BARBARA ROMANO, Libero 1 aprile 2008, 1 aprile 2008
«Siamo avanti di 15 senatori Me l’ha confidato Casini». Libero 1 aprile 2008. Una delle cose di cui va più fiero Bobo Maroni è la sua collezione di elefanti con la proboscide sollevata, allineati di sedere
«Siamo avanti di 15 senatori Me l’ha confidato Casini». Libero 1 aprile 2008. Una delle cose di cui va più fiero Bobo Maroni è la sua collezione di elefanti con la proboscide sollevata, allineati di sedere. «In questa posizione portano fortuna, glieli ho regalati quasi tutti io», spiega la sua portavoce, Isa Votino. Che fa di tutto per distrarci quando scatta il fuori onda: una telefonata del Cavaliere. «Presidente!», risponde il colonnello leghista, «sì, sono appena andato a registrare Porta a Porta. Ho detto due robe sul voto agli immigrati, ma tranquillo, niente di che». Ed è qui che la chiacchierata si fa interessante: «Ho sentito Casini e mi ha detto che i suoi sondaggi danno al PdL almeno 15 senatori in più. E se lo dice lui...». La promessa di vedersi presto e la telefonata è conclusa. Maroni è ancora elettrizzato quando comincia l’intervista. Il secessionismo non l’avete fatto, il federalismo neppure. Perché mai uno dovrebbe votare Lega? «Perché è l’unico partito coerente con il suo progetto e l’unica speranza per le regioni del Nord. Noi siamo quelli che tengono il piede nella porta che conduce al federalismo». Lei terrà il piede nelle scarpe da ministro o in quelle di governatore della Lombardia? «Nelle scarpe da leghista. Noi siamo abituati a fare ciò che il partito ci dice di fare». Appunto. stato Bossi a fare il suo nome e quello di Castelli per la presidenza della Lombardia. Dice che siete «tutta gente che piglia i voti». «Bossi è troppo generoso. I voti li prende lui, non noi. Per noi la cosa importante è che la Lega abbia la Lombardia e altre regioni del Nord». Non vorrà far credere che non le frega niente di diventare governatore della Lombardia. «Sarei felice e onorato di fare il presidente della Lombardia. Ma per noi non è importante chi lo fa. Purché sia competente. E si chiami Roberto». Sfido, nella Lega vi chiamate tutti così. Ma pare che Berlusconi preferisca Castelli perché non le ha perdonato la sua intraprendenza nell’intrattenere rapporti con la sinistra sul federalismo. «La settimana scorsa Berlusconi mi ha mandato un regalo per il mio compleanno con un biglietto: "Au guri padani e rossoneri. Con amicizia e affetto. Silvio". Eccolo qui». Lei l’ha invitato al suo compleanno per convincerla a darle la Lombardia? «Per convincerlo a non scegliermi! Venne anche l’anno scorso e lo invitai come presidente del Milan, non come candidato premier». Lei critica tanto «Roma ladrona», ma festeggia sempre qui i suoi compleanni. «Nooo. Io festeggio a Roma con i romani, ma anche in Padania con i miei amici. Le cose se le faccio a Roma so che avranno un risalto molto maggiore sulla stampa». Perché continua a invitare Berlusconi se non lo può soffrire? «No, io ho una grandissima simpatia per lui. Sono milanista da prima che Berlusconi diventasse presidente del Milan. Ricordo la sua prima telefonata nel ’93, ero a casa, mi chiama Bossi e mi dice: "Guarda, sono qui con una persona che ti vuole salutare, te la passo". Mi rispose lui: "Buongiorno, sono Silvio Berlusconi". Ho dovuto sedermi per non cadere. Oggi il barometro del rapporto di amicizia tra me e Berlusconi è oltre il bello». Non la pensava così qualche anno fa: «Berlusconi usa toni e metodi tipici della mafia». Maroni dixit. «Se andassimo a rivedere l’intervento che Berlusconi fece alla Camera contro la Lega, nel ’94, quando fu costretto da Bossi a dimettersi da presidente del Consiglio, altro che questo. Ma quando cambiò idea nel ’99 dicendo di voler fare l’accordo con la Lega sul federalismo, noi l’abbiamo fatto». Lei si dissociò dal ribaltone e molti leghisti