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 2008  aprile 08 Martedì calendario

Seppellì viva l’amante condannato a trent’anni. La Stampa 8 aprile 2008 Vale trent’anni e una manciata di euro la vita di Jennifer e del suo bambino mai nato: respingendo le richieste della pubblica accusa, che con il pm Stefano Buccini aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno, il Gup di Venezia Giuliana Galasso ha condannato a 30 anni, e a un risarcimento complessivo di 175 mila euro per i congiunti, Lucio Niero, 36 anni, che il 29 aprile di due anni fa ha ucciso a Olmo di Martellago, nella prima terraferma veneziana, la ventenne Jennifer Zacconi che stava per dargli un figlio

Seppellì viva l’amante condannato a trent’anni. La Stampa 8 aprile 2008 Vale trent’anni e una manciata di euro la vita di Jennifer e del suo bambino mai nato: respingendo le richieste della pubblica accusa, che con il pm Stefano Buccini aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno, il Gup di Venezia Giuliana Galasso ha condannato a 30 anni, e a un risarcimento complessivo di 175 mila euro per i congiunti, Lucio Niero, 36 anni, che il 29 aprile di due anni fa ha ucciso a Olmo di Martellago, nella prima terraferma veneziana, la ventenne Jennifer Zacconi che stava per dargli un figlio. Lui, sposato e già padre di due bambini, quella creatura non la voleva: non voleva riconoscerlo, e soprattutto non voleva contribuire al mantenimento che la giovanissima mamma, in precarie condizioni economiche, con insistenza chiedeva. Non voleva che sua moglie, secondo lui all’oscuro di tutto, venisse a sapere. Portata a tarda sera in un posto isolato in campagna sotto un furioso temporale, la ragazza era stata colpita a pugni in faccia e con calci sulla pancia; ancora viva e semi incosciente, era stata sepolta in una buca piena di fango e ritrovata solo dopo nove giorni, quando lo stesso assassino era crollato e aveva confessato davanti ai carabinieri. In quella buca era finita, prima ancora di iniziare, anche la vita di Hevan, che era sopravvissuto solo pochi istanti all’asfissia della madre: sarebbe nato tre settimane dopo. Lei aveva fango nei polmoni; lui, uscito alla luce in un tavolo da autopsie, sembrava un neonato addormentato. Sono sepolti insieme, lei lo tiene tra le braccia. Finisce così, tra polemiche, minacce e sinistri sorrisi la prima fase processuale per uno dei fatti più atroci mai accaduti in provincia di Venezia. Ad attendere la sentenza c’erano i genitori di Jennifer e la sorella Angela: la mamma Annamaria Giannone - un controverso passato di cartomante, in un altro processo imputata per usura insieme allo stesso assassino della figlia - aveva sempre detto di pretendere due ergastoli, perché due erano le vittime. Ma ieri, stringendo tra le mani un pupazzetto di Jennifer, è uscita dall’aula agitando in segno di vittoria il numero 3 per indicare alle telecamere la sentenza. «Siamo soddisfatti», ha detto, mentre l’ex marito, papà della ragazza, sorridendo con uno sguardo feroce ai fotografi, ha aspettato il passaggio dell’assassino per sibilargli: «I tuoi figli non li vedrai mai più». Della voglia di farsi giustizia da solo non ha mai fatto mistero, e fin dal giorno dei funerali della figlia ha giurato che dove non fosse arrivata la giustizia dei tribunali, sarebbe arrivato lui. Ci sarà l’appello: e a ricorrere sarà la difesa che ritiene «sproporzionata» la pena per Niero: avrebbe agito in stato di «discontinuità mentale». Che venisse applicato l’ergastolo era sembrata ipotesi non praticabile nello stesso momento in cui era stato concesso il rito abbreviato, che automaticamente porta uno sconto della pena. Per aggirare la norma, il pm aveva chiesto in aggiunta alla pena l’isolamento diurno, contando sull’unica esigua possibilità che lo sconto si limitasse a togliere l’isolamento. Non è andata così, e immediate sono arrivate le reazioni alla sentenza: a chiedersi «cosa bisogna fare in Italia per avere l’ergastolo?» è Roberto Castelli, leghista, già ministro della Giustizia. ANNA SANDRI