varie, 28 marzo 2008
MUMIA ABU-JAMAL
(Wesley Cook) Filadelfia (Stati Uniti) 24 aprile 1954. Giornalista • «[...] il giornalista ed ex militante dei Black Panthers al centro di una battaglia giudiziaria che dura da [...] trent’anni. [...]iniziale condanna a morte per l’omicidio di un poliziotto [...] commutata all’ergastolo dalla Corte d’Appello di Filadelfia [...] si è sempre professato innocente per l’uccisione dell’agente Daniel Faulkner, avvenuta nel 1981 - è diventato il simbolo del movimento contro la pena di morte. Una petizione internazionale in suo favore ha raccolto oltre settemila firme, tra cui quelle di intellettuali come il tedesco Gunther Grass o l’americano Noam Chonsky» (“la Repubblica” 20/1/2010) • «Per la Filadelfia nera fu “la voce di coloro che non hanno voce” Per il tribunale e per la Filadelfia bianca fu l’asassino che abbatté a freddo il poliziotto che aveva fermato il suo taxi una notte d’inverno. [...] giornalista, Pantera Nera, autore, agitatore, ma soprattutto condannato a morte in attesa di esecuzione dal 1982 [...] Dopo 26 anni trascorsi nella sala d’attesa del patibolo, Mumia Abu-Jamal è sfuggito alla siringa, grazie a un giudice che ha annullato la condanna e ha chiesto alla procura di rifare il procedimenti che portò alla pena capitale. Cosa che non avverrà, per i costi e per la certezza dell’insuccesso.[...] È altamente improbabile che quest’uomo di colore entrato nel braccio della morte quando aveva 28 anni e doveva integrare le proprie misere entrate di giornalista radicale con la guida notturna di un taxi. Mumia, nato Wesley Cook prima di convertirsi all’Islam, era stato condannato attraverso uno di quei processi linciaggio, voluti in una Filadelfia squassata da sommosse razziali e dalla feroce, quotidiana lotta fra il potere bianco e il ghetto nero. Le prove erano apparse ben presto fragilissime, neppure il calibro del proiettile che aveva ucciso l’agente Danny Faulkner (bianco) corrispondeva a quella della sua pistola e la giuria era stata tutta scelta fra la Filadelfia bianca, in quella Pennsylvania dove ancora oggi un mite personaggio come Barack Obama viene guardato come un pericoloso sovversivo. La sua autodifesa dal carcere, manifestata in trasmissioni radio, libri, articoli, memoriali, ne aveva fatto la cause celebre della giustizia ingiusta e quei 26 anni di rinvii, ricorsi, sospensioni, appelli e contrappelli dimostravano che ormai nessuno aveva davvero più voglia di ammazzarlo. [...] Nel 1982, quando entrò nel braccio della morte del penitenziario statale, ben pochi avrebbero pensato che Mumia sarebbe non soltanto sopravvissuto per 26 anni, ma che proprio lui, il “terrorista islamico” di altre guerre di civiltà, sarebbe stato il segnavento della svogliatezza e forse del rimorso con il quale l’America comincia a guardare al boia. [...] Mumia, il morto che non morirà, si è salvato dall’iniezione grazie a un cavillo scovato dal giudice che da ieri sera indigna le “ultime raffiche” della destra forcaiola e giustizialista (con i neri). Sono le istruzioni sbagliate che il giudice del procedimento originale di sentenza (separato dal procedimento di condanna, nei processi) aveva dato ai giurati popolari. Non aveva spiegato che le circostanze attenuanti non richiedono un’approvazione all’unanimità, come invece la sentenza di colpevolezza, e proprio la assenza di ogni circostanza attenuante aveva imposto la senza capitale. È un evidente cavillo, un filo di formaggio al quale il giudice si è aggrappato, ma proprio l’esilità della motivazione prova la solidità dell’intenzione, che è il rifiuto di mandarlo a morire, senza dover accettare le sue proteste di innocenza scritte e raccontate da 26 anni. [...]» (Vittorio Zucconi, “la Repubblica” 28/3/2008) • «[...] Il caso di Abu-Jamal [...] è diventato nel tempo la più celebre causa della battaglia contro la pena di morte e le distorsioni razziste del sistema giudiziario americano. Legioni di giuristi, avvocati, artisti e studenti si sono mobilitate in favore dell’ex reporter radiofonico, diventato una figura-simbolo, autore di scritti e discorsi registrati in video. [...]» (Paolo Valentino, “Corriere della Sera” 28/3/2008).