continuano a considerarla un traditore. «Ebbi offerte da questo e da quel partito, ma a Genova, nel dicembre ’94, di fronte a un’assemblea della Lega che discuteva se rimanere o no nel governo, dissi: "Io sono nato e morirò leghista". La mia fu una divergenza di opinioni rispetto alla tattica da seguire, non alla strategia. Questo mi ha consentito di rimanere nella Lega con il consenso di Bossi». Il Senatùr non gliel’ha mai rinfacciato? «Io considero Bossi un fratello maggiore, il nostro è un rapporto indissolubile. Sapeva che la mia obiezione era politica, non di interesse personale. Con lui non ho mai avuto problemi». Lei crede davvero, come Bossi, che Berlusconi sia la via per il federalismo? «L’alleanza con il PdL è la via del federalismo». Ma Bossi ha detto che dopo le elezioni «bisognerà trattare un po’ con il Pd». Cos’è, il trailer dell’inciu cione che andrà in scena dopo il 14 aprile? «Bossi non ha parlato di inciucio, ha distinto tra l’azione di governo, che è nel programma, dalle riforme, in cui non si può non coinvolgere la sinistra». Berlusconi ha fatto con la Lega l’apparentamento che non ha concesso all’Udc, perché vi ritiene più affidabili, anche se è stato Bossi e non Casini a ribaltargli il governo nel ’94. «E chi ha richiesto la discontinuità di governo nel 2005? L’Udc di Casini e Follini. Solo per impedire a Berlusconi di essere il primo premier a portare a termine una legislatura» Ma voi gli state già mettendo il bastone tra le ruote sul voto agli immigrati. Se queste sono le premesse della vostra affidabilità... «Noi abbiamo ricordato che il voto agli immigrati non è contemplato nel programma. Ma io non contesto a Berlusconi, come fece Fini, la possibilità di presentare come parlamentare un disegno di legge. Non è vero, come dice Casini, che noi siamo una spina nel fianco». Veramente è stato proprio Bossi a dirlo domenica a Reggio Emilia. «Noi siamo la coscienza critica della coalizione, ricorderemo cosa c’è nel programma». Confessi: l’alleanza con An le è sempre stata stretta. Nel ’99 disse: «Se Berlusconi vuole allearsi con noi deve avere il coraggio di rompere con An». «Anche Fini disse che non avrebbe mai preso un caffè con Bossi, e poi...». Ma il capo di An a lei non è mai andato a genio neanche dopo. Raccontano che dopo la gaffe di Scajola su Biagi, quando Fini scalpitava per prendere il suo posto, lei disse all’allora capo del Viminale: «Claudio, se lasci il ministero dell’Interno a Gianfranco, mi dimetto io». «Non è vero. Io stesso chiesi le dimissioni di Scajola per la sua frase». Scajola tirò in ballo anche lei: «Chiedete a Maroni se non è vero che Biagi è un rompicoglioni». Gliel’aveva detto lei? «Assolutamente no. Io chiesi più volte la protezione per Biagi, che era tutto tranne che un rompicoglioni. Era la persona più mite che conoscessi e non rompeva mai, anzi. Semmai era qualcuno dei suoi amici che si preoccupava per la sua sicurezza». Non le secca che anche a questo giro dovrà rinunciare alla presidenza della Camera, il suo vecchio pallino, perché ci ha messo sopra gli occhi Fini? «Nel ’94 Berlusconi chiese a me di fare il presidente della Camera, ma io dissi di no, perché preferivo fare il ministro: mi piace giocare in squadra più che fare l’arbi tro. E fui io a proporre la Pivetti». Non è forse per la presidenza della Camera che ha flirtato con la sinistra in questi due anni? «Sarebbe stato stupido oltre che presuntuoso, perché la previsione era che il governo durasse cinque anni. E poi, il presidente della Camera viene eletto dalla sua maggioranza. Non ho quest’ambizione. Se Bossi mi dicesse: "Da domani tu fai il semplice parlamentare, gli direi di sì». Ma se ha subito cominciato a sognare da Guardasigilli, appena saltato Montecitorio... «Ero stato candidato già nel 2001 a ministro della Giustizia». Ma poi scattò il veto di Ciampi, per