La Stampa 27 marzo 2008, 27 marzo 2008
Martha Argerich. La Stampa 27 marzo 2008. Martha Argerich arriva a Torino, non passa neanche dall’albergo, sbuca direttamente all’Auditorium Rai con la valigia in mano, siede al pianoforte e prova il Terzo concerto di Prokof’ev, suo cavallo di battaglia del passato e, si capisce subito, anche del presente
Martha Argerich. La Stampa 27 marzo 2008. Martha Argerich arriva a Torino, non passa neanche dall’albergo, sbuca direttamente all’Auditorium Rai con la valigia in mano, siede al pianoforte e prova il Terzo concerto di Prokof’ev, suo cavallo di battaglia del passato e, si capisce subito, anche del presente. La criniera della leonessa argentina è diventata grigia, ma i gesti sono sempre quelli: certi passaggi suonati guardando il pubblico, per esempio, o la mano che scosta dal viso le ciocche ribelli. Poi riceve in camerino, dove si scopre che la più celebre pianista del mondo viaggia con un orsetto portafortuna e legge Mishima in francese: L’école de la chair. Più che rilasciare un’intervista, questa indomita ragazza di 66 anni divaga, ma sono ricordi già pronti per le raccolte di aneddoti memorabili. «Ricordo quando il Terzo di Prokof’ev l’ho debuttato: avevo 19 anni ed ero a Stavanger, in Norvegia. L’orchestra era semiamatoriale e un po’ strana. Il direttore mi rassicurò dicendomi: sa, bevono molto, per questo suonano così». Grandi lodi, invece, per la sua orchestra attuale, la Sinfonica Nazionale della Rai e per il giovin direttore Tugan Sokhiev («Come dite? Ha solo 29 anni? Ma se ne aveva 29 anche l’anno scorso! Però è bravo, mi piace»): suoneranno stasera e domani a Torino e sabato al Bologna Festival. Lei ricorda la sua prima incisione con Abbado: «Ero così giovane, avevo 25 anni, e anche Claudio era giovane. Anzi credo fosse la prima volta che incideva per la Deutsche Grammophon con i Berliner. Fu bellissimo». La sua storia con Torino è antica. «A Moncalieri, nel ”61, feci un corso di perfezionamento organizzato dalla Rai e dalla Fiat. C’era Arturo Benedetti Michelangeli. Io avevo già vinto il Busoni, però ero in soggezione. Quando gli venni presentata, mi chiese con chi avevo studiato. Gli feci tutto l’elenco e lui, borbottando come sempre: bella collezione!». A Torino ha suonato molto spesso, ma per la verità ha suonato molto spesso dappertutto: «Ricordo l’unica volta con Celibidache, il Concerto di Schumann. Chiese cinque prove, ma un mio amico le ascoltò e mi disse: voi non suonate lo stesso concerto. Celibidache capì che ero molto nervosa e, serafico, mi disse: non sia schiava della sua confusione». Altri direttori amati? «I primi che mi vengono in mente? Beh, adesso vado a suonare con Temirkanov, che mi piace tanto. Poi Claudio (Abbado, ndr), Riccardo Chailly e Charles Dutoit. Gustavo Dudamel e la sua giovane orchestra sono abbastanza meravigliosi». La tournée italiana per ricordare il suo maestro, Vincenzo Scaramuzza, è andata benissimo, tanti applausi, tanti giovani («Ma non facciamo della retorica, ci sono i giovani, ci sono quelli di mezza età e ci sono i vecchi: insomma, ci sono le persone»). Però, provochiamo, si dice che i giovani pianisti siano tutti tecnica e niente emozione: «Sa cosa mi disse una volta il mio amato Friedrich Gulda? Eravamo in Argentina e là erano tutti fanatici per la tecnica, la tecnica, la tecnica. Scaramuzza faceva perfino i disegni anatomici dei muscoli, come Leonardo. Discutemmo, naturalmente di tecnica, e dopo un ragazzo suonò per Gulda. Gulda gli chiese: ti piace come suoni? Il giovane: sì, maestro. E lui: beh, allora hai una tecnica meravigliosa. Morale: uno ha la tecnica quando riesce a fare quello che vuole fare. Il resto non conta».