Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  aprile 01 Martedì calendario

Ci vuole un fisico bestiale e qualche benedizione. ItaliaOggi 1 aprile 2008. Ci vuole un fisico bestiale

Ci vuole un fisico bestiale e qualche benedizione. ItaliaOggi 1 aprile 2008. Ci vuole un fisico bestiale. E Giuliano Ferrara ammette «di non averlo più». Maledice un’indisposizione momentanea che sta lo sta sfiancando, lui che rivendica la forza di un «animale da soma». Acciacchi a parte, gli tocca spingere. Il Ferrara da traino deve cercare di spostare voti sulla sua sfida, «la moratoria aborto? No grazie», la lista con la quale il direttore de Il Foglio si presenta alle elezioni come candidato premier. Già anche lui nella mischia. «Conquistare il voto laico dei cattolici e il voto cristiano dei laici», questa la missione. E sabato scorso Giuliano Ferrara era in Liguria in missione per conto della difesa della vita, dal primo battito fino all’ultimo. E sabato quel che resta del fisico bestiale è stato messo a dura a prova in un tour de force organizzato dal suo capolista, Eraldo Ciangherotti, 33enne odontoiatra di Albenga che alle spalle non ha alcuna esperienza politica, ma una militanza e un volontariato serrati tra centri di aiuti alla vita, diocesi e giornate mondiali della Gioventù. «Non sono il suo maestro, perché non sono il maestro di nessuno», dirà Ferrara in osteria, che si coccola l’aspirante deputato con un fare protettivo. Si comincia alle 9.30 a Imperia, in piazza San Giovanni sul sagrato dell’omonima chiesa. un normale sabato di sole con il vento a spazzare tra le pre Alpi e il mare. Un gazebo con i volantini di «Aborto? No grazie», comincia a spargere curiosità con abbondante anticipo, intercettando gente diretta al mercato e ai caffè per la colazione all’aperto. Ferrara porta ritardo da Torino, un incidente incontrato in autostrada ne ritarda l’arrivo, ma l’attesa serve a riempire la piazza. Alle 10 ecco il candidato premier. Certo, fa effetto chiamarlo così. Abito di velluto nero, maglioncino azzurro, camicia a righe provata da un collo imponente, cravatta di grana grossa, sciarpa rossa e una coppola che fa tanto Erasmo da Rotterdam. Certo visto il tema della sua campagna elettorale poco gli si addice l’immagine di un Erasmo che, per tutta la vita cattolico, criticò gli eccessi presenti nella Chiesa cattolica del suo tempo. L’immagine Ferrara-Erasmo sul sagrato di una chiesa è suggestiva. Dall’auto al gazebo allestito da Ciangherotti sono 100 metri, tanto è lungo corso San Giovanni, dove si affollano nell’ordine i banchetti del Pdl al quale Ferrara non si è arreso come ordinò Berlusconi, quello del Pd di Walter Veltroni e quello della Lega Nord. Traffico di consensi. Caffè, sigaretta, il discorso e il saluto del suo Eraldo. E poi il comizio. Ad ascoltarlo anziani, tanti, giovani donne, bambini, quelli degli amici e dei collaboratori di Ciangherotti. A cercare spazio ad altezza ginocchio qualche carrozzino in ordine sparso che sintetizzano bene una battaglia per la vita. Molti sono lì perché Ferrara hanno avuto modo di conoscerlo grazie alla televisione. Il suo Otto e mezzo su La7 all’ora di cena tiene compagnia. Insomma, Imperia si ritrova per curiosità davanti a quell’uomo «grande e grosso» che «manca tanto in televisione», si dice nel capannello all’angolo della piazza. « bello fare comizi come una volta», attacca Ferrara. Già, perché il direttore de Il Foglio sceso in campo contro l’aborto, è contento di fare campagna elettorale, «è quello che voglio, abbiamo fatto una lista per fare campagna elettorale», il resto, ovvero sondaggi e miraggi di scranno interessano meno. Un comizio in una piccola piazza, come ai bei tempi quando c’erano le preferenze e suole di scarpe da consumare, lui indossa comodi mocassini da barca. «La vita umana è sacra. Viviamo in un tempo in cui non è più chiaro quello che è sempre stato chiaro», dice Ferrara. «Non siamo fanatici, non vogliamo fare alcuna rivoluzione». «Che Dio la benedica», dice una signora stringendogli la mano al termine del comizio. «Ferrara, mi fa un autografo sul volantino per mio figlio Leonardo?», «Certo», e via a stringere altre mani di anziani e donne che Ferrara sembra aver conquistato. Imperia è fatta, non prima di aver stretto la mano al parroco. Tocca andare a Savona. E tocca correre perché l’appuntamento è alle 11.30 in una sala della Provincia. L’incontro è organizzato dal centro di aiuto alla vita di Albenga e da quello locale, che nella diocesi di Savona non hanno vita facile e sostegno. E si vede. La sala è grande, ma la gente accorsa a sentire Ferrara e i suoi temi tanto cari alle comunità cattoliche e ai gruppi di preghiera non straripa. La sala chiusa è il terrore