la sua condanna in primo grado per resistenza a pubblico ufficiale in via Bellerio. «Ci rimasi male, non lo nego. Ma il Welfare è stato per me un’esperienza straordinaria». All’inizio non ci voleva neanche andare. «Perché non capivo bene cosa fosse. Avevo in mente i polverosi uffici del ministero del Lavoro di via Flavia. E invece lo rifarei mille volte, perché è il ministero che mi ha consentito di occuparmi dei problemi reali della gente». A conti fatti non le conveniva di più allearsi con i compagni che con i camerati, visto che il suo cuore ha sempre battuto a sinistra? «Il mio cuore batteva a sinistra finché sulla via di Damasco non ho incontrato Umberto Bossi. La mia appartenenza alla sinistra, come quella di Bossi, era la voglia di attaccare il sistema. Per questo il nostro passaggio nella Lega è stato una cosa assolutamente lineare. Non mi considero uno che ha cambiato idea». Infatti, Berlusconi la chiama «il nostro comunista». «Lo considero un complimento affettuoso». Lei esordì a Varese nei marxisti leninisti. «Esordii nel movimento studentesco al liceo classico. La mia esperienza, in IV ginnasio fu traumatica. Andavamo a scuola in pantaloni corti e dopo due giorni fu proclamato lo sciopero con i picchetti. Io che venivo dal paese rimasi scioccato. Ero uno che passava i capodanni a studiare greco e latino. Ero un pazzo». Un secchione. «Un vero secchione. L’avvicinamento alla politica avvenne al liceo, con il mio prof di filosofia che era della sinistra Pci, che ci indottrinò». Mai lanciata una molotov? «No. Ero di sinistra radicale, ma moderato». Però leggeva i libri del Che su Radio Varese. «Sì. Fu il mio prof d’italiano a fondarla nel ’76. Era un covo dell’ultrasinistra. Uno degli slogan era: "Radio Varese, l’unica radio libera nell’Occidente occupato". Facevo anche un programma sul dialetto». Lei è proprio leghista dentro. «Non lo sapevo, ma la mia vera anima era quella lì». Poi si è convertito al rhythm ’n blues fondando un gruppo, "Distretto 51", che non molla mai. Neanche da ministro. Persino il giorno delle dimissioni di Antonio Fazio dalla Banca d’Italia lei fece un concerto al Capranica. «I fatti della politica non mi hanno mai influenzato nell’attività vera, che è quella musicale. Ho cominciato a suonare la fisarmonica in seconda media. Suonavo gratis l’organo in chiesa e ai matrimoni di tutti i miei amici. Poi sono stato folgorato dal rock con la mia band con cui quest’anno festeggiamo i 25 anni dal primo concerto». Lei si spaccia per un bluesman, ma il sax non l’ha mai suonato. «Vero. Tutto è nato per uno scherzo che feci ai fotografi che mi infastidivano mentre suonavo il mio organo Hammond al concerto di Porretta Terme, nel ’93. Imbracciai un sax facendo finta di suonarlo e quella foto divenne il mio emblema». Chi era Maroni prima entrare nella Lega? «Ho lavorato dieci anni per una serie di banche e di aziende. Da ultimo, per la Avon cosmetics, dove ero il responsabile italiano degli affari legali. Quando Bossi mi disse vieni a Roma, nel ’92, ci pensai a lungo, perché facevo un lavoro che mi divertiva molto». Ricorda il primo incontro con Bossi? «Come no! Fu nel ottobre ’79. Andai a casa sua portato da un mio amico una sera mentre ero al bar. Scoprii quest’uomo che parlava di federalismo. Uscii pensando che era matto. Mi chiamò il giorno dopo e mi propose di fare un giornale, Nordovest. Da lì è cominciata la nostra complicità, che dura da 29 anni». Insieme avete anche distrutto l’auto di sua madre. «Tutto successe perché avevamo deciso di fare una scritta sul muraglione con la vernice. Funzionava così. Io prendevo la Cinquecento color topo di mia madre. Scaricavo l’Umberto, lui scriveva e io facevo il giro da casello a casello per controllare la polizia». Non vi hanno mai beccato? «Una volta abbiamo fatto una corsa in autostrada per sfuggire agli sbirri. Perché