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 2008  aprile 03 Giovedì calendario

 boom per prevedere le malattie. Avvenire 3 aprile 2008. «Sfera di cristallo, resterò sano o mi ammalerò?»

 boom per prevedere le malattie. Avvenire 3 aprile 2008. «Sfera di cristallo, resterò sano o mi ammalerò?». Sembra la domanda ri­volta a un mago e invece rischia di essere l’atteggiamento di fronte ai test genetici, di cui anche in Italia comincia la diffusione, già forte ne­gli Stati Uniti e nei Paesi anglosas­soni. Luci e ombre accompagnano infatti la commercializzazione di ta­li esami, offerti da società che sem­brano preoccupate soprattutto di dare risposte rapide, ma non a buon mercato, a cittadini in cerca di ras­sicurazioni. Senza dimenticare che in numerosi casi possono costitui­re un’utile forma di prevenzione. Ce n’è per tutti i gusti: dall’osteopo­rosi alle rughe, ogni disturbo o sin­tomo di invecchiamento viene ri­condotto a una questione genetica. Chi potrebbe dubitarlo d’altronde, ma l’errore sta nel metodo: questo tipo di analisi dal punto di vista me­dico da solo non basta a fare una diagnosi completa ed esaustiva. notizia di pochi giorni fa che a Mi­lano ha aperto un laboratorio in gra­do di approntare un ’bancomat ge­netico’. che permettere di trascri­vere l’Rna (cioè le molecole che tra­ducono l’informazione genetica) di un paziente su una mini card di si­licio. Tale tecnica consente un’analisi personalizzata – è la promessa – del pe­ricolo di incorrere in patologie cardiova­scolari e ictus, obe­sità, diabete, malat­tie neurodegenera­tive... I medici esprimono il timore che in fu­turo si presentino in ospedale persone in possesso del profilo ’commerciale’ del proprio genoma e che, brandendolo, rivendichino il diritto a essere curati da malattie non conclamate o magari sempli­cemente immaginarie. A ciò con­tribuisce il boom dei test offerti via Internet con il semplice invio da parte del paziente di un campione di saliva, recapitato a fantomatici laboratori, i quali poi forniscono il profilo di rischio. Una prova effet­tuata da un’agenzia governativa sta­tunitense ha dimostrato l’inaffida­bilità di tali prove: sono stati infatti spediti campioni di Dna della stes­sa persona presentandoli come ap­partenenti a soggetti molto diversi (donne, neonati...) e la risposta è stata diversa e dettagliata per cia­scun ’presunto paziente’. Kenneth Offit, noto ricercatore del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, ha svolto re­centemente una ricerca in cui sot­tolinea come sia «difficile compa- rare la qualità dei test genetici of­ferti dai laboratori. Perché i marca­tori genetici di alcune determinate malattie sono specifici e possono variare da un esame all’altro. Le so­cietà private che li mettono in com­mercio, poi, insistono nel dire che non si tratta di test di carattere me­dico, perché forniscono soltanto al­cune informazioni generali». La tentazione sarebbe allora di dire che i test genetici non servono a nul­la. Però non è così. Vi sono quelli, sia in ambito pre­dittivo sia diagno­stico, riconosciuti come efficaci dalla comunità medica. E realizzati con se­quenziatori molto precisi quanto co­stosi. Tanti progres­si degli ultimi anni si devono proprio all’avanzamento della conoscenza in questo ambito. Ba­sta dare un’occhiata al sito www.orpha.net, progetto di ricerca a livello internazionale in cui è coinvolta anche l’Italia, per ca­pire che la genetica è fondamenta­le per l’individuazione e la possibi­lità di cura di alcune delle più terri­bili malattie rare. Questa branca della medicina sta a­vendo un grande ruolo, da una de­cina di anni, nella diagnosi precoce, anche attraverso l’individuazione della familiarità di alcuni tumori (ovvero della loro ’ereditarietà’). La genetica si è inserita infatti a pieno titolo nel ramo preventivo dell’on­cologia: attraverso lo studio del ca­riotipo (la