Corriere della Sera 3 aprile 2008, Gianni Morandi, 3 aprile 2008
C’era un ragazzo che come me amava cantare e... Corriere della Sera 3 aprile 2008. «Due dischi in uno: il primo e l’ultimo », mi disse mio padre quando incisi Andavo a cento allora
C’era un ragazzo che come me amava cantare e... Corriere della Sera 3 aprile 2008. «Due dischi in uno: il primo e l’ultimo », mi disse mio padre quando incisi Andavo a cento allora. Era il 1962 e lui era piuttosto scettico sul mio futuro nella musica. Ma anch’io, se il «dopo» me l’avessero raccontato in quel momento, se mi avessero detto che quasi mezzo secolo più tardi sarei stato ancora qui a cantare e a ricevere l’affetto del pubblico, non ci avrei creduto. Che volevo fare il cantante lo decisi a 13 anni, quando a Monghidoro vidi Modugno intonare Volare nel bianco e nero di un televisore. A quei tempi già lavoravo con papà che faceva il ciabattino, la scuola avevo dovuto lasciarla dopo le elementari: lui mi faceva leggere a voce alta mentre aggiustavamo le scarpe. Non ho mai avuto troppo tempo per giocare. A quell’epoca i ragazzini non erano impegnati come oggi e i miei amici che frequentavano le medie a Bologna o a Loiano, di pomeriggio erano sempre a divertirsi. Anche qualche anno dopo, quando cominciai ad andare in giro a suonare e portavo a casa le mie 500 lire, vivevo comunque quelle serate come un lavoro. E sarà anche perché non ho avuto molti momenti da trascorrere con i coetanei che sono stato tanto felice di fare il militare. Era il 1967 e, nonostante sapessi che scomparire dalle scene poteva essere pericoloso, fu un’esperienza straordinaria: la prima occasione per entrare in sintonia con altri ragazzi. Certo dovetti superare l’iniziale diffidenza dei miei compagni. Nelle prime due settimane mi consideravano più che un amico un pezzo di televisione. Negli anni Sessanta, in effetti, ero diventato piuttosto famoso. Fu il periodo di Andavo a cento all’ora e Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte, brani che cantai da ragazzino e che ricordo ancora con grande divertimento. Ma poi fu anche la fase dell’impegno con C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones edei grandi successi di vendita come In ginocchio da te. Un’epoca di divismo esasperato, in cui certo non era facile passare inosservati. Con una sola televisione e un unico canale radiofonico, senza internet né telefonino, imbattersi nei personaggi famosi era raro e, se ti scovavano, ti ritrovavi addosso cinquecento, mille persone. Una volta andai al cinema in via del Corso a Roma. Davano uno dei primi film di Sergio Leone, ma dovettero sospendere la proiezione per l’entusiasmo scatenato dalla mia presenza. Tutto il contrario di quello che mi sarebbe accaduto, complici i Led Zeppelin, qualche anno più tardi. Nel 1971 l’organizzatore del «Cantagiro», Ezio Radaelli, introdusse nella manifestazione gli ospiti stranieri e la sera del 5 luglio, al Vigorelli di Milano, arrivarono Robert Plant e compagni. Avrebbero dovuto esibirsi prima i cantanti italiani ma il pubblico, accorso solo per la band britannica, reagì al mio ingresso in scena con un boato che nemmeno dopo un gol del Milan o dell’Inter a San Siro. E non era di gioia: mentre tentavo di attaccare con C’era un ragazzo, alle urla si aggiunsero pomodori e bottiglie. Radaelli tentava di nascondersi mentre io ricevevo il primo segnale che il vento stava cambiando. Era scoccata l’ora dei cantautori e dei gruppi stranieri, mentre io rappresentavo il passato, le copertine da sogno di «Oggi» e di «Gente», la mogliettina, il soldatino. Tutto ciò di cui i giovani non volevano più sentir parlare. Nello stesso periodo morì mio padre, mi separai da mia moglie e in un attimo di sbandamento arrivai persino a pensare di fare il giocatore di poker per vivere. Fu la musica a salvarmi. Nel 1976 entrai al conservatorio di Santa Cecilia a Roma, scegliendo il contrabbasso per ottenere l’unico posto disponibile. Studiare, all’inizio, fu fondamentale per riempirmi le giornate, poi divennero anni bellissimi. Il rilancio partì negli anni Ottanta grazie all’incontro con Mogol e alla nascita della Nazionale Italiana Cantanti. Arrivarono anche brani nuovi come Canzoni stonate. Qualche anno dopo ritrovai Migliacci con Uno su mille, il brano che più di ogni altro è legato al periodo buio su cui ancora adesso non riesco a scherzare. Se fossi costretto a scegliere un solo titolo della mia carriera, sceglierei proprio Uno su mille. Per il pubblico è diventata una canzone simbolo, perché trasmette la forza di volontà per superare i momenti difficili. La stessa che ti può servire per vincere una corsa. Anche per questo, forse, amo tanto la maratona. La passione esplose una decina di anni fa dopo l’incontro con mia moglie Anna e la nascita di mio figlio Pietro, quando allenarmi divenne anche un modo di rimanere in forma per lui. In molti dicono che mentre corro la mia faccia da bravo ragazzo si trasforma e che divento di una competitività inimmaginabile. Non sarà, invece, che in realtà sono meno buono di quello che sembra? «L’Idiota» di Dostoevskij l’ho letto sette volte: un romanzo meraviglioso che mi consigliò Giorgio Albertazzi. Ma forse l’ingenuo principe Myskin non mi somiglia poi così tanto e la verità, alla fine, è che sono davvero «un bastardo». In fondo, ha ragione Fiorello. Gianni Morandi