Sergio Romano, Corriere della Sera 13/4/2008, 13 aprile 2008
Molotov Michailovic Skrjabin, politico russo, quasi delfino di Stalin e distintosi nella Rivoluzione d’Ottobre fu presidente del Consiglio dei commissari del popolo (1930-1940), partecipò alle conferenze di Potsdam e Teheran
Molotov Michailovic Skrjabin, politico russo, quasi delfino di Stalin e distintosi nella Rivoluzione d’Ottobre fu presidente del Consiglio dei commissari del popolo (1930-1940), partecipò alle conferenze di Potsdam e Teheran. Ma dopo il 1953 (morte di Stalin), perdette parte del suo peso e, sfiduciato dal Politbjuro, fu allontanato fino a rappresentare l’Unione Sovietica in Mongolia. Dietro questo suo tramonto c’è la mano di Kruscev, con le sue posizioni più flessibili. Come mai un uomo con queste caratteristiche e tale esperienza, non riuscì a contare nell’Unione Sovietica del dopo Stalin? possibile che non avesse previsto che dopo la scomparsa del capo supremo, non ci sarebbe stato spazio per lui? Tra l’altro, se non si leggono specifici libri è quasi sconosciuto nella storia europea. Martino Salomoni martinosalomoni@tiscali.it Caro Salomoni, I l suo vero nome fu Vyaceslav Michailovic Skrjabin. Molotov (dal russo «molot», martello, maglio) è il bellicoso nome di battaglia che scelse durante gli anni rivoluzionari. Ero a Mosca nel-l’estate del 1986 quando Moscow News, edizione in lingua inglese di Moskovskie Novosty, mandò un redattore a intervistarlo nella casa in cui abitava. Apprendemmo così che era ancora vivo e che Gorbaciov, da poco più di un anno segretario generale del partito, aveva deciso di restituirgli una certa visibilità. Ma le domande del giornale e le risposte del vecchio bolscevico erano generiche e prive di qualsiasi interesse. Capimmo più tardi che il nuovo leader voleva fare pulizia nel passato sovietico e aveva affidato alla Commissione di controllo del partito il compito di riabilitare un certo numero di epurati (molti dei quali già morti) e di promuovere una sorta di riconciliazione nazionale. Molotov morì nel novembre del 1986 all’età di 96 anni. Ma non vi furono, salvo errore, né cerimonie pubbliche né necrologi. Era davvero così abile e intelligente come lei, caro Salomoni, sembra credere? In un libro recente sull’Operazione Barbarossa, che verrà pubblicato fra poche settimane anche in Italia, lo storico d’origine ungherese John Lukacs parla dell’incontro di Molotov a Berlino con Hitler nel novembre del 1939 e lo definisce «uno zuccone legnoso e privo d’immaginazione». Aveva certamente alcune doti del negoziatore: era tenace, testardo, impassibile. Ma il suo merito maggiore fu quello di essere fedele a Stalin. Al XVIII Congresso del partito, nel 1939, fu uno dei pochissimi leader bolscevichi della prima generazione sfuggito alle purghe degli anni precedenti. Quando Stalin volle imprimere una svolta filo-tedesca alla politica estera del-l’Urss, Molotov divenne commissario per gli Affari esteri al posto di Maksim Litvinov, il diplomatico che temeva la Germania di Hitler e desiderava concludere accordi di sicurezza collettiva con le democrazie europee. Da quel momento Stalin ebbe al suo fianco un uomo che lo avrebbe obbedito, come dice il motto dei gesuiti, «perinde ac cadaver», al modo di un cadavere. Ne dette una prova nel 1948 quando il suo padrone mandò al confino nel Kazakistan sua moglie, l’ebrea Polina Semionovna Zhemchuzhina, membro del Comitato centrale e ministro della Pesca. Era colpevole di avere avuto un incontro fraterno con Golda Meir, da poco ambasciatore d’Israele a Mosca, e di averle detto in yiddish: «Sono una figlia del popolo ebraico». Il suo eclisse, dopo la morte di Stalin, fu graduale. Per breve tempo fece parte, con Malenkov e Berija, del triumvirato che governò il Paese. Poi, quando cominciò la lotta per il potere e Kruscev s’impadronì del partito, Molotov ebbe una sorte migliore di quella di Berija, ucciso nell’estate del 1953. Conservò il ministero degli Esteri, continuò a far parte dello «stato maggiore» del partito e complottò probabilmente per sostituire Kruscev. Ma questi, non appena ritenne giunto il momento di eliminare qualche ingombrante concorrente, lo privò delle sue funzioni maggiori e gli dette un paio di modesti incarichi diplomatici in Mongolia e a Vienna. Nel 1962, infine, fu addirittura espulso dal partito: una umiliante morte civile, ma pur sempre una sorte meno crudele di quella che Stalin, con il suo aiuto, aveva inflitto alla vecchia guardia.