GIACOMO AMADORI, panorama 10/4/2008., 10 aprile 2008
Ho ucciso una santa ma non sono il diavolo Panorama, giovedì 10 aprile Paura. Non odio, né dolore, non adrenalina o eccitazione
Ho ucciso una santa ma non sono il diavolo Panorama, giovedì 10 aprile Paura. Non odio, né dolore, non adrenalina o eccitazione. Uccidere a 16 anni ti inietta dentro "paura allo stato puro". Veronica otto anni fa aveva davanti un binario sicuro: un negozio di parrucchiera, come quello del padre, una famiglia da costruire in un paese ai piedi delle Alpi. Un avvenire che vomitava tutti i sabati, cercando risposte in vodka e Martini, un "fastidio" ancora senza nome che faceva schizzare fuori dalle braccia, lacerandole con la punta di un compasso e poi con un bisturi. E quando non c’era più spazio su spalle e omeri, affondava la lama nelle gambe. Disegnava tessere di un mosaico color sangue che nessuno ha saputo interpretare. Magari per tentare di salvarla da se stessa. Poi, una sera di giugno, Veronica ha infranto quel futuro come un vetro, con un coltello e un sasso, insieme con altre due ragazzine assassine. Dietro a quello specchio deformante e deformato c’era una piccola suora, Maria Laura Mainetti, 61 anni, travolta da 19 pugnalate e un colpo di pietra. Si è parlato di sette sataniche, di riti luciferini. Ma alla fine di diabolico nel gesto di quelle tre minorenni c’è solo l’insensatezza di un omicidio senza movente. "Colpa della noia" ha sentenziato qualcuno. Difficile accettarlo. "Forse quella risposta arriverà all’improvviso, magari tra vent’anni, e mi travolgerà. La sto aspettando" dice quasi indifesa Veronica. Oggi ha 25 anni, un diploma di liceo artistico conquistato in carcere e un presente normale, quasi banale, a cui si aggrappa ("Di cosa faccio adesso non racconto niente"). Panorama ha impiegato molte settimane per convincerla ad accettare un incontro. Per proteggere la sua vita privata da un anno vive da sola in una regione del Nord e ha cambiato cognome. Si è presentata a Milano rassegnata. Davanti all’obiettivo del fotografo è rimasta muta e immobile, le lacrime le rigavano le guance. "Vorrei essere dimenticata" ha bisbigliato. Ma sa che non sarà possibile, soprattutto ora che per suor Maria Laura è iniziato il processo di beatificazione e a Chiavenna, dove è stata uccisa, si arrampicano i torpedoni di fedeli. Ogni tanto, mentre le parli, Veronica diviene assente e guarda la pioggia. La fissa e si fa forza. Non sai se è timidezza o qualcos’altro. Vorresti registrare i suoi pensieri, ma non è possibile. bella, di una bellezza minuta e bruna, quasi puberale. "Dopo tanti anni, sto provando a far di me una persona decente. Dentro e fuori" confida. Nei suoi occhi verde scuro ogni tanto luccica qualcosa di aguzzo. Cocci di un inconscio che dopo la rimozione sta facendo i conti con quella suora raggomitolata in terra. Quando le chiedi la data di nascita risponde con voce piatta: 6 giugno. Ma quel giorno è morta suor Maria Laura. Un lapsus che svela più di molte risposte. Quell’omicidio ha cambiato Veronica per sempre. Adesso lei, dopo avere pagato, vuole guadagnarsi un’altra possibilità. In attesa di quella risposta. Veronica, come si decide di uccidere a 16 anni? Stando sedute sei ore davanti a una birra in un piccolo bar di paese. Tutto quello che dicevamo, pensavamo, facevamo era senza valore. Secondo la sentenza definitiva, la "mente" dell’uccisione di suor Maria Laura Mainetti è stata Ambra... una sciocchezza. Non è stata lei a progettare l’omicidio. L’idea era di tutte e tre. Da qualcuno sarà partita. Nei pomeriggi in quel caffè, quando una diceva una cosa forte, allora l’altra la diceva più grossa per stupire. Era un andarsi sopra, un