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 2008  aprile 01 Martedì calendario

«Gli è rimasto un amico solo Non accetterà mai la sconfitta». Corriere della Sera 1 aprile 2008

«Gli è rimasto un amico solo Non accetterà mai la sconfitta». Corriere della Sera 1 aprile 2008. Una volta era considerato un eroe, rispettato e venerato. Ora viene bollato come un tiranno fuori dalla storia e dalla realtà. La parabola di Robert Gabriel Mugabe viene descritta con una lucidità scientifica da Heidi Holland nel libro «Dinner with Mugabe» (Cena con Mugabe). Nata in Sudafrica, ma cresciuta in Zimbabwe, la giornalista ha incontrato il leader, che da anni non concede interviste, la prima volta nel 1975 (dopo pochi giorni sarebbe passato in clandestinità) e poi lo scorso dicembre. «Ha avuto una trasformazione diabolica – racconta al Corriere – probabilmente perché dentro di lui lottano due personalità: quella inglese e quella africana. Normalmente veste elegante in giacca e cravatta, lui e tutti quelli che gli sono vicini. Parla forbito e con un linguaggio appropriato. Poi nel bagno di folla si mette i panni africani e si sente uno di loro. Va sul palco per un comizio e insulta i suoi nemici usando parole al limite del triviale». Dottor Jekyll e Mister Hyde. «Durante l’ultima intervista parlavamo della regina Elisabetta e si è quasi messo a piangere. Sembrava un suddito devoto. Poi ricordando le sue liti con Tony Blair ha tirato fuori tutto il suo odio e disprezzo. Come chi sente il peso della colonizzazione. Ho avuto l’impressione che si sentisse come tradito da qualcuno che considerava di famiglia». Quali differenze tra la prima cena e l’ultimo incontro? «Rispetto al 1975 non mi sembra cambiato nei modi. Parla sempre molto lentamente, pesando la parole, senza la minima espressione del viso, non un sorriso, non una smorfia. Forse per questo dimostra meno anni dei reali 84. Non gli sono venute le rughe. Ma l’ho trovato non integrato con se stesso e con il presente; pieno di astio e risentimenti. E poi non mi è sembrato sincero, mentre una volta lo era. Insomma non credo che sia un uomo sereno».  cresciuto in missione tra i gesuiti. Si considera ancora un buon cattolico? «Probabilmente sì. In dicembre ha parlato della nonna. Era animista e per questo l’ha bollata con un termine dispregiativo. Sua mamma era invece religiosissima e spesso da piccolo gli diceva che Dio per lui aveva riservato un grande futuro. Ci ha creduto e ci crede. Così si sente investito da una missione superiore. Parla sempre di sofferenza, di sacrificio. disposto a immolare il suo Paese per un bene superiore. La dottrina cattolica l’ha modellato profondamente ». Ma in chiesa non va più. «Non per pregare. Ma usa le chiese per la sua campagna politica. Va sul pulpito, fa discorsi entusiasmanti, addita i suoi nemici e manipola le coscienze ». C’è qualcuno che ha un po’ di influenza su di lui? «Certo, il suo mentore, il capo dei gesuiti a Harare Fidelis Mukonori. Ai tempi della lotta di liberazione era un giovane prete e poiché Jan Smith (il capo del governo segregazionista, ndr) rispettava la religione, poteva muoversi liberamente e quindi era di fatto una spia dei ribelli. Ora, probabilmente, è l’unico amico che gli è rimasto. Mugabe è un uomo solo, isolato». Se dovesse perdere le elezioni si ritirerebbe in buon ordine? «No, non credo proprio. Non accetterà mai una sconfitta, non ne è capace. Si crede dio o per lo meno di avere molte somiglianze con dio. Si sente sicuro di andare in paradiso e quindi può fare di tutto anche – come ha fatto – spianare con le ruspe una baraccopoli di 700 mila persone, solo perché è fastidiosa da vedere, specie per un sofisticato lord inglese». M.A.A.