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 2008  aprile 12 Sabato calendario

ROMA – Un allarme rosso su un imminente shock alimentare, un vero e proprio tsunami economico e umanitario globale (che già si è abbattuto sui Paesi del Terzo Mondo ma coinvolge con un forte aumento dei prezzi anche i paesi sviluppati) è stato lanciato ieri dalla Fao, nel rapporto trimestrale di previsione della produzione mondiale di cereali

ROMA – Un allarme rosso su un imminente shock alimentare, un vero e proprio tsunami economico e umanitario globale (che già si è abbattuto sui Paesi del Terzo Mondo ma coinvolge con un forte aumento dei prezzi anche i paesi sviluppati) è stato lanciato ieri dalla Fao, nel rapporto trimestrale di previsione della produzione mondiale di cereali. Tra il 2006 e il 2007 il prezzo dei cereali per le nazioni povere ha subito un’impennata del 37%, e addirittura del 56% tra il 2007 e il 2008. Secondo il Fondo monetario internazionale, i prezzi degli alimentari sono cresciuti del 48% a livello mondiale, dalla fine del 2006, mentre sono diminuiti, dell’8,4% secondo l’Ocse, gli aiuti stanziati dai Paesi ricchi a quelli poveri, per il secondo anno consecutivo. Questi aumenti secondo le previsioni rese note ieri della Banca Mondiale, creeranno «100 milioni» di nuovi poveri. Nel 2007, inoltre, secondo la Fao, il prezzo del riso è quello che ha registrato l’aumento maggiore, a seguito dell’imposizione di nuove restrizioni all’esportazione da parte di alcuni tra i maggiori Paesi esportatori (dalla Cina, al Pakistan, all’Indonesia, al Messico e all’America Latina). Alla fine di marzo, i prezzi del grano e del riso erano circa il doppio dell’anno precedente, mentre quelli del mais erano aumentati di oltre un terzo. Forti aumenti del costo della soia si registrano in tutto il pianeta. Intanto le scorte mondiali raggiungeranno quest’anno il livello minimo degli ultimi 25 anni: sono diminuite del 5% rispetto all’anno scorso. Una situazione esplosiva, con una vera e propria «guerra del pane». Si sono verificati scontri per la fame in tutto il mondo: Egitto, Camerun, Costa d’Avorio, Senegal, Burkina Faso, Etiopia, Indonesia, Madagascar, Filippine e Haiti. In Pakistan e in Thailandia si è ricorsi all’esercito per evitare assalti al cibo nei campi e nei magazzini. Negli ultimi giorni sono scoppiate rivolte in Tunisia. In Egitto, dove il governo a febbraio aveva autorizzato l’esercito a cuocere il pane per la popolazione, negli scontri con la polizia, lunedì è rimasto ucciso un adolescente. L’ultima vittima è di tre giorni fa: una donna, madre di quattro bambini, in un villaggio non lontano dal Cairo è morta calpestata dalla folla assembrata davanti a una panetteria statale. «Anche se l’offerta di cereali aumenterà, i prezzi non caleranno – ha avvertito il direttore generale della Fao, Jaques Diouf ”, visto che la domanda di cereali è in aumento e le scorte al minimo». Di qui l’appello del leader della Fao ai Paesi membri perché i Capi di Stato partecipino ad una conferenza in programma a Roma dal 3 al 5 giugno prossimi, «per prendere provvedimenti». Ad aggravare la situazione, l’utilizzo dei cereali per produrre energia, in particolare il mais (il premier britannico Gordon Brown ha chiesto che se ne parli al G8 di luglio in Giappone) e «le speculazioni finanziarie fatte negli ultimi mesi – ha detto Diouf – sul mercato di Chicago con i future del grano». NEW YORK – Barry Commoner (foto), il leggendario scienziato americano considerato tra i fondatori del movimento ambientalista moderno l’aveva pronosticato: «Il vero dilemma deriva dal fatto che nessun Paese della Terra ha affrontato l’emergenza effetto serra in maniera globale». Cosa intende dire? «Che non è ancora emerso un teorema sistematico e condiviso su come risolvere la crisi energetica. Tutti sanno che usare i cereali per produrre combustibile pone un insostenibile carico sull’intero sistema di approvvigionamento alimentare». Di chi è la colpa? «Della globalizzazione che non può, per definizione, essere sostenibile. Una grossa responsabilità è anche dei Paesi ricchi e industrializzati che cercano ricette facili e semplici per apparire verdi». Come si può invertire questa tendenza? «Una delle opzioni è usare le barbabietole da zucchero e i semi di soia, invece del mais, per produrre combustibile. Costerebbe meno e non interferirebbe con le scorte alimentari del pianeta». Una ricetta all’apparenza semplice «Prima però dobbiamo ripensare il nostro modo di produrre beni di consumo. Dobbiamo eliminare i combustibili fossili, rimpiazzandoli al cento per cento con l’energia solare». Quali sono i tempi di una simile transizione? « già tecnologicamente ed economicamente fattibile. Tanto che moltissima gente in California usa già i pannelli solari per ridurre le proprie bollette elettriche. L’intera produzione agricola ed industriale potrebbe già dipendere dall’energia solare». Secondo alcuni è una ricetta troppo costosa. «Balle. Se il governo federale americano decidesse di convertire al solare la sua intera flotta automobilistica i prezzi calerebbero a picco. Anche il resto del mondo sarebbe di conseguenza in grado di acquistare panelli solari ad un prezzo competitivo e accessibile». Pensa che i disordini causati dai forti aumenti dei prezzi alimentari nei Paesi in via di sviluppo possano provocare un nuovo conflitto mondiale? «Spero di no. Le Nazioni Unite devono tenere alta l’allerta per intervenire con aiuti ai Paesi del Terzo Mondo oggi in preda a crisi agricole». Chi trae beneficio dall’attuale situazione? «Ogni volta che si crea una forte domanda di materie prime, c’è qualcuno dietro che trae grande profitto dall’escalation incontrollata dei prezzi. Tra i "paesi cattivi" includerei l’America del Nord e del Sud. A perderci sono puntualmente i Paesi più poveri. La grande vittima è il continente africano». C’è speranza? «Se alla Casa Bianca gli americani eleggeranno Obama potremmo sperare in una più equa redistribuzione delle tecnologie nel resto del pianeta. E quindi degli alimenti». Alessandra Farkas