cercare di superarsi. Tra di noi non c’era un capo. Chi ha fatto per prima il nome della suora? O io o Milena. Ricordo il momento, ma non chi lo abbia pronunciato. Perché proprio lei? Perché altri in paese le avevano già fatto degli scherzi. Per quale motivo la prendevano di mira? Forse perché era la madre superiora. I ragazzi non le facevano fare una bella vita al convitto. Chi è che l’ha agganciata? Per telefono Milena, visto che a me veniva da ridere. Poi di persona mi sono presentata io. Le ha detto che era stata violentata da un uomo a cui aveva chiesto l’autostop... Dovevo farmi seguire per portarla nel posto dell’agguato con la scusa di prendere le mie cose prima di trasferirmi in collegio. Ma la prima volta non ce l’ho fatta ad arrivare fino in fondo e sono andata via senza di lei. Alle mie amiche ho detto che non aveva voluto seguirmi. E il secondo tentativo? Anche lì inizialmente me ne ero andata da sola. Poi ho raggiunto le mie amiche nel viottolo dove avremmo dovuto ucciderla. Volevamo tornare a casa. Sono sicura: speravamo di non incontrarla. Però quando siamo arrivate in paese suor Maria Laura era ancora lì che mi aspettava. Si era fermata probabilmente per vedere se tornavo, se stavo bene. Le ho detto che quelle erano le mie amiche e che le mie cose erano sulla loro macchina. Ci ha seguite sino al luogo del delitto. Il coltello era nella borsa di Milena. Se fosse andata via, che cosa sarebbe successo? Non lo so. Non posso saperlo. Quel giorno potevate colpire chiunque? Sì. Ho persino avuto paura che Ambra e Milena se la prendessero con me, visto che si erano nascoste in attesa che arrivassi con la suora ed era quasi buio. Mi era venuta la fobia: ora arrivo su e loro non mi riconoscono... Dunque non c’è un’unica mente o un movente in questa storia? No, non c’è. Che sensazione ha provato a uccidere? Paura allo stato puro. Non ho mai avuto così tanta paura come quella sera lì. Ho sentito solo terrore. Una sensazione bruttissima. Prima di farlo pensavo che uccidere fosse come tutte le altre cose, una sciocchezza. Ma non è così. Ma allora perché non vi siete fermate? Avete colpito suor Maria Laura con 19 coltellate. Credo che quando inizi diventi impossibile fermarsi, ma non lo so con certezza. Perché? Io, a differenza di quello che si è detto, ero lì, ma non ho tirato coltellate. Avevo così tanta paura che non ce l’ho fatta, non connettevo più. Se fossi stata lucida, come dieci minuti prima, ci sarei riuscita. Senza problemi. Ma ero terrorizzata. Ho chiara la sensazione del coltello in mano e poi di quando lo getto o, forse, lo passo. Quanti coltelli avete usato? Uno solo, preso a casa mia. Anche se si continua a dire che erano due. Dopo, l’arma dove l’avete nascosta? Nel cassetto della mia cucina, da dove era uscito. Da che cosa era terrorizzata? Dallo sguardo di suor Maria Laura? Dal sangue? Non lo so, perché era buio e io non l’ho vista in faccia, come non ho visto il sangue. Certo avevo paura di tutto. Anche di Ambra e Milena. Ricordo solo un gran urlare. Quella è la parte più confusa di tutta la mia vita. So perfettamente dove ero prima e dove ero dopo, ma il durante è caotico. E non so quanto sia durato. A me sono sembrati pochi minuti, ma gli orari del mio racconto non combaciano con quelli degli investigatori. Ho chiaro solo che a un certo punto suor Maria Laura è caduta a terra e io mi sono allontanata insieme con Ambra. E Milena? Alla fine abbiamo dovuto tirarla via a forza, lei era proprio impazzita, si capiva che l’aveva presa male. Poi siamo andate a lavare il coltello a una fontana e io ho avuto la pessima idea di alzare la faccia e incrociare lo sguardo di un ragazzo. Secondo Ambra e gli inquirenti era il