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 2008  aprile 13 Domenica calendario

«M’

illumino di meno», recita uno slogan che invita al risparmio della luce elettrica. Per completarlo, in tutta onestà, bisognerebbe aggiungere: « …ma pago di più e inquino l’ambiente». E’ una storia tipicamente italiana quella che ci spinge verso l’illuminazione ecologica, senza che ci sia ancora consentito di evitare la contaminazione degli ecosistemi.
Una nuova legge ha fatto scattare, a partire dal novembre 2007, il pagamento di un eco-contributo di 22 centesimi più iva per ogni lampada a basso consumo acquistata. In cambio dovrebbe essere assicurato il ritiro delle lampade non più funzionanti e, soprattutto, il loro riciclaggio in appositi centri, allo scopo di evitare la dispersione delle sostanze tossiche contenute al loro interno: mercurio e polveri fluorescenti.
Invece, nei negozi in cui sono commercializzati questi prodotti, non c’è traccia dei contenitori per la raccolta differenziata, né c’è l’intenzione di accollarsi quintali di lampade fuori uso in attesa che si metta in moto il meccanismo di raccolta. Provare per credere, i più vi risponderanno: «Sì, da quest’anno applichiamo il sovrapprezzo ecologico su lampade e apparecchiature elettriche. Siamo stati informati dai produttori della costituzione di alcuni centri di riciclaggio. Ma il servizio di raccolta non è partito». E nell’attesa le lampade finiscono nei normali cassonetti della spazzatura dove, quando non si riducono in pezzi, spargendo nell’ambiente le sostanze pericolose, tocca alla sensibilità degli operatori ecologici delle aziende municipalizzate recuperarle e poi avviarle ai centri di raccolta capaci di riciclarle.
Il problema esiste solo per i 130 milioni di lampade a basso consumo di vario tipo vendute ogni anno in Italia: i cosiddetti «tubi fluorescenti» compatti e non compatti, per i quali c’è l’obbligo dello smaltimento differenziato. Tutte le altre lampade a filamento (o a incandescenza che dir si voglia) non contengono elementi tossici. «E’ vero, la raccolta differenziata non è partita perché non sono ancora operative le norme specifiche per regolare il complesso meccanismo di recupero presso i punti vendita – conferma Valerio Angelelli, del ministero dell’Ambiente, presidente del Comitato di controllo e vigilanza Raee, sigla che sta per Rifiuti da apparecchiature elettriche e elettroniche ”. Noi, come ministero, quelle norme le abbiamo già scritte. Ora siamo in attesa dell’approvazione finale da parte della Commissione europea. Ancora qualche mese e tutto dovrebbe funzionare come previsto».
E allora perché imporre un nuovo balzello se il sistema non è a regime? «Perché si tratta di un obbligo previsto dall’Unione europea che in Italia abbiamo recepito con un’apposita legge, la 151 del 2005 – risponde Angelelli ”. La legge doveva essere operativa dal 13 agosto 2005. Questa inadempienza poteva fare scattare una procedura di infrazione perché siamo stati gli ultimi in Europa ad adeguarci. Poi, nel corso di quest’ultimo anno, abbiamo provveduto ad emanare la norme necessarie a rendere operativa la legge».
La legge richiamata da Angelelli è figlia di un principio valido non solo per le lampadine, ma anche per tutti gli apparecchi elettrici e elettronici, piccoli e grandi, dai cellulari ai frigoriferi: d’ora in poi chi li produce deve assicurarne il recupero a fine vita, evitando che nell’ambiente siano disperse le eventuali sostanze nocive e garantendo il riciclaggio delle parti utili. Il ciclo di esistenza di un apparecchio che comincia in una fabbrica si deve chiudere sotto la responsabilità degli stessi produttori. Ormai funziona così in tutto il mondo industrializzato.
