Sergio Romano, Corriere della Sera 3 aprile 2008, 3 aprile 2008
lettere. 1915: MUSSOLINI AL FRONTE FRA GUERRA E POLITICA. Corriere della sera 3 aprile 2008. Stupisce da parte di uno storico come lei, l’ignoranza circa la vita militare di Mussolini
lettere. 1915: MUSSOLINI AL FRONTE FRA GUERRA E POLITICA. Corriere della sera 3 aprile 2008. Stupisce da parte di uno storico come lei, l’ignoranza circa la vita militare di Mussolini. Il suo servizio, infatti, non si limitò a quello di leva. ma si estese alla partecipazione al conflitto. Fu, infatti, richiamato il 31 agosto 1915 con la classe ’83 e destinato all’11˚ Bersaglieri. Dopo 15 giorni di addestramento a Brescia fu spedito, in prima linea, sul Monte Nero, il 15 settembre. Al fronte passò diciotto mesi, fu ferito e ricevette i gradi di caporale. A causa del livello dei suoi studi avrebbe potuto accedere al grado di aspirante ufficiale, ma dopo soli sei giorni di corso a Vernazzo fu rimandato alla sua unità perché giudicato «pericoloso sovversivo». Angelo Cannizzaro cannizz.studio@libero.it Caro Cannizzaro, La domanda concerneva soltanto il servizio di leva e a quella domanda ho cercato di rispondere il più brevemente possibile. Se mi fossero state chieste notizie sulla vita militare di Mussolini, avrei raccontato, anzitutto, che cercò di partire volontario, ma dovette arrendersi a una disposizione del ministero della Guerra che escludeva dal volontariato chiunque avesse obblighi di leva. Per qualche mese, quindi, fu bersaglio di insinuazioni polemiche e sfottenti nella stampa socialista e neutralista. Il suo vecchio giornale ( l’Avanti!) lo accusò di assomigliare a quel personaggio della tradizione popolare che aveva l’abitudine di dire «armiamoci e partite». Preoccupato, Mussolini scrisse nel luglio 1915 a Salvatore Barzilai, ministro senza portafoglio nel governo Salandra: «Dopo due mesi di guerra io aspetto ancora - e invano! - di essere richiamato. La mia opera giornalistica è finita: il giornale è affidato a mani esperte, a gente provata che anche in mia assenza non devierebbe di una linea dal programma fondamentale del giornale (...). Migliaia e migliaia di interventisti hanno fatto il loro dovere arruolandosi come volontari, ma tutti guardano a Mussolini e l’assenza di Mussolini dal fronte danneggia la riputazione morale degli interventisti. Sarò dunque costretto, pur di uscire da questa situazione, a disertare ed arruolarmi in Francia?». Il suo turno venne finalmente nell’agosto del 1915. Fu inviato in zona di guerra e, come scrive Renzo De Felice, «fu un buon soldato, come tanti altri». Non poteva tuttavia essere un soldato qualunque. I giornalisti lo intervistavano e lo fotografavano. Il Popolo d’Italia, anche se lasciato in mani fidate, esigeva le sue cure. I soldati pacifisti e neutralisti lo guardavano in cagnesco. Continuò a fare il giornalista, nel tempo libero, scrivendo un diario, pubblicato fra il dicembre del 1915 e il febbraio del 1917, e poté contare su qualche licenza per tornare in redazione. Il governo era interessato al ruolo patriottico assunto da Mussolini di fronte al Paese e cercò di evitare che corresse troppi rischi. A un amico che si preoccupava per la sua vita, Leonardo Bissolati, di lì a poco ministro nei governi Boselli e Orlando, rispose: «Di una energia come la sua noi abbiamo bisogno ora, e più avremo bisogno dopo la guerra per fronteggiare le insidiose manovre dei neutralisti. Ora egli è malandato - ma darsi malato non vuole. Bisognerebbe, se possibile, fargli una visita di autorità (...) ma la cosa lo irriterebbe. Si aggiunga: egli si trova in mala compagnia. tra ufficiali e soldati neutralisti che lo torturano a ogni momento. (...) Dunque la prima cosa: ritrarlo di là». La soluzione venne nel febbraio 1917 quando fu ferito dallo scoppio di un lanciabombe. Accadde nel corso di una esercitazione, non in combattimento, ma fu una ferita grave che lo tenne immobilizzato per molto tempo. Dopo la degenza in ospedale ebbe una lunga licenza di convalescenza e venne successivamente congedato. Aggiungo che nella lettera con cui Bissolati dice di volere allontanare Mussolini dal fronte, vi è un passaggio che farà sorridere i posteri: «(...) la prima condizione è che egli non si accorga della nostra amichevole congiura. Noi salviamo una spada, in lui, una spada per l’Italia da maneggiare contro i nemici interni». Tra parentesi: appena quattro anni prima, al congresso socialista di Reggio Emilia, il massimalista Mussolini era riuscito a cacciare dal partito il riformista Bissolati. Come vede, caro Cannizzaro, in politica non sono eterni né le gratitudini né i rancori. Sergio Romano