Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  aprile 02 Mercoledì calendario

Apriamo gli occhi anche in Italia. La Stampa 2 aprile 2008. Gli immigrati costano e non sono poi così convenienti, dicono in Gran Bretagna, ma anche in Italia il problema non è da sottovalutare, spiega Laura Zanfrini, sociologa, docente alla Cattolica di Milano e responsabile del settore lavoro dell’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità), fondazione che si occupa di immigrazione

Apriamo gli occhi anche in Italia. La Stampa 2 aprile 2008. Gli immigrati costano e non sono poi così convenienti, dicono in Gran Bretagna, ma anche in Italia il problema non è da sottovalutare, spiega Laura Zanfrini, sociologa, docente alla Cattolica di Milano e responsabile del settore lavoro dell’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità), fondazione che si occupa di immigrazione. «Per dare un senso compiuto al report britannico bisognerebbe capire di quali immigrati si sta parlando. In Spagna è in pieno svolgimento una discussione simile, ma il vero obiettivo polemico sono gli inglesi e i tedeschi, anziani, che vanno a svernare nel sud e che usufruiscono di assistenza sanitaria. Le variabili in gioco quando si parla di questo tema sono molte». E in Italia? «Anche in Italia bisogna rendersi conto che gli immigrati non rappresentano solo dei vantaggi, fanno uso di servizi, spesso sono in nero e dunque non contribuiscono quanto dovrebbero a pagare le strutture e l’assistenza di cui usufruiscono». Loro vengono a fare lavori che noi non facciamo più. «Attenzione, non è così. In molti settori gli immigrati vengono preferiti perché sono ritenuti più produttivi degli italiani». In quali settori? «Per esempio nelle imprese di pulizia o nei lavori di facchinaggio. Gli italiani disponibili sono spesso giovani a bassa scolarità, con qualche problema di disagio sociale alle spalle e quindi vengono ritenuti meno produttivi di un immigrato». E non vengono assunti. «Si crea una discriminazione dettata spesso dalla presenza di lavoratori in nero, persone che lavorano in modo regolare e in modo altrettanto regolare non versano nella casse dello Stato una quota o tutti i contributi che dovrebbero. Però acquisiscono lo stesso il diritto a una pensione. Saranno quindi pensionati con un reddito minimo, un potenziale problema sociale. Ma situazioni di conflitto se ne creano molte, anche quando c’è da assegnare le case popolari o i posti negli asili nido. La colpa non è degli immigrati, ovvio, ma delle carenze del nostro sistema assistenziale». Ma, insomma, gli immigrati creano solo problemi oppure generano anche vantaggi? «Se in Italia c’è una ripresa del tasso di natalità lo si deve a loro, ma bisogna sapere che i benefici sono a breve termine in un contesto come quello italiano. Sono persone che invecchieranno e quindi, ad esempio, sarebbe più utile permettere loro di ricevere all’estero la pensione maturata in Italia, rendendo più conveniente il ritorno in patria per chi lo desidera». Che cosa dovremmo fare per far sì che i vantaggi superino i costi? «Ci siamo concentrati troppo su chi e quanti dovevano entrare e troppo poco sui processi di inserimento. E’ su questo che dobbiamo spostare l’attenzione se si vuole che l’immigrato risulti vantaggioso e non concorrenziale nei confronti di un italiano. Non è un problema di politica migratoria, ma di governo del mercato del lavoro». Vale a dire? «L’immigrato vantaggioso è solo quello discriminato, sfruttato. Paradossalmente l’unico modo di tutelare i lavoratori italiani sarebbe garantire piena uguaglianza per tutti». Flavia Amabile