varie, 8 aprile 2008
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Cascella Pietro
• Pescara 2 febbraio 1921, Fivizzano (Massa Carrara) 18 maggio 2008. Scultore. Dopo gli studi all’Accademia di Roma, nel 1956 partecipò alla Biennale e nel 1957 progettò il ”Monumento di Auschwitz” con il fratello Andrea. Nel 1971 partecipò al XXIII Salon de la Jeune Sculpture di Parigi, poi tenne una mostra al Palais de Beaux Arts di Bruxelles e una personale alla Rotonda della Besana di Milano, dove, nel 1974, realizzò un monumento a Mazzini. Dal 1984 lavorò al progetto ”Campo del Sole” con Mauro Berrettini e la moglie, Cordelia von den Steinen. Nel 1987 ha realizzato ”La nave” a Pescara, quindi il mausoleo di Arcore. Nel 2007 premiato dal ministro Rutelli con la medaglia d’oro ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte. «[...] ”Questo è il riconoscimento ad un’opera che si protrae da sessant’anni. Sono figlio d’arte e i miei figli proseguono sulla mia stessa strada”. La scultura, ha detto Cascella commosso, ”ti dà una forza liberatoria e un grande conforto contro la malinconia di tutti i giorni” [...]» (’Corriere della Sera” 17/7/2007) • «Sino alla fine del Settecento, il desiderio di un artista era sempre quello di trovare un mecenate che pagasse, in monete, baratto o donativi, le sue opere. Allo scultore Pietro Cascella [...] possiamo dire che, da questo punto di vista, è andata bene, perché ha incontrato i favori del più ricco del suo Paese e del suo tempo, Silvio Berlusconi. [...] L’incontro tra Berlusconi e Cascella risale alla costruzione di Milano 2: ”Berlusconi lo ha aiutato in tutti i modi acquistando opere – ricordava [...] Emilio Fede ”: ne ha in casa e nel parco, sia ad Arcore che in Sardegna”. Insomma: per il direttore del Tg4 un rapporto alla Bernini-Scipione Borghese. Cascella, che aveva scolpito a Massa Carrara nel 1982 un’opera per ricordare la Liberazione intitolata Bella ciao, venne scelto dal Cavaliere per realizzare, all’interno del parco di Arcore, il mausoleo di famiglia. ”Non farmi una cosa con i teschi”, gli disse; e Cascella preparò i bozzetti nel 1989 (anno di morte del padre del premier, Luigi) e lo realizzò nel 1993. ”Dalla villa non lo si vede – racconta Fede – perché è a un livello inferiore. Una volta lo visitai con Silvio, che disse: ”Qui fa freddo, bisogna riscaldarlo’”. L’opera è realizzata in marmo bianco delle Alpi Apuane: all’esterno emergono sfere, dischi e piramidi tronche che si ergono fino a sette metri e mezzo d’altezza a simboleggiare la volta celeste nel tipico stile di Cascella; sotto, a una profondità di quattro metri e mezzo, si apre una cripta in travertino con i loculi. Tutti sono ancora vuoti (i genitori del premier sono sepolti al Monumentale), nonostante le intenzioni di ospitarvi le salme di familiari e amici (la stampa ha fatto diversi nomi: Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Gianni Letta, Emilio Fede...). La ”corsa al posto” porta bene, ma appare inutile: ci sono problemi di legge per le sepolture presso le dimore private. A Cascella – mausoleo a parte – si deve la conoscenza tra il premier e Sandro Bondi [...] ”Grazie alla sua intercessione incontrai Berlusconi. stato una guida paterna e un punto di riferimento di grande umanità”. [...]» (Pierluigi Panza, ”Corriere della Sera” 19/5/2008) • «[...] non era, come suole dirsi, ”figlio”, ma ”nipote d’arte”, facendo parte, assieme al fratello Andrea, della terza generazione dei Cascella. Il capostipite? Il nonno Basilio: pittore, ceramista e incisore. Che aveva insegnato il ”mestiere” ai due figli Michele e Tommaso (grande amico del corregionale Gabriele D’Annunzio), padre di Pietro e di Andrea. Tommaso si portava dietro i figli fra abbazie e cattedrali, insegnando loro a leggere le opere d’arte quasi fossero fatte dalla natura e a scandagliare la natura come un’opera d’arte. La vita di Pietro va di pari passo con quella del fratello Andrea. Col tempo, all’odore acre della trementina e ai colori preferiscono la scultura. Cominciano in una fornace alla periferia di Roma, e sempre a Roma fanno insieme la prima mostra alla galleria dell’Obelisco. I monti abruzzesi, le fornaci forgiano il loro carattere e anche i loro volti che sembrano scolpiti con l’accetta. Una scultura rude, la loro, che li faceva apparire quasi ”primitivi” perché era il mistero che i due fratelli hanno sempre cercato di cogliere. Pietro e Andrea non plasmavano; aggredivano, piuttosto, la materia. Scultura come impegno civile. Nel 1956 i due fratelli iniziano un progetto per un monumento dedicato alle vittime di Auschwitz. L’idea? Blocchi di cemento, posati sui binari dove finiva l’estremo viaggio