Bossi non si limitava a scrivere Lega, ma per esteso Lega autonomista lombarda. Ci voleva una notte intera. A un certo punto arrivai e vidi la scritta "Lega autonom" con una pennellata verso l’alto». E Bossi? «Mi fermai a chiamarlo e lui corse in macchina trafelato con il barattolo della vernice dicendo che c’era stata la polizia. Io partii a manetta, Bossi cadde indietro e si rovesciò addosso tutta la vernice bianca che inondò la macchina che mamma utilizzava per fare il servizio a domicilio: aveva un negozio di alimentari». E sua madre come la prese? «Il mattino dopo alle 6,30 venne a svegliarmi per imprecare contro me e contro "quel disgraziato del Bossi". Non dormii la notte pensando alla sua reazione». Vero che lei nella Lega è l’unico che possa permettersi di contraddire il capo? «Molti lo contraddicono, ma io sono l’unico a farlo senza che lui mi abbia mai mandato a quel paese». mutato il vostro rapporto dopo la malattia di Bossi? « aumentata la mia stima per lui. Già prima era il mio idolo, ora lo è ancora di più. Non è più solo un leader politico per me, ma un esempio di vita». I leghisti raccontano che in privato il capo la bacchetta per il suo iperpresenzialismo nelle cronache rosa. «Vita mondana la fanno altri parlamentari, non io. Nei cinque anni in cui ho fatto il ministro del Welfare, dal 2001 al 2006, sono uscito una sola volta, per un concerto di Elton John. E dovetti andarmene a metà serata perché al ministero era in corso la trattativa sull’autostrarporto locale. Mai andato al Gilda». Venerdì, nell’homepage di Dagospia, campeggiavano le sue foto con la sua portavoce all’inaugurazione della gioielleria Manfredi... «Tutto nasce da una cena che feci nel 2006 con Isa Votino dopo essere stato a Porta a Porta e a Matrix. Ho avuto l’imprudenza di scegliere un noto ristorante romano frequentato dai paparazzi, ma perché era a cento metri da casa mia. E quelle foto di una innocente cena di lavoro sono finite su Novella 2000». Perché ha querelato Novella 2000 se erano foto innocenti quelle che ha pubblicato? «Per le insinuazioni contenute nelle didascalie». Nella Lega dicono che dopo la malattia di Bossi, lei avrebbe potuto assumere la leadership, ma non l’ha fatto «perché non ha le palle». «Dire a me che non ho coraggio, dopo quello che ho fatto da ministro del Welfare, mi fa sorridere. Io non ho voluto fare le scarpe a Bossi, cosa che molti hanno tentato di fare nel partito, perché riconosco che l’uni co leader della Lega è lui». E chi guiderà la Lega dopo il Senatùr? «Ci sono tanti giovani trenta-quarantenni arrivati quando la Lega era diventata il partito per il federalismo, non più il partito contro il Caf». Nomi. «Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, o quello di Varese, Attilio Fontana». Marco Reguzzoni, il pupillo di Bossi, no? «Ce ne sono tanti di giovani capaci e ambiziosi. Chi governerà la Lega dopo Bossi verrà da questo gruppo di giovani, non dalla nostra generazione». Contento che Milano si sia aggiudicata l’Expo 2015? « un motivo in più per respingere il piano Air France. Non solo. Ora ci aspettiamo che sia Air France a trasferire voli da Parigi a Malpensa e non viceversa». Non considera paradossale cancellare quasi tutte le rotte Alitalia da Malpensa alla vigilia del voto di Parigi sull’Expo 2015? «Una pura follia, che rientra nell’ottica romanocentrica. Ma rischia di costare in ogni caso molto cara. Temo che sarà un suicidio per Alitalia». Sincero: ma lei ci crede nella cordata italiana targata Berlusconi? «Sì, perché Air One ci ha già provato e ora le condizioni offerte da Air France sono diverse, quindi non vedo perché non riammettere Air One. Ci credo anche perché dietro la compagnia di Toto c’è Intesa Italiana, la più grande banca italiana. E mi rifiuto di pensare che si sia buttata in un progetto che non esiste». BARBARA ROMANO