varie, 28 marzo 2008
Tags : Tim Davis
Davis Tim
• Blantyre (Malawi) 1969. Fotografo. «Sono due le esperienze fondamentali nella vita di Tim Davis: la nonna e la macchina fotografica. La nonna era una casalinga comunista. Aveva una passione per il piccolo Tim che portava in giro per gli Stati Uniti ovunque si organizzasse un sit-in o una marcia di protesta. La macchina fotografica invece gli viene regalata dal babbo, alternativo jazzista, quando lui aveva sei anni.”Guardare il mondo attraverso un obiettivo”, racconta,”secondo lui significava crescere, prendere delle responsabilità, sviluppare un senso critico, fare delle scelte”. In più il babbo di Tim si divertiva a sfogliare con lui le pubblicità sulle riviste cercando messaggi occulti. E via a decodificare i Marlboro Man e le gomme da masticare per insegnare a Tim le segrete grammatiche del linguaggio visivo. Cosa mai fotografava a fine anni Settanta un piccolo newyorchese di origini anarcomuniste? ”Le stesse cose che fotografo adesso: dettagli, l’interno di una casa, il volto di un passante. Cercavo fin da allora l’inusuale nel familiare”. Nel particolare dunque non c’è solo Dio, come diceva Warburg, ma anche lo zio Sam. E Tim Davis lo vede. Al punto da descrivere, dettaglio dopo dettaglio, un’altra faccia dell’America, e al punto da riuscire [...] a insegnare alla Yale, vincere premi, tenere lectures [...] a essere riconosciuto come uno dei più interessanti fotografi della scena internazionale. Basta guardare il suo libro My life in politics: viaggio nel quotidiano della politica americana tra indifferenza e manifesti strappati, manifestanti persi in un parco e dazebao abbandonati sui marciapiedi. Un ritratto corale che nasce da minuzie ”inusuali e familiari”. [...]» (Alessandra Mammì, ”L’espresso” 3/4/2008).