membro di una setta satanica a cui davo il segnale che era stato fatto il tutto. Da lì è venuto fuori che ero in contatto con importanti gruppi dediti al culto del demonio. Per un anno si è parlato di un presunto quarto uomo. All’inizio ero il mostro, alla fine ho preso la pena più lieve (qualche giorno in meno di Milena, ndr). Dunque non è vero che facevate parte di una setta diabolica? No. Ma quella storia andava bene per i titoli dei giornali. E la sua passione per il cantante blasfemo Marilyn Manson? Mi piaceva, ma in casa avevo solo un cd suo. In mezzo ai poster dei Take That e di Laura Pausini. Però all’ottantesima volta che mi hanno chiesto se mi ispirassi a Manson ho dato agli psichiatri la risposta che volevano sentire. Per tornare in camera a dormire. Sapevo che volevano una spiegazione e io non l’avevo. E probabilmente non l’avrò mai. Sul suo diario c’era scritto: "Fare ciò che vuoi sarà l’unica legge", una frase dello stregone inglese Aleyster Crowley... Non sapevo neanche di chi fosse. L’avevo copiata da una mia compagna. vero che prima di decidere di ammazzare suor Maria Laura, volevate uccidere un cane, poi un bambino? Lo ha detto una nostra amica. Io per un po’ ho negato, perché non era vero. All’ennesima contestazione ho confermato. Non ne potevo più... E non me ne importava niente di difendermi. Ora, però, posso dirle che adoro gli animali e i bimbi: non avrei mai potuto far loro del male. Perché non avete avuto la stessa pietà per suor Maria Laura? (Silenzio). Non lo so. Non ho una spiegazione: sono talmente diversa rispetto a nove anni fa... Mentre la uccidevate, madre Maria Laura vi perdonava, pregando in ginocchio. Per questo la sua beatificazione, per questo diventerà forse santa. L’hanno detto le mie amiche, ma io questo particolare non lo ricordo. Davvero. Quando ha avuto la percezione esatta del vostro gesto? Quando mi hanno arrestata: tre settimane dopo il delitto, il giorno del mio diciassettesimo compleanno. Alle 7 del mattino sono entrati nel mio appartamento otto carabinieri, due in divisa, gli altri in borghese. Sono arrivati e mi hanno detto di seguirli. In casa c’era mia mamma che pensava mi volessero semplicemente sentire come testimone. Sono stata in caserma dalle 8 del mattino a mezzanotte. Solo allora si è resa conto della gravità di quello che aveva fatto? Forse neppure in quel momento. Non c’ero con la testa, non mi rendevo conto. Tutto quello che stava accadendo non mi toccava. Non so quando ho iniziato a capire. Forse dopo la prima udienza del processo. All’uscita i carabinieri mi hanno incappucciata e mi hanno messo sotto il sedile, ho intravisto i flash dei fotografi e mi sono detta: allora è tutto vero... Come avete fatto a non confessare subito? Adesso non riuscirei a tenermi dentro quel segreto per così tanti giorni, ma allora, dopo la paura iniziale che mi ha fatto sentire viva, sono tornata la ragazza di sempre, quella a cui non importava niente di nessuno. Non è che non mi dispiacesse. Forse sì. Però sono ridiventata apatica, priva di emozioni. Come hanno fatto gli investigatori ad arrivare a voi? Grazie alle intercettazioni telefoniche. Sapevamo di avere il cellulare sotto controllo, ma parlavamo lo stesso. Anche perché Milena era in vacanza a Rimini. Ricordo che non mi finiva mai il credito. Settemila lire sono durate una vita. Avete cercato di depistare le indagini? Io non ho fatto niente per nascondermi. Nell’immediatezza ho persino confessato l’omicidio a due miei amici: uno dei due era la figlia del comandante della stazione dei carabinieri. stata anche ascoltata come testimone. Quindi voleva comunicarlo? Non lo so. Io sino ai 18 anni non avevo ben chiaro quello che volevo, da