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 2008  aprile 07 Lunedì calendario

Nei mari dei pirati. La Repubblica 7 aprile 2008 quando qualche anno fa la Walt Disney lanciò il film "Pirati dei Caraibi", con Johnny Deep nella parte del capitano Jack Sparrow, la casa di produzione americana non sapeva di avere scoperto una miniera d´oro, che tra film, videogiochi e parchi a tema continua a farle guadagnare centinaia di milioni di dollari all´anno

Nei mari dei pirati. La Repubblica 7 aprile 2008 quando qualche anno fa la Walt Disney lanciò il film "Pirati dei Caraibi", con Johnny Deep nella parte del capitano Jack Sparrow, la casa di produzione americana non sapeva di avere scoperto una miniera d´oro, che tra film, videogiochi e parchi a tema continua a farle guadagnare centinaia di milioni di dollari all´anno. La ragione del successo, come per tante fantasie hollywodiane, sembra una fuga dalla realtà: con sciabole, uncini, bende nere sugli occhi, gambe di legno, pappagalli, rhum e vele al vento, questo filone cinematografico, rivisitazione dei vecchi film sui bucanieri, pare ancorato in un passato romantico che nulla ha più da spartire con il presente. Poi un fatto di cronaca, come la cattura di un lussuoso veliero francese nei giorni scorsi al largo della Somalia, ricorda improvvisamente al mondo che la pirateria non si vede soltanto al cinema, non appartiene solo all´epoca di sir Francis Drake, di Henry Morgan e dell´Olonese, né alle pagine su John Silver o Sandokan per restare nel campo dell´immaginazione. In effetti, è tornata d´attualità, o forse non se n´è mai andata, attraversando oggi un autentico boom. Nel 2003, anno in cui uscì il primo film della serie "Pirati dei Caraibi", ci furono 445 attacchi di pirateria nel mondo, causa di sedici morti e cinquantadue feriti. Complessivamente, nell´ultimo decennio, gli episodi di pirateria sono triplicati, per stare alle cifre ufficiali, ma il numero reale è molto più alto: gli esperti ritengono che solo il 50 per cento degli attacchi venga riportato dagli armatori, i quali preferiscono perdere un carico o al limite una nave piuttosto che vedersi alzare i prezzi dai Lloyd´s di Londra e dalle altre compagnie di assicurazione del traffico marittimo. Il danno economico provocato dagli arrembaggi alla Drake è enorme: dieci miliardi di euro all´anno. Un tesoro galleggiante a cui danno la caccia in tanti, anche senza benda sull´occhio, uncino e gamba di legno. La costa della Somalia, nazione senza legge e in preda al banditismo, e lo Stretto di Malacca, tra Malesia e Singapore, ma anche le coste della Thailandia, i porti del Brasile, del Venezuela e dello Sri Lanka, l´imboccatura del canale di Suez e del canale di Panama, così come ogni tratto di mare in cui la navigazione è particolarmente intensa e le imbarcazioni devono rallentare, sono le zone più battute dalla moderna pirateria. Chi sono i bucanieri degli anni Duemila? Tra loro si trova un po´ di tutto. Ci sono mafie regionali, come quelle che spadroneggiano in Malesia o in Indonesia. Ci sono le milizie dei «signori della guerra» somali. C´è la malavita organizzata dei paesi della penisola indocinese o di quelli affacciati all´oceano in America Latina. E ci sono anche piccole bande di predoni che agiscono in modo indipendente. Gli uni e gli altri utilizzano avanzati mezzi tecnologici e micidiali armamenti per seguire la rotta delle navi e poi agire a colpo sicuro, individuando i carichi più ricchi e le imbarcazioni meno difese. Sicuramente molti attacchi avvengono su commissione, grazie alla complicità di qualcuno dall´interno di compagnie marittime, capitanerie di porto, organismi di controllo del traffico marittimo, se non addirittura da bordo delle navi medesime. Raramente, bisogna dire, i pirati odierni vanno all´arrembaggio allo scopo di uccidere. Gli obiettivi sono altri: sequestrare la nave, condurla in porto, cambiarle nome e quindi venderla o metterla al servizio di armatori senza scrupoli; rubare il bottino che porta a bordo; o semplicemente derubare l´equipaggio e, se ce ne sono, i passeggeri, di tutti i soldi e gli averi che hanno con sé, incluso il denaro che il comandante tiene in cassaforte per pagare le tasse e i dazi all´ingresso di porti e canali. Ciò non significa che i pirati siano degli agnellini. Sia che operino al servizio della criminalità organizzata, sia che appartengano a gang indipendenti, in effetti sono tagliagole della peggior specie, gente senza nazione né famiglia, pronta a tutto pur di portare a compimento la propria impresa. Di certo, nel comportamento dei pirati d´oggi, non c´è più nulla del mito della vecchia pirateria, dei codici d´onore, reali o talvolta appunto soltanto mitizzati, che si dava la «Fratellanza della Costa», il nome adottato nel 1640 dai bucanieri rifugiatisi nell´isola della Tortuga (il nome deriva da boucaner, che all´inizio indicava l´onesto mestiere delle centinaia di coloni, disertori e naufraghi, francesi, spagnoli, olandesi e inglesi, stabilitisi nell´isola di Hispaniola, nelle Antille, dove inventarono un sistema di salatura e conservazione delle carni per i marinai che richiedeva una capanna di affumicatura, chiamata in francese appunto boucan). Antica come la navigazione (i primi atti documentati risalgono al 13esimo secolo avanti Cristo nell´Egeo), la pirateria si è sviluppata e cresciuta di pari passo con i commerci navali. Ai tempi dell´Impero romano, perfino Giulio Cesare ne rimase vittima, assaltato e rapito dai pirati cilici nel Dodecaneso: ai pirati però andò peggio, perché, dopo essere stato liberato dietro pagamento di un riscatto, Cesare diede loro la caccia, li catturò e li fece crocefiggere uno per uno, come aveva loro testualmente promesso durante la prigionia, suscitando lo scherno dei suoi rapitori. Poi, molti secoli dopo, venne l´epopea dei corsari, ossia dei pirati che assaltavano e derubavano navi non di propria iniziativa e per proprio esclusivo beneficio, bensì per conto di uno stato o di un re che affidava loro una «lettera di corsa» (da cui il nome «corsaro»), con la missione di provocare il massimo danno possibile al traffico navale della potenza avversaria, come fece il celebre Drake e come capitò di fare anche a Garibaldi, nei suoi anni giovanili in Sud America, al servizio della repubblica del Rio Grande: e una sorta di versione marina del codice d´onore cavalleresco, tra alcuni dei corsari, effettivamente esisteva, come Salgari ci ha tramandato nelle avventure del suo "Corsaro nero" e di altri eroi. Ma i veri bucanieri della Tortuga, quelli che ispirarono "L´isola del tesoro" di Stevenson, erano per lo più dei pendagli da forca, più simili ai pirati odierni che al Johnny Deep del film della Walt Disney, il quale, col suo ghigno malefico, suscita più sorrisi che paura. ENRICO FRANCESCHINI