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 2008  aprile 01 Martedì calendario

Le mannaie fuori dallo stadio. La Repubblica 1 aprile 2008. Succederà ancora. solo questione affidata al tempo e al caso

Le mannaie fuori dallo stadio. La Repubblica 1 aprile 2008. Succederà ancora. solo questione affidata al tempo e al caso. Si continuerà a morire con una sciarpa da ultrà al collo. Fuori dagli stadi. Sempre più lontani dagli stadi. In un autogrill, a un casello autostradale o in una sterrata di periferia, dove ci si è dati un appuntamento clandestino. Perché il vulcano di odio su cui sono sedute le nostre domeniche, ha ormai poco o nulla a che vedere con il pallone e la sicurezza dell´evento sportivo in quanto tale. Perché la violenza si è fatta liquida, come la collera che la alimenta. Un "fight club", in cui la scelta dell´arena è "casual", separata dal luogo simbolico (lo stadio) che ne è il pretesto. E non è una profezia di sventura. una notizia. La si raccoglie tra i nostri addetti alla sicurezza: polizia di prevenzione, carabinieri del Ros, qualche avvertito procuratore della Repubblica. Tra quanti, in questo fango velenoso, affondano ogni settimana le scarpe e ne scrutano gli smottamenti, per lo più ignoti alle cronache. Qualche fatto. Il 19 febbraio scorso, Roma e Real Madrid giocano la partita di andata degli ottavi di Champions League. Le due tifoserie si scontrano. Ma della circostanza la polizia saprà, e solo in modo frammentario, a resa dei conti consumata. Al loro arrivo a Roma, un gruppo di "ultras sur" madrileni viene preso in consegna da laziali che verosimilmente li armano e che hanno "appuntamento" con i "romanisti" a Torre Angela, periferia est della città, oltre l´anello del Grande Raccordo. Spagnoli e italiani se le danno di santa ragione fuori da una birreria. Nessuno, ovviamente, denuncia alcunché. Nessuno chiama "le guardie". La sera, tutti all´Olimpico dove, "per sicurezza", i laziali hanno comunque nascosto coltelli da cucina e tondini di ferro. Ancora. Napoletani e romani ("romanisti" e "laziali" insieme) se la sono giurata. E, da quel che si capisce, il problema della polizia, oggi, è riuscire a sapere per tempo dove si consumerà la battaglia. Attraverso quale incrocio di trasferte. In quale area di sosta dell´autostrada o in quale arena improvvisata. La dichiarazione di guerra risale all´autunno scorso e rimane incisa su nastro, quello che intercetta le utenze di Francesco Ceci (uno degli ultrà laziali che verrà arrestato per gli assalti alle caserme dell´11 novembre 2007, giorno della morte di Gabriele Sandri). Il 24 settembre 2007, Ceci parla con un tale "Carlo", ultrà napoletano, che lo informa di quel accadrà quando romani e napoletani troveranno il modo di trovarsi di nuovo di fronte. I napoletani porteranno «le mannaie». Non «le solite lame», visto che i laziali, ormai, girano con «i machete». Non stupisce dunque che al Dipartimento della polizia di prevenzione gli addetti si siano rimessi al lavoro per aggiornare la fotografia di una «cosa» (la chiamano così) cui ormai nessuno ha più voglia di riferirsi con nomi che non la descrivono più, perché riduttivi, imprecisi, sicuramente datati. "Violenza ultrà", "Violenza da stadio" significano ormai nulla anche e soprattutto rispetto all´immagine che i gruppi propongono di se stessi. Alla collocazione sociale che rivendicano. Solo per fare un esempio, nel manifesto che apre la pagina del loro sito web dedicato a Gabriele Sandri, gli "ultrà Lazio" scrivono: «Emarginati? Sì, senza dubbio. Emarginati come tutto il resto della gente o meglio estraniati da un contesto dove il sistema intero "se la canta e se la sona". L´alta finanza, le banche, la politica, il mondo dello spettacolo, tutti sul carrozzone. Eccoli lì, conduttrici puttane, cocainomani, osservatori, opinionisti, conduttori pervertiti, nani e ballerine, a strombazzare sguaiati la loro inutile, inspiegabile e lautamente remunerata presenza in questo mondo... alla faccia del resto della gente che non se la gode come loro. Ebbene sì quei ragazzi, sono estranei, sono emarginati da tutto questo, anzi lo rifiutano, lo contestano apertamente. Odiano, sì odiano e disprezzano tutto questo, lo combattono e, quando possono... lo abbattono. Non siamo una casta, siamo i tuoi quartieri, la tua città, l´espressione del tuo popolo... quello duro... quello di cui tu, occupante a pagamento del carrozzone, fai bene ad essere preoccupato». Pietro Saviotti, procuratore della Repubblica a Roma e titolare dell´inchiesta sulla domenica di violenze dell´11 novembre 2007, dice: «Credo sia ormai evidente che il tifo violento organizzato è lo sbocco della voglia guerresca di una generazione. La risposta, dunque, non può essere solo quella affidata alla polizia e ai processi. Tuttavia è un sistema intero che deve ripristinare la serietà delle regole dentro e fuori dagli stadi. un´ovvietà: non servono processi esemplari, ma sarebbe un passo avanti se si praticasse un attento rigore che impedisca e reprima il porto e l´uso di armi e oggetti di offesa. Anche le cinte devono tenere su i pantaloni e non essere brandite come micidiali fruste». CARLO BONINI