La Repubblica 1 aprile 2008, GIORGIO RUFFOLO, 1 aprile 2008
ECONOMIA, LE PAURE E LE SPERANZE DI TREMONTI
La Repubblica 1 aprile 2008.
Le cose dell´economia mondiale volgono al peggio. E cade a proposito il libro di Giulio Tremonti, La paura e la speranza. Difficilmente si trova una requisitoria così implacabile. Si tratta, senza mezzi termini, dei danni e dei disastri del mercatismo. Non è la prima volta che Tremonti affronta il tema.
La diagnosi è impietosa. Il volgere al peggio delle condizioni economiche attuali, considerate con cupo pessimismo, è ricondotto a quelle correnti che hanno investito nel tempo recente l´economia mondiale: la globalizzazione e la finanziarizzazione, che l´autore giustamente ritiene inevitabilmente intrecciate. Si dovrebbero definire la mercatizzazione dello spazio e la mercatizzazione del tempo.
Quest´ultima sancisce la fuga dal rischio e la corsa al profitto immediato, la moltiplicazione dei debiti dovuta alla leva finanziaria, il rigonfiamento delle bolle finanziarie equivalenti all´emissione di assegni a vuoto, la passività delle banche centrali ridotte a gettar sempre più stoppa sul fuoco; i crescenti interventi di fondi pubblici (i cosiddetti fondi sovrani) a compensare i buchi lasciati dalle banche in bilanci manipolati. I salvataggi pubblici di dissesti privati. Eccetera.
Il fallimento della gestione finanziaria e speculativa della globalizzazione è oggi sotto gli occhi di tutti. La crisi partita dal settore immobiliare americano sta investendo le grandi banche e minacciando una recessione economica di portata mondiale. Queste le conseguenze di un sistema che convoglia il risparmio non verso gli investimenti produttivi ma verso il finanziamento ad alti costi dei consumi americani dai quali dipende una domanda mondiale soddisfatta sempre più dall´offerta asiatica a costi bassissimi, che deprime i salari dei lavoratori occidentali.
Il lettore non smaliziato legge e rilegge il nome dell´Autore. proprio lui? Siamo a una risvolta a sinistra?
Però si rassicura presto. Con un guizzo di destrezza l´antimercatista Tremonti spiega che il 1989, il crollo del muro ha segnato la crisi sia del comunismo che del liberalismo. Ma il mercatismo, nato da quella doppia crisi segnerebbe l´incontro di due filosofie esistenziali, il comunismo e il consumismo, in un nuovo materialismo storico del mercato unico, del pensiero unico, dell´"uomo a taglia unica". Certo, non farebbe piacere a Reagan e alla Thatcher sapere di essere stati, con la liberazione dei movimenti di capitale, gli ignari artefici di un paradosso storico che avrebbe restituito al vecchio nemico una vittoria postuma. Con la globalizzazione, – cito – «il comunismo è riuscito a trasferire e trapiantare proprio nel campo opposto, nel dominio dl mercato, il proprio Dna, con l´idea che la vita degli uomini possa essere mossa da una legge di sviluppo globale».
Questa legge di sviluppo non promette niente di buono al mondo. La riduzione di ogni dimensione umana al mercato può tradursi, quando gli automatismi si scatenano, non soltanto in una crisi economica, come pare stia avvenendo, ma in una crisi sociale e morale: poiché il mercato non è tutto e trae la sua vitalità da radici antropologiche molto più profonde.
Qui Tremonti innesca la sua speranza-risposta. La risposta al clamoroso fallimento del mercatismo dovrebbe essere data sul piano dei valori. Una società liquida, dove tutto si svolge in termini di prezzi che salgono e scendono, deve ancorarsi alle palafitte dei valori, provvisti di durata.
Ma quali sono questi valori fondanti? Quelli della religione, risponde Tremonti, che in Europa si identificano con la tradizione identitaria giudaico-cristiana.
Volendo scherzare in modo irriverente, come lui sa fare, si dovrebbe dire che a questo punto Tremonti butta la palla in tribuna. difficile seguirlo, almeno per me. Intanto, mi sembra arbitrario quel trattino dell´endiadi giudaico-cristiana, come quell´altro famoso del marx-leninismo. Altro è il giudaismo, altro il cristianesimo. Dovendo poi scoprire qualità identitarie, non vedo come si possa restringere il campo a quelle della tradizione cristiana, lasciando da parte, per dire, quelle della Grecia classica e dell´illuminismo moderno. Ma infine: la risposta deve essere cercata sul piano dell´identità culturale, o piuttosto del progetto politico? Guardando al passato con addosso le briglie della tradizione, magari omologate da qualche autorità ecclesiastica, o piuttosto scrutando il futuro con l´ausilio della scienza e del libero arbitrio progettuale della politica?
In tal caso, quali sono le forze che si trovano oggi in posizione più vantaggiosa: quelle della destra o quelle della sinistra? Qui Tremonti ha ragioni da far valere nella sua risposta favorevole alla destra, ma sono, mi, pare, le ragioni opposte a quelle che animano la sua requisitoria contro il mercatismo. La sua risposta mi sembra analoga a quella fornita da un altro recentissimo bel libro di Raffaele Simone, Il mostro mite, che qui non posso che limitarmi a citare. La sinistra, dopo la catastrofe comunista e dopo la vittoriosa controffensiva capitalista che ha sgominato l´egemonia socialdemocratica, si trova in piena crisi di smobilitazione culturale e morale. Tremonti ha ragione di sostenere che, prescindendo dalle posizioni nostalgiche, essa si è fatta invadere nella sua parte politica più rilevante dalla superstizione mercatista.
La nuova destra sembra piazzata meglio. Ma non perché essa disponga di un retroterra etico e identitario più ricco da cui possa sgorgare una risposta al mercatismo basata sui valori. Al contrario. Il suo vantaggio sta nella piena accettazione del mercatismo e nella sua coniugazione con quella forma politica della modernità che si definisce (vedi la lezione di John Lukacs) populismo. La quale si adatta perfettamente al mercatismo. Una massa costituita dalla somma degli interessi privati, quindi incoerente e instabile, è facilmente governabile da agenti comunicativi privi di qualunque legame e preoccupazione di coerenza e di continuità, e obbedienti solo alla logica dei rapporti di forza. Affidare alla coppia privatismo-populismo la fondazione dei valori sociali sarebbe e, come diceva provocatoriamente un mio giovane collega tanti anni fa in un tutt´altro contesto, come nominare Eichmann Presidente dell´Italgas.
GIORGIO RUFFOLO