quando mi alzavo a quando andavo a dormire. Sapeva che l’avrebbero arrestata? Io la faccia ce l’avevo messa: dalla suora mi ero presentata io. Poi sono iniziati i segnali. Sul giornale locale c’era l’identikit di una delle assassine e al bar un’amica, sotto quel disegno, ha trovato il mio nome scritto a penna. Quel quotidiano era appena stato letto da uno degli investigatori. Mi sono detta: arrivano... Altri ricordi di quei giorni di indagini? Notavo che mi pedinavano. La sera prima dell’arresto ero in piazza e un’amica mi stava consegnando il regalo per il mio compleanno. All’improvviso è arrivata un’auto dei carabinieri: ha inchiodato, i militari a bordo ci hanno squadrate e sono ripartiti. Ho pensato: è finita davvero. Nel frattempo io e Ambra c’eravamo messe d’accordo: chi fosse stata arrestata per prima avrebbe dovuo mandare un sms all’altra. Alle 6.30 è suonato il citofono: erano i carabinieri. Mentre aprivo la porta di casa mi è arrivato un messaggio vuoto sul cellulare. I militari, entrando, mi hanno chiesto: " l’sms di Ambra?". Ci avevano intercettate al telefono. Ricorda i primi momenti del fermo? In macchina i carabinieri, molto gentili, mi hanno spiegato che sapevano tutto. Poi sono andati a prendere i nostri fidanzati (il mio e quello di Ambra stavano facendo il militare nella stessa caserma). Nei giorni successivi i ragazzi ci hanno scritto per dirci che avevamo fatto una sciocchezza e ci hanno lasciate. Dopo quanto tempo ha confessato? Praticamente subito. Ho iniziato a parlare quando mi hanno detto che stavano andando a prendere anche Milena, in Romagna. Non volevo che la arrestassero per colpa mia. Come è stata la prima notte in prigione? Non male. Avevo dei tagli freschi sulle braccia, il medico ha ordinato il piantonamento e allora stavo con l’obiettore di coscienza a guardare film. Poi è arrivato il pm per fare la convalida del fermo e io ho iniziato a ridere. L’avvocato mi dava i pugni sulla schiena per farmi smettere. Le vostre confessioni non coincidevano... All’inizio Ambra ha accusato Milena e lei si è difesa, allora ha attaccato me e io non ho reagito, non me ne importava niente. A sentire lei sembrava che quel giorno l’avessimo obbligata, quasi legata e imbavagliata. Ridicolo. In aula non ci rivolgeva neppure la parola. Poi, un giorno a Milano, ci hanno rimesso tutte e tre in cella insieme e Ambra, quando ci ha viste, ci ha baciato e abbracciato come se fossimo le sue migliori amiche. Pensa che rivedrà Milena e Ambra? No. Abbiamo smesso di sentirci da un bel po’. All’inizio ho mandato due lettere. Ambra non mi ha risposto e ha consegnato la mia posta al magistrato, con Milena abbiamo continuato a scriverci. Sino a quando mi sono accorta che ci raccontavamo sempre le stesse cose. Siamo due persone molto diverse. Probabilmente non abbiamo più niente da dirci. Oggi ha capito che rapporto aveva con loro? Sino a pochi anni fa ero convinta che Milena fosse la mia migliore amica. Ora che sono un po’ più lucida mi sono resa conto che non era vero, che non ci conoscevamo. Stavamo insieme per modo di dire, bevevamo senza comunicare sul serio. Era il nostro modo di farci compagnia. Non so perché con loro due, anche perché Ambra mi è sempre stata antipatica, nel gruppo l’ha portata Milena. Chi è oggi Veronica? Dopo tanti anni di psichiatra mi conosco un po’ meglio. Non mi faccio più tanto schifo. Avrebbe voglia di tornare a Chiavenna? Con tutto quello che ho fatto per venire via... Quello è un bel posto per invecchiare. Che adolescente era? Sino a 11 anni sono stata una bambina invisibile. Quindi ho iniziato a combinare guai. Mi ubriacavo tutti i sabati: vodka, tequila, Martini, whisky, quando non c’era niente bevevo