dei deportati. Un monumento firmato anche dall’architetto Julio Lafuente. L’Arco della pace, costruito a Tel Aviv nel ”71, al centro di una spianata davanti al mare, diventa un messaggio di libertà. Cascella ama il monte Altissimo, dove Michelangelo andava a cercarsi il marmo. E a Michelangelo i due fratelli guardano anche per la torsione dei corpi, delle forme e per il senso della monumentalità. Ma ci sono anche Rodin e Brancusi ad attrarli. Pietro ricordava la ”via del marmo” che da Querceto porta a Seravezza, fino ai pontili del Forte, ”ma la fatica dell’uomo nelle cave è sempre forte e grave” [...]» (Raffaele De Grada, ”Corriere della Sera” 19/5/2008) • «[…] celebre in Italia soprattutto per i molti incarichi monumentali ricevuti durante la lunga carriera: dai primi, per Roma e Matera, a numerosi altri per Milano, per Camaiore, e per Pescia, Parma, Chiavari, Pisa, Massa Carrara, passando per il più famoso, il monumento di Auschwitz dedicato, nel campo di concentramento nazista, ”al martirio del popolo polacco e degli altri popoli” - iniziato negli anni Cinquanta e portato a compimento solo nel 1967 - sino alla recente cappella gentilizia per la famiglia Berlusconi, ad Arcore. Nell’impegno monumentale aveva forse dato il meglio di sé stesso, coniugando quelle che erano sempre state le due anime, sino ad un certo punto quasi in conflitto l’una con l’altra: una propensa maggiormente ad una poliedrica fantasia che fu sovente ascritta a suggestioni surrealiste, e l’altra votata alla rigorosa costruzione di forme geometriche semplici. Seguendo, in quest’ultima via, che si rivelò infine prevalente, la lezione della plastica d’avanguardia di derivazione costruttivista così come essa s’era sviluppata nella sua seconda stagione parigina, negli anni Trenta. Ma riattivando talora memorie che lo riconducevano sino alla purezza di Brancusi. D’altronde, alla nozione d’arte come fatto eminentemente culturale, legato allo sviluppo lento e paziente d’una particolare inflessione linguistica, era stato educato fin dalla prima adolescenza, e dalla formazione esperita nell’alveo protetto e complice di una famiglia d’artisti da dir davvero straordinaria: a partire dal nonno Basilio Cascella, e dai di lui figli Tommaso e Michele, quest’ultimo celebratissimo paesaggista, per giungere appunto a Pietro e al di lui fratello maggiore, anch’egli scultore, Andrea. Pietro, nato a Pescara nel 1921, aveva sulle prime seguito la pratica ceramica del padre, dedicandosi parallelamente alla pittura. Proprio come pittore aveva esordito, e aveva fatto le sue prime uscite ufficiali: alla quarta edizione della Quadriennale romana (1943) e ancora alla prima Biennale veneziana del dopoguerra, del 1948. Quindi s’era più esclusivamente volto alla ceramica, inviando nuovamente a Venezia nel ”50 e nel ”56 ancora oscillando sul confine fra coinvolta figurazione e un´accesa surrealtà. Dall’anno seguente, con l’abbandono progressivo del colore clamante delle ceramiche, divenute ora per lo più monocrome, Cascella s’approssima al suo modo definitivamente maturo, che non tarda a mostrare in importanti sedi espositive non solo italiane (alla mostra personale presso la Galleria del Milione di Milano segue, ad esempio, quella alla Galerie du Dragon di Parigi), e infine, in larga sequenza, alla XXXIII Biennale veneziana del ”66, che gli assegna una sala personale. Un modo, poi spesso definito ”totemico”, in cui la forma s’asciuga di racconto, si essenzializza, tende a ripiegarsi e a chiudersi su sé stessa, come volesse ”rimandarci alla nostra preistoria, al limite quasi di mitologie inconsce o, comunque, primordiali”, secondo quanto scrisse allora Guido Ballo delle sculture presentate a quella Biennale. Forme, ne discesero, ”d’una chiarezza solare, che ricorda l’infanzia negli Abruzzi, tra le cose e la gente semplice: pietra, terra, acqua, farina, la madia, la pietra del forno, e sempre la ruota del mulino primitivo”. La pietra, infine, piuttosto che il bronzo, finì per essere il suo materiale d’elezione. ”L’ossatura della terra”, la definirà, e in essa - talvolta portata ad un grado di finitezza che ne apparenta le superfici a quelle del marmo più eletto, talvolta lasciata scabra e come tetragona ad ogni gentilezza - Cascella lascerà, per i lunghi anni del suo mai stanco operare, i suoi lavori maggiormente memorabili: ove tutto - ivi compresa l’abilità della mano che plasma, e l’urgenza espressionista e visionaria che l’avevano sedotto in gioventù - si placa, concentrato nel grande silenzio che avvolge le forme statiche, immote, distanti, e come avvolte da una solennità davvero primordiale» (Fabrizio D’Amico, ”la Repubblica” 19/5/2008).