Il Messaggero 8 aprile 2008, CARLO JEAN, 8 aprile 2008
Parigi spegne la fiaccola. Il Messaggero 8 aprile 2008 PECHINO ha puntato molto sul successo dei Giochi olimpici, per dare un’immagine positiva della moderna Cina e per celebrare i suoi successi
Parigi spegne la fiaccola. Il Messaggero 8 aprile 2008 PECHINO ha puntato molto sul successo dei Giochi olimpici, per dare un’immagine positiva della moderna Cina e per celebrare i suoi successi. La rivolta in Tibet ha provocato reazioni che rischiano di trasformare la marcia trionfale della fiaccola olimpica in una profonda umiliazione. Le proteste in Occidente dimostrano la capacità di mobilitazione delle Organizzazioni non governative (Ong) e la potenza di Internet. Non solo il governo di Pechino, ma anche i governi occidentali sono in imbarazzo di fronte all’ampiezza delle dimostrazioni. Esse non tirano in causa solo i Giochi, ma l’intera politica internazionale della Cina. Pechino non condiziona i rapporti economici alla tutela dei diritti umani e al tipo di regimi politici. Mentre l’Occidente, non senza contraddizioni, adotta il cosiddetto Washington Consensus, la Cina con il suo Beijing Consensus separa nettamente le due sfere. Perciò, ne ha tratto vantaggi, sostenendo le peggiori dittature, specie in Africa, con la scusa di rispettare la sovranità degli Stati. Le Ong erano critiche verso la Cina, anche in passato. Avevano condannato i campi di lavoro e le persecuzioni alla setta spirituale Falung Gong. Si erano scatenate per il sostegno di Pechino al Sudan, per il genocidio nel Darfur. Per esso, avevano proposto di chiamare le Olimpiadi di Pechino ”Giochi del genocidio”. Le avevano trasformate in eventi politici. La loro azione aveva avuto successo. La Cina aveva tolto il veto sull’intervento umanitario dell’Onu e dell’Unione africana. Addirittura aveva mandato qualche centinaia di soldati per facilitarlo. Anche per il Myanmar, era riuscita a smorzare le proteste. Non è avvenuto così per il Tibet. Intanto, perché il governo di Pechino vi è coinvolto direttamente. Poi, perché è vulnerabile, sia nella ”maratona” mondiale della fiaccola olimpica, sia per il rischio di qualche suicidio buddista nel corso dei Giochi. Infine, perché il Dalai Lama premio Nobel per la pace è molto apprezzato da tutti. Il governo di Pechino si trova così in notevole imbarazzo. Si è addirittura rivolto al Dalai Lama per far calmare le acque nel Tibet, benché l’avesse detto ispiratore della rivolta e definito «mostro, con la faccia umana e il cuore di animale». Pechino si è accorta di aver commesso un errore. Gli attacchi hanno rafforzato le simpatie per il Tibet. Il presidente Bush e l’Alto rappresentante Solana, che avevano detto che avrebbero presenziato all’apertura dei Giochi, non sanno come fare ”macchina indietro”. La nazionalista opinione pubblica cinese ha reagito con risentimento. Non accetta critiche. Sui giornali cinesi si ricorda il ”secolo delle umiliazioni” iniziato con la ”guerra dell’oppio” a metà del XIX secolo in cui la Cina fu saccheggiata, occupata ed impoverita. In fondo in fondo c’è la convinzione che i successi cinesi dell’ultimo ventennio abbiano suscitato invidia e sospetti nel resto del mondo. Si ipotizza che gli altri popoli vogliano mantenere sottomessa ed arretrata la Cina, gelosi e anche timorosi dei suoi successi. Non solo il governo cinese, ma molti politici in Occidente, sperano che le proteste vengano contenute e che la repressione della rivolta in Tibet cessi o, almeno, venga ultimata rapidamente, per non creare sconquassi nei rapporti fra la Cina e l’Occidente. Influiscono al riguardo non solo la convinzione dell’importanza economica cinese, specie nell’attuale periodo di crisi dell’economia americana. Diffuso è anche il timore che un’umiliazione amplificherebbe il nazionalismo cinese. Quanto sia già forte lo si è visto anche nei recenti disordini nella Chinatown milanese. In tal caso, da una vicenda sostanzialmente marginale come quella del Tibet e dei Giochi olimpici, potrebbero derivare ripercussioni di rilievo sulla geopolitica mondiale. Sotto le pressioni delle opinioni pubbliche, i governi occidentali non potrebbero non reagire. Ad esempio non parteciperebbero all’apertura dei Giochi, fatto che sarebbe considerato dai cinesi un insulto al loro onore nazionale. Non c’è che da augurarsi che la questione si calmi. Non lo potrà però fare l’Occidente. Nessuno vuole essere accusato di cedimento o di connivenza nella repressione dei tibetani. Ormai le Ong sono scatenate. Non vi è forza al mondo che possa fermarle. L’iniziativa deve partire da Pechino. Deve rendersi conto che sarà il suo comportamento in Tibet a determinare il successo dei Giochi. Ormai essi non potranno più essere apolitici. CARLO JEAN