanza americana dopo la crisi investendo nel dollaro malandato. La Cina finanzia, sia pure in maniera indiretta, anche la guerra in Iraq. Nel frattempo l’Impero di mezzo corre come un treno: rifacendo i conti, Pechino ha rivisto di recente il dato sulla crescita del pil nel 2007 da 11,4 a 11,9%. L’effetto si sente in tutto il mondo: in Italia i cinesi spendono quasi dieci miliardi di dollari l’anno, 110 nell’Unione Europea, altrettanti negli Stati Uniti e 134 in Giappone. I governi, insomma, hanno miliardi di buone ragioni per non guastarsela con Pechino tentando un improbabile boicottaggio dei giochi olimpici. Vogliono vendere ai cinesi i loro prodotti ad alta tecnologia, dalle centrali nucleari agli aerei, dalle auto agli abiti di lusso e sanno bene che gli affari si fanno in due: non è il caso di litigare. Nè si possono sottovalutare le pressioni della grande industria globale. Le grandi multinazionali hanno staccato assegni corposi per un posto da sponsor ai giochi di Pechino. Nomi del calibro Coca Cola, McDonald’s, Nike, Adidas, Microsoft, Visa, Adidas, Jhonson&Johnson, Panasonic hanno investito più di 100 milioni di dollari ciascuna per tappezzare lo show olimpico con i loro marchi e i loro prodotti. Soldi che garantiscono un passaggio in mondovisione durante la cerimonia di apertura, che sarà vista da un miliardo di telespettatori, e offrono visibilità sul mercato interno cinese. Le aziende si trovano tra due fuochi: sui mercati occidentali temono le contestazioni anticinesi. In Cina, come ha spiegato Mark Patterson numero uno di Group M Nord Asia (società che acquista spazi olimpici per conto di Kodak), prendere posizione contro Pechino «significherebbe incontrare grane fiscali o problemi di licenza. Oppure le autorità potrebbero far passare un messaggio negativo capace di influenzare le vendite molto rapidamente». Mc Donald’s, dal canto suo, s’è affrettata a precisare che «le Olimpiadi non sono il posto giusto per discutere di diritti umani» e che la sua Fondazione ha stanziato 2 milioni di dollari per il Darfur. Il coinvolgimento di Pechino nei massacri non la riguarda. Complicato trovare un equilibrio. C’è anche chi ci lavora: Bill Shireman presiede Future 500, un organizzazione che fa da tramite tra le multinazionali come Visa e Coca Cola e i gruppi di attivisti. «Le Olimpiadi sono un’opportunità enorme sia per gli sponsor che per le organizzazioni», un’ottima pubblicità, così Shireman tiene i contatti tra le due parti cercando mediazioni non sempre facilissime. Anche gli uomini che governano l’Occidente provano a cogliere quest’occasione: così di boicottaggio vero non parla nessuno. Disertare la cerimonia di apertura - ammesso che alla fine qualcuno lo faccia - può essere un modo per conquistare consensi, ma ad agosto gli atleti saranno sui campi cinesi. Il messaggio è chiaro: altro che paese emergente, Pechino è emersa da un pezzo. MARCO SODANO