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 2008  marzo 25 Martedì calendario

In Italia le banche sono come un paradiso (fiscale): LiberoMercato 25 marzo 2008. Se siete degli imprenditori piccoli o medi, vi consigliamo di non proseguire nella lettura

In Italia le banche sono come un paradiso (fiscale): LiberoMercato 25 marzo 2008. Se siete degli imprenditori piccoli o medi, vi consigliamo di non proseguire nella lettura. O se lo fate, è a vostro rischio: insomma, non rispondiamo dei travasi di bile che potrebbero causare le informazioni contenute in quest’articolo. Soprattutto a chi, piccola o media impresa, ogni anno versa la metà del reddito al Fisco italiano.Fatta questa premessa, andiamo ai numeri, così come risultano dai conti delle banche italiane. Da una breve ricognizione dei bilanci fin qui pubblicati dai principali gruppi creditizi, si conferma che nel Paese delle tasse e dei balzelli le banche sono i contribuenti più felici. Quando va proprio male, arrivano a pagare un’aliquota effettiva (tax rate) del 37-40%, anche se per arrivare a tanto bisogna proprio essere sfortunati. Non così alle due principali banche italiane. Intesa Sanpaolo se la cava infatti con un’aliquota effettiva del 34,85 per cento. Poteva andare addirittura meglio (un rotondo punto percentuale in meno) se nell’ultimo trimestre del 2007 non fossero intervenute alcune novità legislative in materia di tassazione di dividendi del consolidato fiscale. Inoltre, va detto – ed è una precisazione che vale per tutte le banche – che la riduzione delle aliquote Ires (dal 33 al 27.5%) e Irap (dal 4,25 al 3,9%), in vigore da quest’anno, ha determinato un impatto quasi sempre negativo sulla fiscalità differita nel quarto trimestre 2007. Nel passaggio alle nuove aliquote Ires e Irap, insomma, le banche hanno dovuto saldare alcune differenze fiscali che, in assenza delle novità fiscali introdotte dalla Finanziaria 2008, si sarebbero tradotte in importi imponibili negli esercizi successivi. Ma si tratta appunto di esborsi una tantum. Banche in paradiso Nel caso di Intesa Sanpaolo, per esempio, includendo anche l’impatto fiscale non ricorrente, si passa dal 34,85% al 39%, un tax rate comunque parecchio inferiore a quello che, giusto un mese fa, un’autorevole ricerca ha stimato essere l’aliquota effettiva media pagate dalle aziende industriali. Da questa indagine di Mediobanca e Unioncamere («Le medie imprese industriali italiane 1996-2005), viene fuori che il tax rate pagato dalle medie imprese è del 46 per cento. Praticamente 20 punti percentuali in più dell’aliquota denunciata da un gruppo come Unicredit nel bilancio 2007. L’istituto guidato da Alessandro profumo – che in questo beneficia del più basso livello di tassazione dei Paesi del Centro-Est Europa in cui è presente – denuncia infatti un’aliquota effettiva normalizzata (escluso perciò l’impatto della fiscalità differita) del 26,86 per cento. Tenendo conto anche delle ”una tantum”, non si va lontano: in questo caso, il conto fiscale per Unicredit sale arriva a una aliquota effettiva di circa il 30 per cento. Un livello di pressione fiscale aziendale per il quale decine di migliaia di imprenditori italiani metterebbero subito la firma. E invece, per ora, devono subire quel 46,6% che risulta dalle più recenti indagini statistiche. A fare meglio di Unicredit, è solo Mediobanca: nel semestre luglio-dicembre 2007, Piazzetta Cuccia è stata doppiamente fortunata. Primo, perché come tutte le banche spunta livelli di tassazione da Paese civile; secondo, perché, a differenza delle altre, è stata beneficiata e non penalizzata dall’impatto non ricorrente sulla fiscalità differita della Finanziaria. Il risultato di tutto questo è che nel semestre in questione Mediobanca ha pagato in tasse circa il 20% del suo utile operativo corrente: accade in Italia non in Lussemburgo. Fra le banche prese in considerazione nella tabella, è la Bpm l’istituto a più alto tax rate. L’aliquota effettiva normalizzata è del 37%, mentre il Monte dei Paschi di Siena, sempre al netto delle una tantum, ha pagato in tasse ”solo il 35,4% dell’utile lordo. Che dire? In Italia le banche stanno davvero in paradiso: fiscale. Vero è che alla bassa imposizione fiscale delle banche contribuiscono diversi fattori oggettivi (dalla presenza in Paese a bassa imposizione alla tassazione dei dividendi), validi anche per le multinazionali industriali. Ma è altrettanto vero che la potenza della lobby bancaria è in grado di condizionare il processo fiscale. Ovviamente sperare in un inasprimento fiscale per le banche sarebbe pura follia: gli istituti scaricherebbero immediatamente il maggior costo fiscale sui clienti, come conferma una recente ricerca dell’ufficio studi di Bankitalia. Alla luce di questi dati, un tax rate del 46,6% per le medie imprese industriali – l’asse portante della struttura produttiva italiana – ha tutti i connotati della exactio inaudita, il livello eccessivo di tassazione che legittima le più veementi proteste contro il Fisco. L.D.