Claudia Provvedini, Corriere della Sera 12/4/2008, 12 aprile 2008
MILANO
«La moglie in originale o il suo clone con cui fare giochi?». Provocatorio, Peter Greenaway riassume il dilemma della sua performance sul «Cenacolo» di Leonardo e cita Guy de Maupassant: «Se non c’è l’originale bisogna assolutamente sorprendere». Ma il dilemma – l’originale in Santa Maria delle Grazie o lo stupefacente clone a Palazzo Reale? – è risolto. Alla vigilia del Salone del Mobile, che ha commissionato al celebre artista multimedia il progetto, curato da Change Performing Arts, l’amministratore delegato Manlio Armellini annuncia: «Dal 16 aprile al 4 maggio i "giochi" sul clone (dalle ore 20, per venti minuti, per 150 persone, dieci volte). Al termine, un solo giorno di performance sull’originale ». E precisa: «Se il ministero dei Beni culturali teme le luci, per la performance di Greenaway garantiamo che il numero di lux sarà meno di quello normalmente usato per illuminare il capolavoro vinciano ».
Quanto al regista di Prospero’s Book, che ha già «messo in scena» ad Amsterdam La ronda di notte di Rembrandt e lo farà con Guernica di Picasso e Las Meniñas di Velasquez a Barcellona (senza patemi dei musei olandesi e spagnoli), ci ha detto ieri notte: «Sono molto contento del lavoro a Palazzo Reale, posso spingere all’estremo la mia creatività, è il massimo per un artista che crede nel dialogo tra arte e tecnologia, come ci credeva Leonardo. Ogni artista è sperimentatore, il vostro Rinascimento ne è prova. Speriamo che l’Italia e Milano, anche in vista della grande occasione dell’Expo 2015, ritrovi questo spirito, tarpato dalla politica».
Il regista è di fronte al clone nella sala delle Cariatidi: grazie all’uso minimal di luci e suoni realizzati in digitale dal «mago» olandese Reinier van Brummelen, le figure si animano, come in una rappresentazione teatrale. Nel buio totale, è illuminato solo il gruppo di discepoli sulla sinistra, le teste chine in un conciliabolo... le mani del Cristo, ecco, si muovono. Fantastico.
L’installazione che ha ricostruito perfettamente anche una parte di Refettorio, lunette comprese, è di Adam Lowe: ha usato una fotografia ad altissima definizione realizzata da una ditta di Novara insieme alla soprintendenza per i Beni architettonici di Milano; poi fissato su gesso come l’originale, infine passato su ogni elemento colori a pigmento «confrontati sfumatura per sfumatura: un’emozione unica venir issato a pochi centimetri dai volti degli apostoli!. Il colore più difficile?
Il grigio. Leonardo ne usa mille gradazioni ». Le immagini al computer di Reinier si muovono invece su quella superficie «come su un’immensa mappa, di cui rilevare colori, densità materica». Un sezionamento in verticale crea scene, in luce e in ombra, una drammatizzazione, una scansione temporale prepara all’acme. Sulla parete opposta scorrono altri dettagli che mai altrimenti si potrebbero vedere sull’originale.
Approfittando di uno specc hio, Gree naway spiega che «come ora noi, gli originali, ci muoviamo e veniamo riflessi, a muoversi qui sarà invece questo clone dell’opera muta e immobile di Leonardo. Clonare The Last Supper, L’ultima cena, ha creato un grande vantaggio». Perché non si rovina l’originale? «No. Non c’è rischio nel mio progetto». Perché? «Per vederne la luce profonda». E l’artista inglese Lowe spiega che «la luce consentita nel Refettorio per preservare il dipinto è necessariamente piatta, in orizzontale, mentre la luce di Leonardo è drammatica, ricca di ombre e colori». E Greenaway: « un esperimento affascinante che ci porterà a una nuova esperienza del capolavoro ».
Claudia Provvedini