La repubblica 28 marzo 2008, STEFANO BARTEZZAGHI, 28 marzo 2008
Vanvera. La repubblica 28 marzo 2008. Che parola, vanvera... Ma sarà poi realmente una parola? A giudicare dalle apparenze il dubbio non dovrebbe essere lecito
Vanvera. La repubblica 28 marzo 2008. Che parola, vanvera... Ma sarà poi realmente una parola? A giudicare dalle apparenze il dubbio non dovrebbe essere lecito. E´ fatta di lettere, si scrive senza spazi in mezzo, giace in ogni dizionario tra vanto, vanume e vapore, dà vita a derivati come vanverare e vanvereggiare: è una parola. Però è vero che non si usa se non nella locuzione «a vanvera» e che la sua etimologia si perde nei fumi delle onomatopee, forse da fanfera, forse in connessione con voci analoghe come fanfarone, fandonia e fanfaluca. Non c´è un luogo, un momento, uno stato delle cose che si possa nominare La Vanvera: nulla di identificabile, di precisabile, di tangibile. Quando compare la locuzione «a vanvera» è perché si è in preda a un andazzo aereo, potenzialmente infinito. Solo chi tace non corre il rischio di parlare a vanvera, anche se non tutti gli studiosi concordano sulla reale impossibilità di tacere a vanvera. Di fronte alla grandezza e all´eternità della Vanvera, il fatto che in una campagna elettorale un politico accusi di parlare a vanvera un altro politico cosa volete che sia? Una minuzia, una vanverina locale, niente di che. STEFANO BARTEZZAGHI