Per rispettare questo principio, i costruttori di apparati elettrici hanno creato dei consorzi che devono provvedere al riciclo. L’eco-contributo che paghiamo su ogni apparecchio serve, in pratica, a finanziare i nuovi oneri dei produttori.
I centri di raccolta
Le norme prevedono che ogni negozio abbia il suo contenitore che poi deve essere portato alle piazzole comunali di raccolta
Il recupero
Le lampadine a basso consumo energetico sono composte da polveri fluorescenti (mercurio e sodio), metallo e vetroAllo scopo di riciclare le lampadine a basso consumo, in prospettiva le sole a essere utilizzate, visto che quelle a filamento, più economiche ma molto energivore, saranno bandite fra circa un anno emezzo (1˚ gennaio 2010), esistono per ora in Italia sette impianti. «Quasi tutti concentrati al Nord – informa Paolo Colombo, direttore del consorzio Ecolamp, che raccoglie le maggiori imprese nazionali e internazionali produttrici di sorgenti luminose ”. Tre sono nel Milanese: a Muggiano, S.Giuliano e Segrate; le altre a Brescia-Castenedolo, Padova, Gorizia e Roma-S. Palomba. Il Sud, per ora, ne è privo e questo implica maggiori problemi di raccolta e trasporto».
Gli impianti riciclatori sono il punto d’arrivo del sistema; quello di partenza sono gli esercizi commerciali che dovrebbero essere già dotati dei contenitori di raccolta per le lampade a risparmio, simili a quelli che si trovano in parecchi esercizi commerciali per le pilette esauste o per i medicinali scaduti. Trasporti periodici dovrebbero poi assicurare il trasferimento dei contenitori fino alle piazzole comunali o intercomunali di raccolta; e, infine di lì ai riciclatori.
Le piazzole già operative sono circa 500 su un totale di mille previste in tutta Italia. In esse si devono accumulare, oltre alle lampade, anche tutti gli altri Raee. Basteranno a soddisfare le esigenze di 8.000 comuni? «Dipende dal volume dei materiali elettrici e elettronici di cui ogni italiano riuscirà a sbarazzarsi. Le statistiche dicono che ogni anno ne eliminiamo una quindicina di kg a testa. Sarebbe già un ottimo risultato raggiungere entro il 2008 l’obiettivo di 4 kg pro capite, cioè disfarsi in maniera ecologica di 240.000 tonnellate di rifiuti elettrici e elettronici», auspica Angelelli.
A parte il difficile avvio del riciclo, le lampade a basso consumo sono, per ora, le sorgenti luminose più consigliate in tutto il mondo. E’ vero che costano circa dieci volte di più rispetto a quelle a filamento, ma durano anche dieci volte di più e consumano l’80% di meno. Impiantarle nei locali dove si tengono a lungo le luci accese comporta un risparmio annuo di diverse decine di euro sulla bolletta elettrica familiare e quindi un rapido ammortamento della maggior spesa sostenuta per acquistarle. Per questi vantaggi la loro diffusione sul mercato è esplosa: solo due anni fa coprivano il 10% di tutte le lampade vendute. «Oggi – dice Colombo – rappresentano circa il 30% di tutte le sorgenti e prevediamo che nel giro di cinque anni si arriverà al 50%, con notevoli risparmi di energia elettrica, di petrolio e di emissioni di CO2».
Franco Foresta Martin

MILANO – Il volto nascosto dalla mascherina per proteggersi da schegge e polveri nocive. Addosso la tuta bianca e i guanti in gomma per difendersi dai residui taglienti. Alberto Estacio, 41 anni, peruviano, è l’unico operaio dell’impianto di trattamento delle lampade fluorescenti di Muggiano, paese alla periferia ovest di Milano. Con il suo lavoro (otto ore al giorno) e quello meccanico di due apparecchiature ad alta tecnologia, il centro – di proprietà dell’Azienda milanese servizi ambientali (Amsa) – ricicla quotidianamente oltre seimila lampadine.
