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 2008  aprile 03 Giovedì calendario

La Cina ha un nuovo fronte E’ rivolta nell’Ovest islamico. Corriere della Sera 3 aprile 2008. Una nuova miccia, dopo il Tibet

La Cina ha un nuovo fronte E’ rivolta nell’Ovest islamico. Corriere della Sera 3 aprile 2008. Una nuova miccia, dopo il Tibet. Le proteste esplodono nella Regione autonoma dello Xinjiang, lungo l’antica via della Seta. Ad aprire il secondo fronte di crisi in pochi giorni convergono le rivendicazioni politiche e le rivendicazioni religiose degli uiguri-musulmani, una delle 56 etnie cinesi, la maggioranza della popolazione nell’area dell’estremo Ovest. E Pechino, preoccupata per la piega degli eventi, fa scattare la macchina della repressione: gli oppositori islamici, al pari dei monaci buddisti di Lhasa, vengono accusati di separatismo, estremismo e terrorismo, «le tre forze del male». La notizia era rimasta segreta ma è stata diffusa prima da Radio Free Asia e infine confermata dal governo locale con un comunicato sul suo sito Internet. «Pochissimi membri delle tre forze del male hanno voluto provocare disordini alzando la bandiera della secessione... i nostri poliziotti hanno velocemente trattato il caso». Il luogo delle tensioni è un punto sperduto della cartina geografica non distante dai confini con l’Afghanistan, il Pakistan, il Tagikistan. Qui la modernizzazione non è mai arrivata. Dalla capitale occorrono cinque ore d’aereo e altre tre in auto per raggiungere le strade polverose della contea di Qaraqash e di Khotan, la città-oasi di cui si hanno tracce dal quinto secolo. Il cuore di quella che gli uiguri considerano la loro Patria – la chiamano il Turkestan Orientale – occupata dai cinesi. Il comunismo del dopo Mao è un «nemico colonialista », i giovani non pensano alla ricchezza ma a pellegrinare verso La Mecca. Le moschee sono affollate di fedeli. Ma il regime ha imposto nuove regole. E alle donne ha vietato l’uso del tradizionale velo. Un’offesa per i musulmani- uiguri. Questo ha contribuito a infiammare gli animi e a favorire le sette dell’integralismo. Il 23 marzo, nel Gran Bazar di Khotan, affollato secondo le fonti ufficiali di 100 mila persone, centinaia di manifestanti hanno sfidato pacificamente la sicurezza. Slogan: «No alla repressione », «Libertà religiosa», «Libertà per i detenuti politici». A provocare la rabbia della popolazione è stata la morte, avvenuta in carcere, di Mutallip Hajim, un commerciante di giada dell’etnia uigura. Decesso per «blocco cardiaco », ha detto la polizia. «Versione di comodo» per gli uiguri. scattata la rivolta: vi hanno partecipato anche moltissime donne che sono scese nelle strade coprendosi i capelli e il volto. Parecchi gli arresti. Ormai, crisi tibetana e crisi uigura s’incrociano pericolosamente. La Cina accusa l’opposizione sia buddista sia islamica di preparare attentati suicidi e il linguaggio al quale ricorre per giustificare la mano pesante è lo stesso: entrambe puntano a sabotare le Olimpiadi con atti terroristici. Pechino fatica a realizzare che con l’approssimarsi dei Giochi e con la torcia che ha cominciato il suo viaggio nei continenti si sta riproponendo in modo pressante la questione dei diritti umani. Amnesty International punta l’indice: la situazione, anziché migliorare come promesso, si è aggravata. E invita «i leader mondiali a parlare in pubblico se non vogliono essere coinvolti in una congiura del silenzio». La Cina, anche ingannata dall’ipocrisia di chi sette anni fa al momento della assegnazione aveva finto di credere agli impegni della nomenklatura, ha sottovalutato che la campagna potesse ripartire con simile intensità. E, oggi paralizzata dalla paura per la sua stabilità, alla vigilia di un summit che porterà a Pechino i vertici dello sport internazionale, non riesce che a replicare stizzita: contro noi c’è solo pregiudizio. Vecchi stereotipi. Così, la vetrina olimpica rischia d’infrangersi. Fabio Cavalera