anche lo spumante. La prima sbronza l’ho presa a 12 anni: la guardia medica mi voleva portare in ospedale, dove lavorava mia mamma. L’ho picchiato per scendere e non farmi beccare. Droga? Anche se in paese dicevano che ero cocainomane ed eroinomane, mi sono sempre fatta solo canne. Il fumo lo compravo a scuola o al Parco Sempione a Milano. Un po’ lo rivendevo ai ragazzini più piccoli, sono diventata una spacciatrice senza accorgermene. Non si è fatta di altro? In realtà ho provato pure l’etilcloruro, il ghiaccio spray. Si respira con la bocca, fa andare fuori di testa. Per due mesi è stata la moda di Chiavenna. Dopo il terzo tiro rovina, io per un periodo ne ho aspirato mezza bomboletta al giorno. Quando lo usavo non riuscivo a seguire le lezioni, diventavo pure dislessica. Con l’etilcloruro ho avuto la mia prima e unica allucinazione: mi sembrava di rincorrere un treno. All’improvviso ho sentito una botta. Mi ero schiantata contro la parete del bagno. Oggi ha smesso con questa roba? Certo. Già allora non mi piaceva bere e fumare: si doveva fare e lo facevo, anche se mi accelerava il battito cardiaco. Sesso? Ho iniziato a 14 anni. Mi buttavo via anche con i ragazzi. Qualcuno mi ha pure picchiato. Le madri tenevano le loro figlie lontane da me. Secondo loro non ero un buon esempio. mai stata molestata? Sì, da un vecchietto. Pochi giorni prima che mi arrestassero. Stavo facendo l’autostop per tornare da Sondrio. Mi ha offerto 100 mila lire per fare sesso. Ha iniziato a toccarmi. Ho spalancato la portiera della macchina: "O ti fermi o mi butto" gli ho gridato. Si è fermato. Ho ripreso a fare l’autostop e mi ha caricato il carabiniere in borghese che mi stava pedinando. Ha avuto pietà di me. Quando ha sentito di aver toccato il fondo? A 16 anni ero diventata un disastro. Fuori ero goffa e dentro ero brutta. Ero circondata da tante persone e non assomigliavo, neppure lontanamente, a nessuna di loro. Era come essere su una nuvoletta e guardare tutto dall’alto. Che cosa c’era di diverso in lei? Non mi interessava niente dei vestiti di marca, di andare a ballare; non me ne fregava niente di niente, ma per assomigliare agli altri mi doveva importare di qualcosa e allora mi accodavo. Era un macello. Perché ha iniziato a esagerare? Ho cercato di far sapere al mondo che c’ero. Aveva problemi con i suoi genitori? Di questo preferisco non parlare. Dopo l’omicidio mi sono stati vicino. Hanno fatto degli errori anche loro, ma non li voglio giudicare. Secondo me c’era qualcosa di sbagliato in me. Da quando ho dei ricordi, sono sempre stata annoiata da tutto. Provavo un profondo senso di angoscia, di claustrofobia... credente? No. In famiglia non c’è nessuno di particolarmente religioso. una cosa che non ho mai sentito. Ho smesso di andare a messa il giorno dopo la cresima: per me la religione era una delle tante cose inutili. stata anche autolesionista... Mi sono rotta un polso prendendo a pugni il muro del bagno per un’ora e mezzo. Un’altra volta mi sono scalfita la rotula del ginocchio a colpi di padella: sono andata in gita scolastica con le stampelle. A 12 anni ho cominciato a ferirmi. Ricordo la prima volta: durante una lezione di matematica. Mi graffiavo per noia. Incidevo delle lettere sulle mani. Sangue ne perdevo poco. Poi a casa da sola ho iniziato a usare i bisturi di mia madre. Ogni quanto? Praticamente tutti i giorni, sebbene dipendesse pure dallo spazio libero che mi era rimasto sulle braccia. In casa avevo una confezione da 100 bisturi. Usciva molto sangue? A volte sì. Mi tamponavo con lo scottex. Ha mai avuto paura di morire? In un caso. Non riuscivo a fermare l’emorragia. E i suoi genitori non se ne accorgevano? Quando hanno