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 2008  marzo 19 Mercoledì calendario

1911: L’ITALIA IN LIBIA SCHIAFFO ALLA GERMANIA

Corriere della sera 19 marzo 2008.
Nel 1911-1912, l’Italia, con il primo ministro Giolitti, inviò un ultimatum alla Turchia, per avere piena libertà d’azione in Tripolitania e Cirenaica, dicendo che i coloni italiani con le loro industrie subivano continui attacchi dalle popolazioni locali e sostenendo che era ora di mettere ordine.
Vorrei qualche chiarimento sulla reazione della Germania alla guerra dell’Italia contro l’Impero Ottomano. La Germania doveva aiutare l’Italia, membro della Triplice Alleanza, ma la sconfitta turca avrebbe rafforzato la posizione della Russia: una prospettiva che al governo di Berlino, naturalmente, non piaceva. Crede che la politica adottata dalla Germania in quella occasione sia stata la migliore, anche per l’Europa?
Martino Salomoni
martinosalomoni@tiscali.it Caro Salomoni,
La guerra dell’Italia per la conquista della Libia non piacque ai tedeschi. La Germania stava diventando il protettore internazionale della Turchia dove le sue aziende avevano conquistato posizioni importanti. I suoi generali addestravano l’esercito turco. Il governo del Reich progettava la costruzione di una grande ferrovia da Berlino a Bagdad. Ed ecco che l’alleato italiano rischiava di rendere ancora più traballante, con le sue ambizioni mediterranee, il pericolante edificio dell’Impero Ottomano. La stampa tedesca pubblicò articoli in cui si leggeva, tra l’altro, che la popolazione araba non avrebbe mai accettato dagli italiani ciò che era disposta ad accettare da altri popoli, più progrediti ed evoluti. Il Kaiser Guglielmo II parlò privatamente di rapina e ironizzò sprezzantemente su un Paese che andava a cercare le colonie altrove, quando le aveva a casa propria. Il socialista Kautsky scrisse sulla Neue Zeit che la politica italiana era «banditesca».
Ma la diplomazia italiana (il ministro degli Esteri era Antonino di San Giuliano) riuscì a neutralizzare le resistenze tedesche ottenendo anzitutto l’accordo della Francia e della Gran Bretagna. Germania e Austria capirono allora che non potevano negare al loro alleato ciò che l’Italia aveva già ottenuto a Parigi e a Londra. I due imperi centrali attribuivano molta importanza alla coesione della Triplice e si chiusero in una sorta di imbronciato silenzio. Quando l’ambasciatore di Germania chiese al ministro degli Esteri italiano che cosa l’Europa avrebbe detto dell’occupazione della Tripolitania, San Giuliano rispose ironicamente: «Dirà che è una bruttissima cosa, dirà cioè quello che ha detto quando noi abbiamo fatto la nostra unità e voi la vostra ».
San Giuliano aveva ragione. Nel giro di qualche mese la bolla dell’indignazione cominciò a sgonfiarsi. Quando Vittorio Emanuele III e l’imperatore tedesco Guglielmo II s’incontrarono a Venezia, nel marzo del 1912, la conversazione fu fredda all’inizio, cordiale alla fine. Guglielmo esortò Vittorio Emanuele a costruire una grande flotta per meglio tenere a bada la Francia nel Mediterraneo. E il re gli rispose che l’Italia stava già provvedendo. E aggiunse che «voleva vedere finita la guerra al più presto possibile per potere ritirare il suo esercito dall’Africa, lasciandovi solo le guarnigioni necessarie, e per aver riunita tutta la sua forza militare in territorio europeo onde adempiere ai suoi obblighi di alleato». Guglielmo apprezzò l’impegno e promise che avrebbe parlato agli austriaci perché adottassero un atteggiamento più comprensivo verso l’Italia.
Ma le preoccupazioni della Germania, pur essendo motivate da considerazioni strettamente tedesche, non erano infondate. La guerra italo-turca per la conquista della Tripolitania e della Cirenaica ebbe l’effetto di scatenare contro la Turchia le ambizioni degli Stati balcanici. Scoppiarono due guerre, nel 1912 e nel 1913, che resero ancora più debole e vacillante il vecchio Impero Ottomano. Qualche storico, parecchi anni dopo, sostenne addirittura, con una evidente forzatura, che la prima causa della Grande guerra fu l’invasione italiana della Tripolitania e della Cirenaica nel settembre 1911.
Sergio Romano