«Ne infilo nel trituratore una ogni 3 o 4 secondi» spiega Alberto mentre spinge quelli che comunemente chiamiamo «tubi al neon» (ma che del neon non ne contengono nemmeno l’ombra) in una macchina simile a un container che prima li fa a pezzi e poi li restituisce in forma di vetro, ferro, alluminio e polveri contenenti mercurio.
«Impianto compatto di rottura e separazione» è il nome tecnico di questa scatola solo all’apparenza magica da 400 mila euro. Il funzionamento si basa su filtri, magneti e aspiratori ma vedere cosa accade dentro è vietato perché, in questa fase, le polveri fluorescenti sono ancora nocive.
A renderle innocue è il secondo macchinario: un distillatore da 350 mila euro che, raggiungendo temperature fino a 800 gradi, separa la polvere dal mercurio e consente il recupero pressoché completo del metallo tossico (ogni lampadina ne contiene in media 0,8 e 2 milligrammi, a seconda che sia compatta o lineare).
«Isoliamo ogni anno circa 30 chili di mercurio in soluzione acquosa » quantifica Bibiana Ferrari, amministratore unico di Relight, la società di Rho (Milano) che dal 2005 gestisce l’impianto. «Il metallo è contenuto in un fanghetto grigiastro molto pesante, simile in apparenza a un brodo di dado» aggiunge la manager. In questo stato viene trasferito a impianti terzi che lo riducono alle tipiche goccioline con cui poi viene immesso nuovamente sul mercato.
Oltre al mercurio, Relight recupera ogni anno fino a 360 tonnellate di vetro, 8 di ferro e 6 di alluminio: il 95%, cioè, dei componenti originari di circa 2 milioni di lampade. I due metalli finiscono in fonderia mentre, per il vetro, un’intuizione degli ingegneri dell’università di Modena e Reggio Emilia e la creatività della Ferrari – amministratrice quarantacinquenne circondata da una squadra di donne – hanno trasformato il riciclo in ulteriore business.
Dal 2006, infatti, una parte del vetro Relight (il resto è destinato a impianti di valorizzazione) costituisce una delle materie prime di «Relux», una speciale eco-piastrella prodotta da una ditta mantovana.
Quanto ai costi, per il trattamento della lampadina da quando entra nel trituratore fino al mercurio in soluzione acquosa, Relight sborsa tra i 15 e i 20 centesimi a pezzo. Cifra coperta attualmente con le somme ricevute dai Comuni o dai consorzi di produttori che, a questa spesa, aggiungono poi quella per altre operazioni tra cui la cernita, l’acquisto dei contenitori e il trasporto dalle piazzole di raccolta all’impianto.
A Muggiano, infatti, lampadine da tutta Italia arrivano dopo un percorso già abbastanza lungo. Prima tappa: le piazzole ecologiche gestite dai Comuni. Qui, in base al decreto legislativo 151 del 2005, entrato in vigore dal 1˚ gennaio 2008 ma non ancora pienamente attuato, il materiale dovrebbe arrivare dopo essere stato raccolto dai punti vendita. Di fatto, però, in questa fase transitoria e in attesa di nuovi decreti attuativi, i tubi fluorescenti raggiungono le piazzole più per volontà virtuosa dei singoli cittadini che non perché funzioni un sistema organizzato.
Tra i risultati, c’è che finiscono mescolati a materiali di ogni sorta, dagli imballaggi alla spazzatura generica. «Per questo è indispensabile una separazione – spiega ancora l’amministratrice di Relight ”. Noi la facciamo nel nostro stabilimento di Rho dove le lampade vengono isolate dal resto e ripartite tra loro a seconda della tipologia». solo a questo punto che, suddivise in lineari, compatte e di altre forme, arrivano a Muggiano, dove l’operaio Alberto, moderno alchimista, è pronto a infilarle nella sua scatola magica.
Alessia Rastelli