per qualsiasi candidato. Ad addolcire la sensazione ci pensa una tavoletta di cioccolato offerta dalle donne di Albenga che a fine intervento Ferrara infila in tasca come compagna di viaggio. «Le piazze vanno decisamente meglio. Va bene anche la sala chiusa. Ma il problema a Savona è di altro genere». A tavola, Ferrara e Ciangherotti mettono a punto le strategie. Tra un antipasto di bianchetti arrivati di buon mattino dal porto e un «straordinario» stracotto che in osteria consigliano anche se «impegnativo». «A Savona la diocesi non si schiera, a differenza di Imperia. E i movimenti per la vita e i centri di aiuto alla famiglia fanno quello che possono», dice Ciangherotti. «Ma a noi va bene così», replica Ferrara impegnato a fare incetta dei cioccolatini serviti col caffè. «Che noia questa campagna elettorale così piatta. Almeno noi ci divertiamo. Certo avremmo potuto fare mille provocazioni, ma non avrebbero portato a nulla. Avremmo potuto campare una decina di giorni qui in Liguria dopo il suicidio del medico e la vicenda degli aborti clandestini», dice il direttore de Il Foglio che al ciuccio da soma preferisce l’elefantino per firmare i suoi editoriali, «ma alla fine abbiamo deciso di tenere i toni bassi». All’appuntamento più importante, al teatro della Gioventù a Genova, manca un’ora, il tempo per un riposino nello studio messo a disposizione dal giovane Ciangherotti. In un’ora, intanto, i volontari fanno i volontari, si attrezza la sala, si attaccano le bandiere all’ingresso con il logo della lista, si organizza l’auto con gli altoparlanti spedita per Genova a pubblicizzare l’incontro. Genova. La città dove Ermanno Rossi, il ginecologo dell’istituto Gaslini, si tolse la vita a seguito di un’inchiesta su presunti aborti clandestini. Tappa sentita e la sala lo dimostra. Duecento persone sono lì, non di passaggio, ad ascoltare l’uomo che sfida Berlusconi e Veltroni a parlare di diritto alla vita più che di Alitalia. Ferrara si appassiona, parla più o meno seguendo la scaletta usata nelle tappe precedenti. Si fa tardi. C’è La Spezia che aspetta. Ci vuole un fisico bestiale per tagliare una regione da Ponente a Levante lungo un’autostrada che dritta non va neanche per un metro. Si corre tra i tornanti, sfrecciano candidato premier, capolista, collaboratori e cronista incuriosito da una giornata tipo del candidato atipico Ferrara. A La Spezia confida di voler fare giusto un saluto. La stanchezza vince anche «il ciuccio da soma». E c’è Livorno in chiusura di serata, prima tappa del successivo tour in Toscana dove ad attenderlo, a Firenze, ci saranno anche fischi e contestazioni. Non in Liguria, dove comunque la sinistra è forte, dove la Chiesa è divisa e va in ordine sparso. Non in Liguria spaccata a metà tra Burlando e Scajola. Gli altri a navigar nel mezzo, come Ferrara che dei sondaggi se ne infischia, che «al Senato, dove non ci siamo presentati, libera tutti, dà libertà di voto secondo coscienza e secondo divertimento tra Berlusconi, sceso in politica per sistemare gli affari suoi e un po’ anche i nostri quando Mani pulite menava fendenti, e Veltroni che pur ci prova con un pizzico di novità». Ma non alla Camera perché «la vita è un valore non negoziabile». Ma che cosa resta tra le parole di questa intensa giornata ligure di Ferrara? Sicuramente una citazione di papa Ratzinger che giudica «la bioingegneria un potere totalitario che più aumenta più deve aumentare la nostra capacità di controllarla». Un attacco al professor Umberto Veronesi in lista col Pd, «colui che aveva definito quello di Piergiorgio Welby il diritto a morire per il quale anche il presidente della Repubblica si era affrettato a scrivere alle camere». No, Ferrara è per il diritto contrario, «quello alla vita, invocato da una ventina di sofferenti come era sofferente Welby, ma dei quali nessuno ha parlato. Lui alla Camera vuole esserci anche per questo a nome «di quella gente che in questi 30 anni (l’età della legge 194) non si è voltata dall’altra parte». Per denunciare che «l’aborto è diventato un’abitudine, uno strumento di contraccezione». La legge 194? «Una legge pessima, ma non vogliamo abrogarla». Vita, ma anche le donne che «hanno diritto alle loro scelte, ma non ci si può non interrogare sul fatto che un bambino non sia nato perché sua madre doveva partecipare a un reality». Ecco le parole di un candidato premier come Ferrara alla guida di «una lista pazza che senza rivoluzioni né fanatismo vuole soltanto realizzare una sorpresa», che «incassa le simpatie della Chiesa che però non tiriamo per la giacca perché non è un partito». I partiti sono altri come il Pdl «che vincerà le elezioni anche al Senato, vuole che Berlusconi non vinca?». Emilio Gioventù