cominciato a controllarmi le braccia ho preso a tagliarmi le gambe. Da quelle ferite usciva il senso di fastidio, di noia che mi opprimeva. Dopo mi sentivo sollevata. Quando ha smesso? In carcere. Intorno a me tutte le altre ragazze si tagliavano: ferite vere, profonde. Ho scelto di non farmi più del male. Ha mai pensato al suicidio? Sì, ma non me ne importava niente neppure di quello. Prima dell’omicidio della vita mi interessava poco: in due occasioni mi sono addormentata sul davanzale di casa, un’altra sulla balaustra di un ponte. Quando attraversavo la strada non guardavo se arrivassero macchine. Una volta una si è fermata a un centimetro da me. Facevo l’autostop a tutte le ore, anche in piena notte, da sola. Quali sono i primi ricordi che ha della morte? Avevo 8 anni ed è mancata una persona a cui tenevo molto. Al funerale ho pianto. Da allora non l’ho più fatto davanti a una bara. Quando ha smesso di dare senso alla vita? In quel periodo lì. Ma l’ho chiaro solo adesso. Come ne è uscita? Prima l’istituto minorile, poi la comunità. Piano piano. Per sopravvivere. Si esce naturalmente. Anche se intorno dicono che ho fatto un grosso lavoro su me stessa, a me è sembrato tutto semplice. La prigione è stato il gioco più facile del mondo. I primi due anni sono forse stati i più belli della mia vita. Gli altri due sono stati di parcheggio, in cui perdevo tempo e facevo qualche cavolata. Come ha fatto a trovarsi così bene? Finalmente avevo delle regole, qualcuno che mi ascoltava, si preoccupava di me, anche se ero diversa. Mi sentivo protetta, in un ambiente ovattato. Gli unici due rapporti disciplinari li ho presi quando mi volevano mandare in comunità. Ho fatto di tutto per rimanere dentro. Un po’ di carcere è terapeutico. Per lo meno l’istituto minorile. La galera per adulti, per fortuna, l’ho schivata. Dopo l’omicidio, in prigione, qualcuno ha provato a fargliela pagare? All’inizio tutte le altre ragazze mi volevano picchiare, ma nessuna si avvicinava perché avevo la fama di satanista. Erano spaventate da me. In cella le scriveva qualcuno? In pochi. Mi ha scritto Erika De Nardo (la giovanissima assassina di Novi Ligure, ndr), raccontandomi la sua vita in carcere come se fossimo amiche da sempre. In realtà non ci eravamo mai conosciute. Ho pensato: questa ragazza non deve stare bene... Le ha risposto? No. Esiste una rete di solidarietà, una specie di circolo delle assassine nate? Non lo so. Io di sicuro non ne ho mai fatto parte. Qual è la cosa più brutta della reclusione? Che non hai spazi. Nell’ultimo periodo, per punizione, mi avevano messa nella cella grande con altre sette ragazze. E neppure in bagno ero da sola: le agenti mi controllavano dallo spioncino. Altri incubi? Le perizie con gli specchi. Tu parli e sai che dietro a quei vetri ti osservano. stato un trauma: non riuscivo più a stare dove c’erano degli specchi, a guardarmi riflessa. Ancora oggi mi è rimasta un po’ questa fobia. A traumatizzarmi ci hanno pensato anche alcuni psichiatri. Per difendermi dai loro giudizi e da quelli degli altri ho dovuto chiudermi in un guscio. Adesso che sono uscita, ho di nuovo paura, anche di quello che la gente può pensare di me. Come è stato lasciare la prigione? Due estati fa mi è piombato addosso l’indulto e mi sono chiesta: "E adesso che faccio?". All’inizio non riuscivo neppure ad attraversare la strada. Poi, finita la scuola, ho trovato un lavoro. Il mio primo appartamento da sola è stata un’emozione. Per un periodo ho insegnato a disegnare ai bambini di una scuola materna, poi i genitori, dopo aver scoperto da un giornale chi ero, mi hanno fatto mandare via. Come convive con il suo passato? Sono diventata brava a chiudere le porticine