La Repubblica 1 aprile 2008, GIAMPAOLO VISETTI, 1 aprile 2008
Zimbabwe con il fiato sospeso. La Repubblica 1 aprile 2008. HARARE - Il regime dello Zimbabwe, per la prima volta, vacilla
Zimbabwe con il fiato sospeso. La Repubblica 1 aprile 2008. HARARE - Il regime dello Zimbabwe, per la prima volta, vacilla. Robert Mugabe, come sempre, resiste. Il Paese, ad un passo dal golpe o della guerra civile, trattiene il fiato e spera in un miracolo: assistere all´uscita di scena dell´ex eroe dell´indipendenza, al cambiamento democratico chiesto con le elezioni. A oltre due giorni dal voto però i risultati delle presidenziali non vengono resi pubblici. Con il passare delle ore, tra la gente, si insinua un terrore inconfessato: che la dittatura non taccia perché devastata dalle vendette e dalle defezioni interne al partito del potere, ma in quanto impegnata a stringere la nazione nel proprio pugno. Il destino dell´ex Rhodesia è appeso ad una scelta, disperatamente ritardata. Mugabe deve decidere se accettare la sconfitta, riconoscendo la vittoria del leader dell´opposizione Morgan Tsvangirai, oppure consegnarsi nelle mani delle forze armate. Il dramma dello Zimbabwe è racchiuso in questa sospensione, dove tutto resta possibile. Ieri notte la giovane moglie del presidente, Grace, ha lasciato il Paese con le due figlie. Su un aereo militare hanno raggiunto la Malesia, dove il dittatore vanta due ville. Anche Mugabe si è garantito una via di fuga. Un elicottero è atterrato nel parco del palazzo presidenziale ed è fermo davanti al suo studio. Fedelissimi di Mugabe sono stati inviati in una residenza segreta in Congo. Rifugiati all´estero anche tre alti ufficiali e due ministri. Il «padre dello Zimbabwe», a 84 anni, resta isolato. Reparti speciali circondano la presidenza. Blindati carichi di soldati presidiano gli incroci della capitale, intimando alle gente di non uscire di notte. La popolazione, paralizzata dalla paura di scontri imminenti e dall´esaurimento delle scorte alimentari, comincia a fuggire. Centinaia di donne e bambini, nel mercato di Mbare, ieri sera si sono stipati sui minibus collettivi. Mozambico e Zambia hanno chiuso le frontiere. Dall´alba invece è iniziato lo stillicidio dei risultati ufficiali. Una beffa. Pressata da opposizione e comunità internazionale, la commissione elettorale centrale legge in diretta tivù i dati delle parlamentari. Seggio per seggio, voto per voto, candidato per candidato. In 12 ore ha diffuso una settantina di vittorie e sconfitte. Per arrivare alle presidenziali possono trascorrere giorni. I primi risultati danno un leggerissimo vantaggio (35 seggi a 31) all´opposizione. Bocciati molti big del potere, tra cui l´ex ministro della Giustizia. Per gli osservatori indipendenti è un espediente di Mugabe: guadagnare tempo, conquistare il parlamento di misura e assegnarsi infine la vittoria personale. Gli oppositori dell´Mdc risultano eletti con pochi voti, i candidati dello Zanu-Pf a valanga. Nelle presidenziali contano i voti assoluti: il dittatore riuscirebbe così a battere Tsvangirai. «E´ la prova dei brogli di Mugabe - denuncia il segretario dell´Mdc, Tendai Biti - Il ritardo prova il panico del regime». L´opposizione ha portato nuove prove di «una vittoria schiacciante». Dai verbali ufficiali, affissi da domenica notte, risulta che Tsvangirai ha dilagato: 60% contro il 30% di Mugabe. Conquistati 96 seggi su 128. Una valanga pericolosa. I leader dell´Mdc, avvisati di prossimi arresti, ieri sera hanno lasciato Harare per passare la notte in luoghi sicuri. Nessuna notizia su giornali, radio e televisione di Stato. Alla popolazione non sfugge però che, per la prima volta da 28 anni, anche lo Zanu-Pf sembra scomparso. Nessuna dichiarazione, nessuna festa anticipata. Nella sede del partito, un grattacielo di vetro, non c´è traccia di politici. Le luci restano accese giorno e notte, ma le stanze sono vuote e le segretarie non sanno cosa fare. Europa ed Usa chiedono dati «completi, reali e rapidi». L´Africa, mai successo, è indecisa. Il destino del padrone dello Zimbabwe è ormai nelle mani dei militari, nel pugno di altri vecchi despoti prigionieri dei propri complici. GIAMPAOLO VISETTI