Corriere della Sera 27 marzo 2008, Sergio Romano, 27 marzo 2008
Lettere. Corriere della Sera 27 marzo 2008. Parlando del problema palestinese e della necessità di un coinvolgimento di Hamas nelle trattative per una pace duratura con Israele, lei alla obiezione che Hamas non riconosce a Israele il diritto di esistere ha risposto dicendo che essendo appunto ciò materia del contendere non poteva essere preteso prima
Lettere. Corriere della Sera 27 marzo 2008. Parlando del problema palestinese e della necessità di un coinvolgimento di Hamas nelle trattative per una pace duratura con Israele, lei alla obiezione che Hamas non riconosce a Israele il diritto di esistere ha risposto dicendo che essendo appunto ciò materia del contendere non poteva essere preteso prima. Apparentemente logico ma complicato sul piano formale. Perché ciò possa avvenire, Israele dovrebbe rimettere in gioco il suo diritto a esistere, diritto riconosciuto dall’Onu e da tutti gli Stati democratici del mondo. Israele non può farlo e quindi la palla ripassa ad Hamas in un circolo vizioso dal quale temo lo stesso Hamas non voglia uscire. Luigi Nale luigi.nale@tiscali.it Caro Nale, La sua lettera mi ha ricordato uno scambio di battute con John McCain al Forum Ambrosetti di Cernobbio l’anno scorso, quando il senatore repubblicano non era ancora candidato del suo partito alle elezioni presidenziali americane. McCain aveva attaccato duramente la politica nucleare iraniana e sostenuto che occorreva rispondere alle minacce di Ahmadinejad con sanzioni più severe. Se gli iraniani vogliono dare una prova di buona volontà, aggiunse, devono anzitutto rinunciare all’arricchimento dell’uranio. Intervenni allora nella discussione per osservare che l’arricchimento dell’uranio non era stato proibito dal Trattato di non proliferazione e che era la principale materia del contenzioso fra Stati Uniti e Iran. Mi sembrava difficile, quindi, immaginare che gli iraniani sarebbero stati disposti a cedere, ancora prima di cominciare il negoziato, sul suo punto più importante. Con quali armi e argomenti avrebbero potuto ottenere dagli Stati Uniti la revoca dell’embargo, la cancellazione del loro Paese dalla lista degli «Stati canaglia », le forniture di cui avevano maggiormente bisogno (attrezzature per l’industria petrolifera, aeroplani civili, parti di ricambio per gli impianti comprati in America all’epoca dello Scià) e gli impegni per la sicurezza collettiva della regione a cui probabilmente aspirano? McCain mi rispose che le mie osservazioni erano «senza senso» (nonsense) e io decisi che era giusto lasciare all’ospite straniero l’ultima parola. Ma la sua risposta mi confermò che le grandi potenze amano i negoziati squilibrati, quelli in cui l’altro viene «disarmato» ed è messo in condizioni d’inferiorità ancora prima dell’inizio delle trattative. Anche la Gran Bretagna, tanto per fare un esempio recente, avrebbe voluto che l’Ira (l’esercito repubblicano irlandese) smantellasse pubblicamente i suoi arsenali prima della tappa conclusiva degli accordi del Venerdì Santo. Ma quale può essere il peso negoziale di una organizzazione armata se rinuncia subito alle sue armi? Credo che le stesse considerazioni valgano per Hamas. L’organizzazione ha proposto una tregua e ha dato più volte la sensazione di accettare pragmaticamente l’esistenza dello Stato d’Israele nei suoi confini del 1967. Ma non intende rinunciare alle sue posizioni più radicali e smobilitare psicologicamente in una situazione nella quale nulla le garantisce che Israele sia veramente disposto a fare concessioni sui punti ancora irrisolti: confini dello Stato palestinese, statuto di Gerusalemme Est, problema dei palestinesi cacciati dalle loro terre. Vi sono punti, come quello dei profughi, su cui Israele ha il diritto di difendere fermamente le proprie posizioni. Ma ve ne sono altri su cui ha interesse a negoziare. Senza chiedere ai suoi interlocutori di arrivare nudi al tavolo delle trattative. Sergio Romano