nella mia testa. Mi sono attrezzata con tutta una serie di lucchetti e chiavi, ma è solo sopravvivenza. Un giorno questa storia riemergerà da dove l’ho seppellita e forse mi travolgerà. Riesce a immaginare quando succederà? Prima o poi mi dovrò confrontare seriamente con quell’omicidio. Per ora ho cercato di cancellarlo, perché so di non avere risposte. E quando le pretenderò davvero da me stessa, sarà un disastro. Alla fine questa storia come l’ha segnata? Mi sento sempre in colpa quando lo dico, ma quella tragedia mi ha salvato dalla mia adolescenza. Il carcere, gli psicologi, la comunità mi hanno permesso di diventare una persona che altrimenti non sarei mai stata. In un modo o nell’altro sarei venuta via, non da Chiavenna, ma da Veronica. Ha mai scritto alle consorelle o ai fratelli di suor Maria Laura? No. In tribunale un giorno mi hanno chiesto se volessi dire qualcosa ai parenti: sono rimasta zitta. In quel momento le mie parole sarebbero suonate false e allora ho taciuto. Se mi avesse chiesto perdono una come me, io non l’avrei presa in considerazione. Oggi avrebbe voglia di chiedere scusa? una domanda stupida. Preferisco non rispondere. Vorrebbe non aver mai ucciso suor Maria Laura? Penso che avrei voluto essere arrestata per un altro motivo. Magari con 300 chili di cocaina. Quel percorso lo dovevo fare per salvarmi. Ma avrei voluto non dover uccidere. Che immagini ha della suora? Ricordo la sua faccia. Ma non la conoscevo bene. L’ha mai sognata? Una sola volta. In compenso, ancora oggi, se per strada incontro una donna anziana, mi trasmette una sensazione di fastidio, difficile da sopportare. Un’ultima domanda: anche se non è credente, il quinto comandamento dice: "Non uccidere". Lei quali altri non ha rispettato? (Veronica chiede al cronista di ripeterglieli. Poi riflette). Tutti. Li ho infranti tutti. E ora? Lo ripeto, sono diventata una persona migliore e... E...? E adesso avrei da chiedere io una cosa a voi giornalisti: posso? Certo. Dimenticatemi: mi sono fatta raggiungere per non essere più inseguita. Non rimandatemi all’inferno. Giacomo Amadori BOX La vittima venerata in tutta Italia Chi era suor Maria Laura Per il Vaticano è "quasi beata", ma nei cuori di chi l’ha conosciuta suor Maria Laura Mainetti, uccisa a 61 anni con 19 coltellate, è già santa. A Chiavenna, 7 mila abitanti, nessuno sembra avere dubbi. "Il male può toglierti la vita, ma non l’amore" spiega Ambrogio Balatti, parroco della cittadina. "Suor Maria Laura lo ha dimostrato perdonando le tre ragazze. Sarà lei a salvare Ambra, Milena e Veronica se avranno l’umiltà di riconoscere il proprio peccato inginocchiandosi davanti alla croce della suora, posta nel luogo dell’omicidio". Oggi la stradina dove è stata ammazzata è meta di un continuo pellegrinaggio. "Arrivano fedeli da tutta Italia e dall’estero" conferma don Balatti. Suor Maria Laura era nata tra i poveri a Colico, sul lago di Como. Decima figlia di Stefano Mainetti e Marcellina Gusmeroli, rimase orfana di madre dopo la nascita. A Chiavenna ha svolto la maggior parte delle proprie attività con le Figlie della Croce. Quando è stata uccisa, era madre superiora e dirigeva un convitto di studenti. "Tutta la sua vita è stata spesa per gli altri, con particolare attenzione ai piccoli, ai poveri, agli ultimi. Non si stancava mai" assicurano le consorelle. In ricordo di suor Maria Laura a Chiavenna sono nate una fondazione, l’associazione Immacolata e la cooperativa sociale che gestisce la scuola per l’infanzia. Suor Beniamina Mariani ha raccontato la vita di Mainetti nel libro La suora di Chiavenna e diverse strutture le sono state intitolate nel Nord, a Roma e una in Costa d’Avorio. (Stefano Barbusca)