Messaggero 21 marzo 2008, Roberto Gervaso, 21 marzo 2008
Caro Signor Gervaso. Messaggero 21 marzo 2008. Caro Signor Gervaso, in molte occasioni lei ha parlato di Giuseppe Prezzolini, che io considero il più grande animatore culturale del Novecento
Caro Signor Gervaso. Messaggero 21 marzo 2008. Caro Signor Gervaso, in molte occasioni lei ha parlato di Giuseppe Prezzolini, che io considero il più grande animatore culturale del Novecento. Di lui ho letto un saggio che tutti dovrebbero leggere perché è una spietata analisi delle virtù e dei vizi, delle debolezze del nostro popolo (L’Italia finisce. Ecco quel che resta). un libro che avrà sicuramente letto anche lei, estimatore, come me, del padre de "La voce". Le sarei grato se mi consigliasse una biografia di questo straordinario intellettuale che oggi nessuno, o troppo pochi, ricordano. Antonio Ruspa - Torino Caro Ruspa, ho appena finito di leggere una delle più belle, esaustive, vivaci biografie di Giuseppe Prezzolini, che considero l’intellettuale più eclettico e libero del secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. L’ha scritto Gennaro Sangiuliano, redattore capo in RAI. E’ un’opera che si legge come un romanzo perché la vita di Prezzy, come lo chiamavano gli amici (fra costoro, giovanissimo, c’ero anch’io), è stata un romanzo. O, piuttosto, una prodigiosa avventura intellettuale. Il volume, edito da Mursia, è una cornucopia di aneddoti, riflessioni, battute, giudizi di chi seppe dire di no anche a Mussolini. Giuseppe lo aveva invitato a collaborare a "La Voce", e questo il maestro romagnolo non lo dimenticò. Quando andò al potere, Prezzy gli avrebbe potuto chiedere qualunque cosa: un posto di ministro, magari della Pubblica Istruzione, che sarà poi di Giovanni Gentile, una cattedra universitaria, il lauro di accademico d’Italia. Prezzy non solo rifiutò ogni onore, ma lasciò l’Italia prima per Parigi, poi per New York dove passerà una trentina d’anni, sbarcando il lunario come docente d’italiano nella Columbia University. Era un uomo libero, un vero democratico, a differenza di tanti intellettuali, allora fascistissimi, nel dopoguerra antifascistissimi. Stimava Mussolini, ma lo considerava un tiranno, che avrebbe fatto di un popolo di cittadini un popolo di sudditi. Una scelta, quella di Prezzy, coraggiosa, coerente con le sue idee illuminate e il suo carattere spigoloso, ma fermo e fiero. Di là dall’Atlantico, Giuseppe seguitò a combattere la sua battaglia, anche se tanti fuorusciti, fra cui Salvemini, uomo di grande dirittura morale ed eccezionale tempra intellettuale, ma rancoroso e fazioso, gli fecero una guerra spietata, accusandolo di essere al servizio del regime. Ma Prezzy era al servizio solo dei suoi principi di uomo libero, allergico a cedimenti e compromessi. Preferì la solitudine alla rinuncia, all’abiura di questi principi. Nel 1960, a ventitré anni, vinsi una borsa di studio Fullbright all’università di Ann Arbor nel Michigan. A New York incontrai Prezzolini, che ne aveva settantotto, e che mi accolse, a dispetto del baratro anagrafico, come un vecchio amico. Pronubo dell’incontro Indro Montanelli che gli aveva anticipato la mia visita. Giuseppe mi chiese a che facoltà mi fossi iscritto ad Ann Arbor. Gli risposi: "giornalismo", "Dunque, siamo colleghi: diamoci del tu". Io non ero nessuno, e quelle parole m’imbarazzarono fino a farmi arrossire. Avevo di fronte uno dei più geniali e infaticabili animatori culturali del Novecento, che mi considerava uno di casa. Così di casa che m’invitò a pranzo. Prezzolini viveva in una penthouse, a un tiro di schioppo dall’università Columbia, in un quartierino di due stanze, con un bagnetto e una cucina lillipuziana, dove preparava personalmente i pasti. Separato dalla prima moglie, faceva tutto da sé. Quella sera, quando andai a fargli visita, m’imbandì un gran piatto d’insalata e una sesquipedale fiorentina al sangue. A me la bistecca al sangue non piace, ma la mangiai, simulando una voluttà ch’era, in realtà, ripugnanza. L’illustre anfitrione mise in tavola anche un fiasco di Chianti, allora quasi introvabile in America. Io ne sorseggiai un bicchiere; lui, il resto. L’indomani partii per l’università del Michigan e subito gli scrissi una lettera di ringraziamento. Mi rispose a stretto giro di posta, e fu l’inizio di un nostro lungo scambio epistolare. Nei primi anni Sessanta, Prezzy decise di tornare in Italia con la seconda moglie, sua ex allieva. Prese casa a Vietri sul mare, in quel di Salerno, ma quando presentò al fisco la dichiarazione dei redditi (redditi modestissimi) se la vide contestare. Giuseppe, uomo tutto d’un pezzo, abituato a pagare le imposte e a dire la verità, fece fagotto e traslocò a Lugano, dove andavo spesso a trovarlo. Avrei tante altre cose da dirle, ma lascio la parola a Sangiuliano, che a questo gigante della cultura contemporanea, a questa coscienza intemerata del Novecento ha dedicato la splendida biografia che le segnalo e raccomando. Roberto Gervaso