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 2008  marzo 20 Giovedì calendario

A che serve Confindustria? Panorama 20 marzo 2008 Tra i primi dossier che Emma Marcegaglia studierà con attenzione, nel nuovo ufficio di presidente della Confindustria al settimo piano del palazzo di viale dell’Astronomia, c’è un sondaggio interno fresco di stampa (gennaio 2008) commissionato alla Ipsos public affairs

A che serve Confindustria? Panorama 20 marzo 2008 Tra i primi dossier che Emma Marcegaglia studierà con attenzione, nel nuovo ufficio di presidente della Confindustria al settimo piano del palazzo di viale dell’Astronomia, c’è un sondaggio interno fresco di stampa (gennaio 2008) commissionato alla Ipsos public affairs. Obiettivo: conoscere l’opinione che le maggiori multinazionali presenti in Italia hanno dell’organizzazione. Ebbene, vi si leggono giudizi come questi: «Non dà sufficienti risposte ai nostri problemi»; «C’è provincialismo e chiusura rispetto alle esigenze di una multinazionale»; «Se vogliamo incoraggiare gli investimenti esteri in Italia dobbiamo sfruttare in modo diverso l’operato della Confindustria». Umori non proprio teneri da parte di manager forse poco noti al grande pubblico ma che rappresentano il top dell’industria mondiale: Dario Rinero, presidente e amministratore delegato della Coca-Cola Italia; Giuseppe Recchi, presidente della General Electric; Stanis Boubéee de Gramont, presidente e amministratore delegato della Danone; Sami Kahale, amministratore delegato della Procter & Gamble, e molti altri. Sulle 60 aziende sentite dalla Ipsos, 57 sono associate alla Confindustria ma solo il 25 per cento definisce «costante» la partecipazione alla vita associativa. Il resto, «scarsa», «non costante» o «nulla». E c’è chi, avendo stabilimenti in varie regioni, lamenta: «La situazione è grottesca, paghiamo per 17 associazioni territoriali senza ricevere niente in cambio: spenderemmo anche di più, ma per un servizio adeguato». Insomma, chi è abituato a competere ai quattro angoli del mondo vede la Confindustria come un sindacatone non molto diverso dalle sue controparti dei dipendenti come la Cgil, la Cisl e la Uil e, sotto sotto, afflitto dagli stessi vizi che addebitano al sistema Italia: nell’ordine, «burocrazia», «costo del lavoro», «sistema giuridico e legislativo molto complesso». Ma è interessante paragonare la pragmatica opinione delle multinazionali con quella degli associati italiani alla Confindustria: anche in questo caso viale dell’Astronomia si è rivolta alla Ipsos, ricavandone giudizi soddisfatti. Gli associati hanno nella Confindustria più fiducia che in qualsiasi altra istituzione, più di (nell’ordine) Chiesa, Commissione europea e Banca d’Italia; anche se le attribuiscono meno potere rispetto ai partiti (verso i quali, come per i sindacati, la fiducia è minima), alle banche, a Bankitalia, alla stampa e alla magistratura. Rispetto «a 5-6 anni fa» considerano l’organizzazione «più aperta», «meno conflittuale», «più credibile» «più forte» e «più ascoltata». Il punto critico resta però lo stesso: solo il 45 per cento la ritiene «più vicina ai suoi bisogni», e c’è un 33 che la vede «più lontana». La domanda chiave è: «Per lei è un bene se la Confindustria si occupa non solo dei problemi strettamente industriali, ma dei maggiori problemi della realtà italiana?». Risponde «Sì, è un bene per l’Italia» il 76 per cento degli associati. Lo stesso quesito posto a un campione rappresentativo della popolazione ottiene il 69 per cento, una quota nettamente inferiore. Conclusioni? Agli industriali, più che agli italiani, la Confindustria piace sindacalizzata e molto dedita alla concertazione a tutto campo con governo e confederazioni. Sembrano lontani gli anni di Achille Maramotti, il fondatore della Max Mara, che fino alla sua scomparsa tenne l’azienda fuori dalla Confindustria «per non avere a che fare con i rituali sindacali». Oggi, con il successore Luigi Maramotti, la Max Mara è regolarmente iscritta all’Assindustria di Reggio Emilia, una delle 103 associazioni territoriali che assieme alle 18 Confindustrie regionali, 100 associazioni di categoria, 18 federazioni di settore e 14 soci aggregati (totale: 253 sigle) costituiscono il gigantesco network confindustriale. Una rete capillare perfino più dei sindacati, che paga circa 470 milioni di euro di contributi l’anno; dei quali (in base al bilancio interno 2006, in attivo di 5,6 milioni, ultimo consuntivo e che Panorama ha consultato) 39,39 milioni vanno a mantenere l’apparato romano, assieme a 9 milioni di dividendi e 1,14 milioni di investimenti finanziari. E, a proposito d’investimenti, dove mette i soldi la Confindustria? Soprattutto (17,2 milioni) in fondi monetari lussemburghesi dell’Abn Amro. Il vertice romano, con i suoi 254 dipendenti e collaboratori che costano mediamente 89.867 euro a testa, è sempre stato il bersaglio della base. Il presidente uscente Luca di Montezemolo ha ridotto il personale di 70 unità e, rispetto al 2005, ridimensionato le spese per consulenze (-18 per cento); ma ha aumentato quelle per trasferte (più 8,2), rappresentanza (più 3,5) e soprattutto per affitti e servizi (più 60,2). Però ha spinto molto sul marketing associativo. Intanto (anche qui esattamente come per i sindacati) c’è un problema di rappresentatività. Montezemolo può vantare circa 9 mila nuovi iscritti, che portano il totale a 126.590 aziende con 4,77 milioni di dipendenti. Però le imprese italiane registrate alle camere di commercio sono 4,5 milioni, comprese quelle commerciali e artigianali. E i dipendenti dell’industria sono 6,92 milioni. Insomma, non più del 40 per cento del mondo imprenditoriale in tutti i campi è rappresentato dalla Confindustria e dalle sue omologhe Confcommercio, Confartigianato, Confapi, Abi e altre. Contrariamente a quanto molti pensano, i contratti firmati dalla Confindustria non hanno valore automatico per tutti. «Teoricamente vincolano solo i soci» spiega Giorgio Usai, direttore delle relazioni industriali. «Tuttavia, un’azienda non iscritta, se un dipendente si rivolge al magistrato, è tenuta ad applicare lo stipendio minimo e l’inquadramento professionale di categoria». Anche il clima politico per il prossimo presidente, Emma Marcegaglia (articolo successivo), è favorevole, compresi i ritrovati buoni rapporti con Silvio Berlusconi: anni fa aveva definito la Confindustria «una perdita di tempo», oggi le sue aziende Fininvest e Mediaset sono tra i maggiori supporter di Emma Marcegaglia. Renzo Rosati