configurazione morfolo­gica del patrimonio genetico), ad e­sempio, è possibile rilevare l’altera­zione genetica che porta allo svi­luppo di tumori al seno, all’ovaio, al polmone, alla prostata. «Il test ge­netico oncologico – spiega Anto­nella Piga, medico legale e ricerca­trice presso l’Università di Milano ”, se condotto mettendo le oppor­tune cautele, può portare all’indivi­duazione tempestiva di una pato­logia che può essere così curata nel modo migliore, senza ricorrere a o­perazioni chirurgiche invasive». Le ’cautele’ hanno un nome, fon­damentale in questo ambito: con­sulenza genetica. «Si tratta di un ve­ro atto medico – spiega Barbara Pa­sini, genetista dell’Università di To­rino – necessario per ricostruire, ad esempio, il quadro di familiarità di una certa malattia». Eppure, come la­menta il professore Bruno Dallapiccola, direttore dell’Istitu­to Mendel, «in Italia se ne fa ancora trop­po poca, tra il 15 e il 20 percento di tutti i test genetici com­piuti ». Che cosa vuol dire fare consulenza ge­netica? Prima di sot­toporre il paziente al prelievo di san­gue, il medico deve spiegare che cosa andrà a studiare con il campione di Dna estratto. Ha poi il compito di rassicurarlo in me­rito alle questioni di privacy e spie­gargli che verrà letta soltanto una minima sezione del grande libro di informazioni costituito dal genoma. Inoltre, sarà il medico in persona a comunicargli i risultati del test, in modo da non indurlo a paure im­motivate, che potrebbero portarlo a vedere la malattia là dove non c’è o non è detto che sia destinata a com­parire. «Perché – come precisa Pa­sini – il vero test genetico lo richie­de uno specialista e non viene fatto a caso». E i risultati, in termini di probabilità di sviluppare la malattia (o le malattie) in questione vanno interpretati. Sono pochi, infatti, i di­sturbi per i quali vi è una causa ge­netica monofattoriale (che con­danna con certezza a sviluppare la patologia), la maggior parte è mul­­tifattoriale, la cui comparsa, cioè, è soggetta a vari elementi, malgrado la predisposizione genetica. Marcello Tamburini, psicologo al­l’Istituto dei tumori di Milano, scomparso recentemente, aveva de­finito «malati di rischio» coloro che scoprono di avere predisposizione a una particolare malattia: non an­cora, o forse mai, pazienti, ma nem­meno sani, o perlomeno non ’u­guali’ alla condizione antecedente la scoperta dell’alterazione: «Lo svi­luppo negli ultimi decenni della gene­tica molecolare – ha scritto in un suo manuale – e la map­patura dell’intero genoma umano hanno comportato una ridefinizione del concetto di ri­schio, hanno con­sentito una sua mi­gliore formulazione e, nello stesso tem­po, hanno aumen­tato la possibilità di fraintendimento nel senso di un automatismo indi­scutibile » tra geni e patologia. Cambiano, dunque, le idee di ma­­lattia e salute, ma muta anche il ruo­lo del medico che si viene a trovare sul crinale tra la medicina preditti­va e quella terapeutica: «Si potreb­be dire – spiega Dallapiccola – che saremo più genetisti e meno medi­ci ». Vanno dunque formate ade­guatamente le nuove generazioni di camici bianchi e, in particolare, nel­le scuole di specializzazione va sot­tolineata l’importanza dei moduli di etica medica e di consulenza ge­netica e psicologia. Solo così si può arginare quella pressione commer­ciale che, come sottolinea Romano Tenconi, docente di genetica medi­ca a Padova, «non punta a elabora­re pacchetti mirati per poche per­sone, ma a rendere popolare e dif­fuso il test genetico fai da te». Pro­prio quello che si presta ad abusi. Si moltiplicano le offerte commerciali di profili personali basati sul Dna che dovrebbero dare indicazioni sui rischi di sviluppare alcune patologie A quanto oggi noto, sono poche le sindromi strettamente determinate da singole porzioni del cromosoma Il rischio è poi quello di risultati non accurati FRANCESCA LOZITO